In onore del compleanno del mostro sacro Stanley Kubrick, un’analisi della sua opera più potente: 2001 Odissea nello spazio.
Trama
Un misterioso monolito viaggia attraverso le ere della storia umana per raccontarci l’evoluzione e il destino della specie. Un’opera che può definirsi di cinematografia filosofica, capace di ammaliare il pubblico per la sua potenza visiva e concettuale.
Recensione
A causa dell’immensità dell’opera, l’articolo conterrà spoiler al fine di poterne analizzare pienamente significato e filosofia. Il consiglio di chi sta redigendo la recensione, qualora non abbiate ancora visto 2001: Odissea nello spazio, è di visionare la pellicola prima di procedere alla lettura e tornare in un secondo momento.
Parlare di 2001: Odissea nello spazio è, per un cinefilo, quello che può essere parlare della Gioconda per un appassionato d’arte pittorica: difficile e rischioso. Difficile perché la complessità dell’opera non renderà mai possibile effettuarne un’analisi esaustiva. Rischioso perché la vastità dei temi trattati e la loro complessità può portare a una facile banalizzazione e/o ad un’errata trattazione. Chiedo pertanto anticipata venia per quello che, altro non è, che un articolo redatto con tutta l’ammirazione e la volontà di esaltare una delle opere più belle della settima arte.
Gli albori dell’opera
2001: Odissea nello spazio s’ispira al racconto La sentinella del 1948 scritto da Arthur C. Clarke. Nonostante lo stesso Clarke abbia dichiarato che: “la sentinella assomiglia a 2001 come una ghianda assomiglia a una quercia adulta” [1], Kubrick non ha mai negato l’importanza del racconto per lo sviluppo della sua opera più famosa. Ciò è dimostrato dal fatto che Clarke decise di sviluppare l’idea introdotta ne La sentinella, scrivendo il romanzo 2001: Odissea nello spazio. La sceneggiatura e il romanzo omonimo uscirono nel 1968 e vennero elaborati in simultanea diventando grandi classici nei rispettivi settori.
Regia, fotografia e uso del colore
La regia, in Kubrick, è uno dei punti cardine della sua intera filmografia. Parlare della sua regia vuol dire parlare di un qualcosa che sfiora la perfezione in tecnica e significato. Infatti, in tutti i film del regista è possibile notare la ricerca quasi maniacale dell’eccellenza e della simmetria geometrica. La regia di 2001: Odissea nello spazio non è da meno, anzi. Elaborata con l’uso della tecnica innovativa (per l’epoca) del front projection, 2001 è una sequenza di diapositive ad alta risoluzione proiettate tramite tale tecnica.
In questa ottica la frase: “in movies you don’t try and photograph the reality, you try and photograph a photograph of the reality” prende tutt’altro significato. La fotografia, ad opera di Geoffrey Unsworth e John Alcott, in quest’opera diventa punto cardine. Permea all’interno della regia diventando con essa un tutt’uno. La fotografia, abbinata alla scelta di un impianto sonoro magistrale, riesce a trasmettere l’immensità dello spazio e allo stesso tempo il senso di vuoto. Il colore viene usato in modo estremamente abile, non solo per quanto riguarda l’aspetto puramente estetico, comunque non trascurabile in quanto studiato nel minimo dettaglio, ma anche per ciò che ciascun colore simboleggia. Una delle scene in cui capiamo pienamente l’utilizzo del colore come veicolo di significato è quella in cui Dave deve disattivare Hal. In quella scena il colore dominante è il rosso, a differenza dell’intera pellicola in cui predominano i toni del bianco. Il rosso, in questo caso, viene usato nel momento in cui il “cervello” di Hal viene spento, decretandone la sua morte. Il rosso, colore del sangue ma anche della rabbia, viene utilizzato per indicare tanto quest’ultima quanto la morte della macchina stessa. Il desiderio di vivere si fa reale attraverso il colore del sangue. Macchina e uomo vengono quindi assimilati, in un gioco di significato sottile ma lampante. Questa tecnica verrà poi ripresa da Gaspar Noè in film come Irréversible e Love, esasperandola.
Un’esperienza sensoriale
Su 2001: Odissea nello spazio Kubrick disse che:
“Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico del film. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio”.
Kubrick su 2001: Odissea nello spazio
L’utilizzo dei colori, in abbinamento con l’impianto sonoro magistralmente selezionato, fa scaturire, nello spettatore, emozioni diverse e contrastanti. A metà tra visione allucinatoria ed esperienza extra corporea, 2001: Odissea nello spazio è un film che va, prima di tutto, sperimentato per poi cercare di individuarne la propria personale lettura. È, quindi, impossibile dare una spiegazione univoca a ciò che si vede all’interno della pellicola. Pertanto, ciò che leggerete all’interno dei prossimi paragrafi è la mia personale visione dell’opera che non deve, in alcun modo, influenzare quella che può e deve essere la lettura del singolo.
Il concetto di Odissea come viaggio di conoscenza
“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”
Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI
Il termine Odissea all’interno del titolo rimanda direttamente all’omonimo poema omerico. Così come nell’opera omerica anche nella pellicola di Kubrick il concetto di viaggio è assimilato al concetto di conoscenza. Ancor di più nell’opera di Kubrick è la stessa conoscenza ad essere sia mezzo che fine nell’evoluzione dell’uomo. Il monolito, fonte di conoscenza, viaggia nello spazio portando all’evoluzione la specie umana e con essa permettendo il viaggio stesso dell’uomo nello spazio. Il concetto alla base è di una conoscenza che si autoalimenta, portata avanti dalle sole capacità umane. È curioso notare come, all’interno della Divina Commedia, Ulisse, protagonista dell’Odissea, venga posto all’interno dell’ottava Bolgia dell’ottavo cerchio dell’inferno dantesco, luogo in cui vengono puniti i consiglieri di frode. La pena morale viene inflitta all’eroe acheo perché egli non è solo ingannatore, ma rappresentante dell’uomo senza tempo che dedica l’intera propria esistenza alla conoscenza. Nell’accezione cristiana il desiderio di conoscenza che elude i limiti della relativa dottrina viene punito, così come Adamo ed Eva vennero puniti quando mangiarono il frutto dell’albero della conoscenza. La conoscenza mossa unicamente dalle virtù umane viene tanto condannata dalla dottrina cristiana quanto elogiata dal filosofo tedesco Nietzsche che, come vedremo nel prossimo paragrafo, ha un ruolo fondamentale all’interno dell’opera kubrickiana.
La filosofia di Nietzsche e il concetto di Superuomo (Übermensch)
All’interno di 2001: Odissea nello spazio i riferimenti alla filosofia di Nietzsche sono quantomai evidenti. A partire dalla visione del bambino, simbolo della definitiva evoluzione umana, fino ad arrivare alla musica di Richard Strauss chiamata Così parlo Zarathustra (Also sprach Zarathustra) come l’omonima opera del filosofo.
La filosofia di Nietzsche ha dato forte enfasi alla critica alla dottrina cristiana, soprattutto nel suo periodo più maturo. È proprio nell’opera Così parlò Zarathustra che tale critica viene pienamente sviscerata. In particolare, la critica di Nietzsche è legata all’idea cristiana di distinzione e opposizione tra anima e corpo. Addirittura, nell’opera La gaia scienza Nietzsche parlerà della morte di Dio. La morte di Dio deve essere intesa come un venir meno del senso del sacro. La morte di Dio permette all’uomo di divenire egli stesso il proprio Dio, assumendo la volontà e la possibilità di azione. L’uomo, a questo punto, deve andare oltre sé stesso e divenire superuomo.
“L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo – un cavo al di sopra dell’abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo […]”.
Così parlò Zarathustra pp 6-9 F.W. Nietzsche
In questa ottica, nell’opera kubrickiana non facciamo altro che vedere l’evoluzione dell’uomo che, in un’accezione totalmente distante dai limiti dettati dalla dottrina cristiana, passa dall’essere scimmia all’essere superuomo tramite la sua stessa conoscenza, incarnata nel monolito. Come nel primo capitolo della pellicola The dawn of man gli ominidi che toccano il monolito imparano l’utilizzo degli utensili che gli permetteranno di prevalere sul branco rivale, così il tocco del Dott. Floyd permetterà la missione su Giove. L’evoluzione della specie umana riportata sullo schermo da Kubrick incarna perfettamente il concetto nietzsciano per cui tanto l’uomo guarda alla scimmia come ad un antenato, con un misto di nostalgia e disprezzo, così il superuomo guarderà all’uomo moderno perché sarà di egli l’evoluzione.
L’Ulisse dell’Odissea di Kubrick non è un unico uomo, ma l’umanità stessa che ha il compito di evolvere e trascendere da sé stessa. La conoscenza diviene, come già anticipato, mezzo e fine dell’intera umanità, in un circolo che si autoalimenta.
Hal 9000: il paradosso di Polanyi, la teoria di Autor e le considerazioni di Frey e Osborne
Un ruolo fondamentale all’interno della pellicola è ricoperto dall’intelligenza artificiale denominata Hal 9000. La figura di Hal ha in sé la capacità di racchiudere gli enormi dilemmi di un futuro sempre più prossimo. Per cercare di capire la complessità del personaggio di Hal e l’aspetto visionario di Stanley Kubrick è bene fare un piccolo passo indietro.
Agli inizi degli anni ’50 il filosofo, chimico ed economista ungherese Michael Polanyi elaborò quello che divenne poi comunemente noto come il paradosso di Polanyi. Secondo il pensatore, infatti, la realizzazione di macchine con intelligenza simile all’uomo aveva in sé il paradosso dettato dal fatto che esse vadano programmate dagli uomini. Tuttavia, l’uomo possiede conoscenze che non è in grado di codificare univocamente e/o che egli stesso non sa di possedere. Ciò comportava un limite insormontabile alla realizzazione di macchine con intelligenza simil umana. Tale paradosso è stato rispolverato nel 2003 dal noto economista del MIT di Boston, David Autor il quale vede, in questo paradosso, un limite insormontabile alla realizzazione delle intelligenze artificiali.
“Sappiamo molto più di quel che riusciamo a dire”
M. Polanyi
Tuttavia, le ultime evoluzioni tecnologiche hanno dimostrato come questo ostacolo possa essere facilmente aggirato tramite quello che è comunemente noto con il termine machine learning. Le macchine, infatti, grazie alla possibilità di accesso ed elaborazione di un gran numero di dati possono apprendere nuove abilità in modo autonomo. Ciò comporta che l’intelligenza artificiale sia già disponibile? No. Secondo i ricercatori, presso l’università di Oxford, Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne, esistono ancora tre attività che sono ad esclusivo appannaggio dell’uomo:
- La percezione degli oggetti (soprattutto quelli di forma irregolare e/o posizionati in ambienti non convenzionali);
- Intelligenza creativa, ossia la capacità di elaborare idee, avere intuizioni e creare opere d’arte;
- Intelligenza sociale, ossia la capacità che hanno gli uomini di entrare in relazione tra loro.
Si presuppone che, una volta trovata la chiave per superare questi tre grandi limiti, sarà possibile creare quella che a tutti gli effetti è un’intelligenza artificiale ed entrare in una fase successiva dell’evoluzione umana.
Il ruolo della mente nella definizione di uomo
“Utilizzo le mie capacità nel modo più completo il che è il massimo che qualsiasi entità cosciente possa sperare di fare”.
Hal 9000 rivolgendosi a Dave
Cosa ha di visionario la pellicola kubrickiana? Uno dei grandi dilemmi dell’uomo, da quando la creazione di un’intelligenza artificiale è entrata a far parte dell’immaginario, è stato proprio chiedersi cosa comporterebbe. Cosa fa dell’uomo, un uomo? Cosa succederebbe se le macchine non rispettassero le tre leggi della robotica introdotte da Asimov e decidessero di prendere decisioni in autonomia, anche sulla vita dell’uomo? Che cos’è la coscienza? Nel 1968 Kubrick è stato capace di analizzare tutte queste tematiche con una grazia e un’ottica da visionario. Hal è una macchina ma la sua evoluzione è tale da avere una coscienza propria. Prova sentimenti tipici dell’essere umano. Rancore, senso di vendetta, paura. Ma soprattutto prova il senso dell’autoconservazione. La scena in cui Hal implora Dave di non disattivarlo ha più a che fare con la supplica di un condannato a morte che non di una macchina. In una pellicola quasi priva di dialoghi, quelli con Hal diventano struttura portante dell’analisi kubrickiana sull’essenza umana.
“La mia mente se ne va. Lo sento, lo sento”.
Hal 9000
In quest’unica frase è racchiusa tutta l’essenza della filosofia di 2001: Odissea nello spazio. La conoscenza che deriva dall’applicazione delle sole capacità umane, come dettato dalla filosofia di Nietzsche, viene applicata ad una macchina che nel sentire la sua mente andarsene prova paura. La mente è fulcro dell’intera vita e dell’evoluzione della specie. Senza quella siamo niente. Senza quella la vita non esiste. La paura più grande per la macchina, come per l’uomo, è che la mente venga spenta e che, quindi, si smetta di essere.
Le mie considerazioni
La prima volta che ho visto 2001: Odissea nello spazio sono rimasta completamente scioccata e ammaliata dalla bellezza che trasuda la pellicola, sotto ogni punto di vista. È un film capace di smuovere qualcosa nel profondo, di alimentare curiosità, teorie, analisi. Ad ogni visione il mio punto di vista si allarga, noto dettagli che non avevo visto in precedenza e mi apre a spunti di riflessione sempre nuovi. È un’opera immensa, capace di alimentare mente e spirito.
Nel giorno della sua nascita non posso che ringraziare Stanley Kubrick per l’immenso dono fatto all’umanità con la sua opera.
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