Durante gli anni ’70 la messa in scena ed il racconto nei film di questo genere si infittiscono di delitti sempre più cruenti e di forte impatto visivo: è questo il periodo di massima espressione del thriller e del giallo all’italiana.
Dopo Mario Bava, ricominciando da Dario Argento
Fra il 1970 e il 1971 escono tre film di Dario Argento che consacrano definitivamente questo genere: L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio. Utilizzando la stessa formula di Bava, ma rinnovando tecnica e stile, il regista riscuote un enorme successo soprattutto negli Stati Uniti, favorendo in patria (e non solo) un prolifico fenomeno d’imitazione.
Il thriller-giallo assunse una connotazione sempre più violenta ed erotica, specializzandosi soprattutto nella caratterizzazione dell’assassino, non soltanto l’aspetto esteriore ma sviscerando soprattutto la sua psiche. L’intenzione era quella di rendere in qualche modo lo spettatore più immerso nei delitti, attraverso gli occhi di un omicida, utilizzando a volte la tecnica di ripresa in soggettiva (in cui la posizione della macchina da presa coincideva con la stessa visuale di chi compie i delitti).
L’assassino veniva solitamente rappresentato come uno psicopatico, mentre i protagonisti di questi film non erano il commissario intuitivo o il poliziotto senza paura di turno bensì persone comuni, invischiate loro malgrado negli eventi solo per puro caso. Ed è in questo contesto che la figura dell’omicida divenne protagonista e icona assoluta del filone, assumendo una tale importanza nel racconto da far passare spesso in secondo piano anche la stessa trama del film.
Solo tra il 1971 e il 1972 vennero girati e distribuiti nelle sale oltre trenta film appartenenti a questo genere, diretti dai maggiori registi italiani del cinema di genere. Lucio Fulci, maestro soprattutto del gore italiano, girerà contributi di indubbio valore come l’hitchockiano Una sull’altra, il violento Una lucertola con la pelle di donna, il rurale Non si sevizia un paperino e l’inquietante Sette note in nero. Il regista emiliano Pupi Avati dirigerà nel 1976 uno dei più famosi (e fra i più belli di sempre) horror-gialli italiani: La casa dalle finestre che ridono. Altri film sono anche precursori dello slasher (in particolare della saga hollywoodiana di Venerdì 13), come Reazione a catena di Mario Bava o I corpi presentano tracce di violenza carnale di Sergio Martino.
5 consigli fra i film meno famosi
Cosa avete fatto a Solange? (1971) di Massimo Dallamano
Uno dei film più interessanti di quegli anni, un poliziesco giallo con un finale d’impatto sia visivo che emotivo. Diventato un cult, negli ultimi anni si parlava anche di un possibile remake, di cui si stava interessando Nicolas Winding Refn come produttore.
Trama: L’insegnante Enrico ha una relazione segreta con una sua studentessa. Quando alcune studentesse nel college in cui insegna iniziano a venire brutalmente assassinate, i sospetti della polizia si concentrano proprio su di lui.
Il film vanta anche alcuni nomi di tutto rispetto: la musica è di Ennio Morricone, mentre la fotografia è curata da Joe D’Amato (Aristide Massaccesi). Un giallo morboso e raffinato che rivisita gli stereotipi del genere in modo accattivante, da recuperare assolutamente. Purtroppo fra questi cinque film consigliati è l’unico ad essere fuori catalogo e difficile da rimediare.
Mio caro assassino (1972) di Tonino Valerii
Negli USA è uscito con il titolo My Dear Killer. Una sceneggiatura solida su un misterioso rapitore (con tanto di confronto finale alla Agatha Christie), ancora una volta troviamo la colonna sonora di Ennio Morricone, un film giallo avvincente e a lungo trascurato, che resta ancora molto attuale.
«C’era una volta una bambina, e ogni bambino che muore, è come se morisse l’ultimo fiore del mondo»
(L’investigatore Luca Peretti, durante la ricostruzione dei fatti)
Trama: Sul greto di uno stagno la polizia rinviene il corpo di un uomo decapitato da una scavatrice. Si tratta, in apparenza, di un omicidio colposo. In realtà, come scopre ben presto il commissario Peretti, ci si trova di fronte ad un killer.
L’unico giallo diretto da Valerii è senz’altro uno dei migliori mai realizzati in Italia. Il regista era stato già assistente di Sergio Leone, e riesce a giostrare bene la tensione inchiodando lo spettatore alla poltrona per i cento minuti di durata. A metà strada fra il giallo ed il film noir. Si trova facilmente in home video, come anche i film consigliati successivamente.
Chi l’ha vista morire? (1972) di Aldo Lado
Un thriller dalle sfumature argentiane che tratta il tema della violenza sui minori senza mezzi termini. Con un fascino morboso fra l’innocenza dell’infanzia e personaggi sinistri che si aggirano in una Venezia paludosa.
Trama: in Francia, la piccola Nicole viene uccisa mentre gioca sulla neve. La sua governante si trasferisce a Venezia: il caso viene archiviato. Quattro anni dopo, un’altra bambina, da poco giunta in laguna, viene assassinata.
Aldo Lado aveva realizzato diversi film interessanti negli anni ’70, come La corta notte delle bambole di vetro (1971) e L’ultimo treno della notte (1975). Anche qui ritroviamo il grande Ennio Morricone alla colonna sonora. Per la stesura di questa sceneggiatura ha collaborato anche Francesco Barilli regista de Il Profumo Della Signora In Nero.
Tutti i colori del buio (1972) di Sergio Martino
Produzione italo-spagnola con protagonista la bella Edwige Fenech, diretta dal regista cult Sergio Martino che realizzò in quegli anni titoli come Lo strano vizio della signora Wardh (1971) e I corpi presentano tracce di violenza carnale (Torso, 1973).
Trama: Jane e Barbara, due sorelle vittime di una serie di violenti traumi sin dall’infanzia, cadono vittime di una pericolosa setta il cui obbiettivo è impossessarsi di una importante eredità.
Un thriller-horror decisamente più visionario, psichedelico e allucinato. Debitore in parte da Rosemary’s baby, resta uno dei film di genere più interessanti di quegli anni, con un’atmosfera torbida e malsana.
Il profumo della signora in nero (1974) di Francesco Barilli
Un horror-giallo che si ispira al capolavoro di Roman Polanski Rosemary’s baby (1968). Barilli riesce a mescolare bene alcuni elementi horror con una struttura narrativa da giallo-thriller, con uno dei finali più angoscianti e raggelanti del cinema italiano di genere. Molto suggestive anche le musiche di Nicola Piovani, una sorta di valzer funereo, un’atmosfera onirica, ipnotica e ammaliante già dai titoli di testa.
Trama: Una giovane dottoressa vive in bilico tra schizofrenia e paranoia per via di un trauma infantile. Inizia a dare segni di squilibrio e misteriosi avvenimenti iniziano a preoccuparla, come l’arrivo di una bambina e lo strano comportamento dei suoi vicini…
Un passato che tormenta la protagonista interpretata da Mimsy Farmer in un crescendo di tensione con suggestioni polanskiane. All’uscita non fu accolto bene dalla critica ma negli anni è stato rivalutato grazie ad una discreta visibilità in televisione oltre che in home video.
Con l’arrivo degli anni ’80 e l’inizio (soprattutto negli Stati Uniti) di un nuovo modo di fare cinema thriller e horror, il giallo all’italiana troverà sempre meno spazio, e resta quindi un genere fortemente legato al decennio degli anni ’70.
Leggi anche —–> La corta notte delle bambole di vetro (1971)