Una sorpresa nel panorama del cinema horror italiano: A Classic Horror Story riesce ad unire le tradizioni locali ed il cinema americano. Il film di De Feo e Strippoli risulta anche una sfida verso chi pensa che in Italia non siamo più capaci di fare cinema di genere
Uscito da pochi giorni su Netflix, A Classic Horror Story ha già fatto molto parlare di sé, diventando il secondo film più visto in Italia e il quinto al Mondo sulla piattaforma. Rispetto al precedente The Nest, questa volta De Feo costruisce insieme a Strippoli un film solo all’apparenza infarcito dei tipici cliché dell’horror a stelle e strisce. In questo caso tradizione e modernità vanno a braccetto, portando lo spettatore verso soluzioni coraggiose ed innovative per l’Italia.
La casa nella radura misteriosa
Le premesse della storia di A Classic Horror Story sono molto semplici. Alcuni sconosciuti, due donne e due uomini, si ritrovano sul camper di Fabrizio. Quest’ultimo offre un servizio di car sharing ed è appassionato di cinema, nonché aspirante regista. Nella comitiva ci sono: Elisa, ragazza quasi obbligata a scegliere l’aborto per mantenere un lavoro ben retribuito dalla madre; Riccardo, padre separato ma affettuoso e la coppia di globetrotter formata da Mark e Sofia.
Il camper avrà un incidente, ma al loro risveglio si ritroveranno in una radura in mezzo al nulla. Al centro una sinistra e misteriosa casa. All’interno non troveranno nessuno, ma qualcuno accende le luci esterne ed apre le porte, una forza oscura o pazzi assassini?
La leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso
Il folklore italico viene messo al centro della vicenda quando la comitiva troverà all’interno dell’abitazione dei dipinti che raffigurano un’antica leggenda. Fabrizio spiega che si tratta di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, tre cavalieri spagnoli che per vendicare l’onore della loro sorella uccidono un uomo. Vengono quindi condannati a 29 anni, 11 mesi e 29 giorni nel carcere dell’isola di Favignana.
Al termine del periodo di detenzione maturarono delle regole di omertà che andarono a costituire una nuova società di uomini d’onore. Praticamente i concetti che stanno alla base di tutti i tipi di mafia. Secondo la tradizione, infatti, Osso fonderà Cosa Nostra in Sicilia, Carcagnosso la ‘Ndragheta in Calabria e Mastrosso la Camorra in Campania. Ancora oggi, molti rituali di queste associazioni mafiose prevedono dei rituali in onore dei tre cavalieri.
Nel film ad ogni cavaliere è associata una parte del corpo che strappano alle vittime: occhi, orecchie e lingua. Il connubio tra folklore ed horror è quantomai azzeccato.
Una messa in scena da snuff movies
Qualcuno ha tradito i compagni di viaggio e portato il camper in un luogo gestito da criminali. Come detto tutte le associazioni mafiose del Sud Italia si rifanno alla leggenda dei tre cavalieri, ma al giorno d’oggi è la tecnologia ha dominare la scena. Quindi l’idea è di celebrare rituali antichissimi riprendendoli con delle telecamere, come fossero veri snuff movies in cui la gente muore dopo atroci sofferenze. Ulteriori rivelazioni ve le lascio scoprire, compresa la forte critica che i registi fanno nel finale alla visioni mordi e fuggi di qualunque contenuto. In una società iperconnessa e smaniosa di dare giudizi affrettati su ogni cosa.
Il risultato è un film riuscito, ma non per tutti. Il pubblico potrebbe non apprezzare la svolta dell’ultimo atto, che per me è il vero fulcro del film. Negli ultimi anni sono sempre di più le pellicole di genere con importanti messaggi veicolati e non solamente spaventi fini a sé stessi. Importante sfruttare questa tendenza anche in Italia, con un’identità precisa nelle nostre tradizioni.
Una storia ben confezionata
Sotto il punto di vista tecnico, la regia risulta sempre convincente. I registi sono attenti a costruire ogni singola inquadratura, alcune diventano già da sole citazioni visive. La fotografia è il vero punto forte per me. Colori caldi del profondo Sud durante il giorno e il blu della notte che viene spezzato da colori rossi accesi. Impossibile non pensare al sangue o alla fotografia di Tovoli nel Suspiria di Argento. Gli effetti, per la maggior parte speciali, richiama una old school davvero fatta con passione, prima di tutto.
Infine, le musiche di Massimiliano Mechelli accompagnano bene la narrazione. In particolare nell’utilizzo di suoni distorti nel momento di panico e smarrimento del gruppo. Il tutto impreziosito da brani non originali italiani, da Il Cielo in una stanza di Gino Paoli a La casa di Sergio Endrigo, per rimarcare ancore di più l’italianità del film.
Citazionismo cinefilo costante
Unica nota negativo è il continuo ricorso, voluto, al citare film di genere. Se all’inizio può essere piacevole, poi si va verso l’eccesso. Se lo spettatore meno esperto lo nota di meno, l’appassionato rischia di passare dal piacere alla ridondanza. Ovviamente il film è un grande omaggio a La Casa di Sam Raimi, questo anche per la presentazione del luogo centrale del film.
Nel terzo atto avremo nuove rivelazioni e alcune scene sembrano riprese dai classici del folk horror, da The Wicker Man del 1973 a Midsommar del 2019.
Se il primo è considerato il capostipite di questo sottogenere ed ancora oggi uno tra i migliori film inglesi. Il lungometraggio di Ari Aster propone una visione moderna ma affascinante di una piccola comunità svedese.
La tavolata per il pranzo e la presenza di un ragazzo deforme sono solo alcuni dei richiami alla vita nel villaggio immaginato da Aster. Infine la conclusione, che non spoilero, non potrà non ricordare l’epilogo di Antebellum, sia per concetti che per messa in scena.
L’epilogo prima dei titoli di coda cita anche la tecnica dello screen life vista in molti film recenti da Unfriended a Searching.
A Classic Horror Story è un film che dimostra come anche in Italia possiamo ancora fare film innovativi che riescono ad affondare nel folklore ma con un occhio rivolto al futuro, facendo vivere un’esperienza di angoscia e paura allo spettatore
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