Il 19 maggio è arrivato in Italia, distribuito da Wanted Cinema, Adorazione film del regista belga Fabrice Du Welz che abbiamo avuto la possibilità di intervistare in diretta al Cinema Massimo di Torino…

Calvaire, apoteosi del grottesco e della follia

La prima volta che vidi Calvaire (Fabrice Du Welz, 2004) rimasi esterrefatto: in un panorama cinematografico in cui il genere horror si stava (e si sta) trasformando nella perpetua ripetizione degli stessi clichés, in cui la narrazione veniva continuamente spezzata da inutili e fastidiosi jumpscares e in cui la CGI tentava di creare “mostri” troppo artificiosi per essere spaventosi, Calvaire era l’incarnazione delle paure più viscerali, del terrore causato dalla follia umana. Rimasi, quindi, a dir poco affascinato da quell’apoteosi del grottesco, da quel trionfo assoluto della follia. Fabrice Du Welz aveva creato un film essenziale, asciutto, privo di grandi artifici, ma molto più spaventoso di tutti quelli che incassavano cifre elevate al botteghino. Lo stesso vale per The Lonely Hearts Killers (Alleluia, Fabrice Du Welz, 2014), un continuo fluire di violenza, fisica e psicologica.

La trilogia delle Ardenne

Quando ho visto Adorazione (2019), ultimo film di Du Welz (prima di Inexorable) e pellicola che, con le due succitate, costituisce la trilogia delle Ardenne – completamente basata sulla follia – ho notato che erano molteplici gli elementi che collegavano i tre film. Adorazione viene presentato come la storia di un amore malato, seppur adolescenziale. È la storia di Paul e Gloria (quest’ultima ricoverata in una sorta di istituto psichiatrico) che fuggono insieme e, mentre gli “adulti” danno loro la caccia, tra i due nasce un sentimento sempre più forte che, però, presto si rivelerà essere profondamente “sbagliato”, malato, tossico.

Follia e amore malato

Ecco, l’amore malato è l’elemento principale di Adorazione, ma costituisce anche la base degli altri due film della Trilogia delle Ardenne. In Calvaire, infatti, la follia era scatenata dalla non accettazione della perdita della persona amata, dalla rimozione forzata di tale trauma. In Alleluia tra i due amanti si creava un rapporto assimilabile a quello tra vittima e carnefice, in cui l’amore, oltre a rendere vulnerabili, portava a un epilogo drammatico e inevitabile. Proprio sulla base di questa riflessione, la prima domanda che ho voluto porre a Fabrice Du Welz (durante l’intervista in diretta al Cinema Massimo di Torino) è stata questa: “si può affermare che il fil rouge che lega questi tre film sia proprio il tema dell’amore malato, delle relazioni torbide, della follia scatenata dall’impossibilità di possedere completamente la persona amata?”

“Sì, potrebbe essere. È una sorta di esplorazione dell’impossibilità di essere soli in una relazione, ma anche sull’impossibilità di essere “Due” in una storia d’amore. […] Cerco di indagare un po’ l’aspetto orrorifico dell’amore”.

Fabrice Du Welz

Anche in Adorazione, pur essendo un film più “leggero”, Du Welz porta avanti questa ricerca sull’amore malato, nonostante – come lui afferma – sia una pellicola basata più sull’”amore per l’altro”. È forse proprio il fatto che i due protagonisti sono adolescenti a rendere il loro amore (che anche qui però culminerà nella violenza) apparentemente più puro e tenero. Ma anche in questo caso, si potrebbe in realtà più propriamente parlare di “ossessione per l’altro”.

Un’ambientazione quasi fiabesca

Altra caratteristica particolare di Adorazione è l’ambientazione: se in Calvaire, infatti, la nebbia permeava un’atmosfera perennemente cupa, qui i personaggi sembrano muoversi in un mondo quasi fiabesco. Nel bosco “incantato” in cui Paul e Gloria (notare la ripetizione del nome “Gloria” per i personaggi femminili anche nei film precedentemente citati) fuggono, il nemico è costituito dagli adulti (proprio come in molte fiabe), adulti cinici che rischiano di contaminare la loro innocenza e purezza. Tuttavia, presto Paul si accorgerà che non sono gli adulti a costituire la vera minaccia.

Immagini che parlano

Du Welz cura meticolosamente la messa in scena, con primi piani e dettagli che ci rivelano sempre qualche sfumatura dei due protagonisti, anche e soprattutto nei momenti in cui Paul e Gloria non parlano. Nella loro fuga d’amore, la macchina da presa li segue, li osserva, non fa mai allontanare lo spettatore dai due adolescenti, anzi, fa in modo che egli sia il loro compagno di viaggio. Adorazione è un film delicato e tenero, ma allo stesso tempo spietato e folle: è la storia di un amore accecante e totalizzante che, però, piano piano, comincia a rivelare la sua vera natura; è il disincanto che attanaglia tutti quanti nel momento in cui scopriamo che la versione idealizzata della persona amata è tanto, troppo lontana dalla realtà.

L’amore. O niente.

“Sai che questi uccelli vivono in coppia fino alla morte? Non si separano mai.”

Hinkel

La frase che uno degli adulti del film rivolge a Paul sembra fin da subito premonitrice. Nel dilagare della follia di Gloria, l’amore di Paul per la ragazza si trasforma lentamente; ma la presa di consapevolezza è vana: la ragione non può niente di fronte all’amore e il finale dolceamaro e imprevedibile ne è la dimostrazione. Quasi come quel “Je t’ai aimé” che il martoriato personaggio di Laurent Lucas sussurrava nel finale di Calvaire a uno dei suoi carnefici più folli. Perché alla fine c’è l’amore. O niente.

Adorazione è un thriller psicologico e atipico che si inserisce perfettamente nel filone inaugurato da Du Welz con Calvaire e Alleluia. Un filone che è destinato ad ampliarsi con “Inexorable”, l’ultima pellicola di Du Welz che, a suo dire, “vedrà la Gloria peggiore di tutte”. Il tema dell’amore malato è alla base di Adorazione e, anche se qui non provoca ferite inflitte con le peggiori armi, è un amore che ferisce, che fa male, che fa sanguinare l’anima.

VOTO:

Classificazione: 4 su 5.