Anche in Italia si è finalmente conclusa la dodicesima stagione di American Horror Story, Delicate, che era stata divisa in due parti (QUI trovate la recensione della prima). Un finale precipitoso e con pochi colpi di scena che forse rende Delicate la peggior stagione di tutta la serie.
Un Rosemary’s Baby postmoderno
Adesso possiamo dirlo con sicurezza, AHS: Delicate è sostanzialmente una rivisitazione postmoderna di Rosemary’s Baby. Certo, delle variazioni ci sono ma, fin dal primo episodio, la narrazione imbocca una direzione chiara e fin troppo prevedibile per chiunque conosca il capolavoro di Polanski. E questo è un aspetto che qualcuno vedrà come un pregio, altri come un difetto. Insomma, il citazionismo è fin troppo marcato, talvolta addirittura letterale, nonostante Delicate abbia modo di approfondire le dinamiche di potere di una vera e propria Hollywood satanista.
La scelta impossibile
Una trovata sicuramente interessante è quella di mettere Hollywood al centro di tutta la narrazione. Anna Victoria Alcott (Emma Roberts) ha due obiettivi: diventare madre e vincere un Oscar. Ma, come si intuisce fin da subito, le due cose non sono compatibili. La fecondazione in vitro, più volte fallita, è l’unica strada percorribile per soddisfare quel desiderio di maternità, ma per aumentare le speranze che tutto funzioni correttamente c’è una regola fondamentale: evitare lo stress. E per Anna, all’apice della propria carriera, tra candidature, premi e interviste, lo stress sembra inevitabile.
Siobhan (Kim Kardashian), migliore amica e agente di Anna, la esorta continuamente a cogliere ogni occasione professionalmente importante che le si presenta, mentre Dex (Matt Czuchry), marito di Anna, le chiede di preservare se stessa e il bambino. Anche in questa stagione di AHS ci troviamo di fronte a una scelta impossibile ed esclusiva (un Aut Aut kierkegaardiano): un’opzione esclude l’altra, non c’è via d’uscita. O il bambino o il successo. Anna è l’ennesima donna costretta a scegliere tra la maternità e la carriera, culturalmente incompatibili in una società patriarcale. E Siobhan, l’unica persona che sembra sostenere Anna nella realizzazione del suo duplice sogno, in realtà è solo la pedina fondamentale di un gioco molto più grande e perverso che finirà per annientare proprio Anna, costringendola a fare, per un’ultima volta, quella fatidica scelta.
“Congratulazioni…”
“A cosa rinunceresti?”, chiede Siobhan ad Anna mentre, alla cerimonia degli Oscar, il nome della miglior attrice protagonista sta per essere pronunciato. “A tutto”, risponde lei. Siobhan appoggia la sua mano sul ventre di Anna: “A tutto?”, le chiede. Anna annuisce con la testa. “Congratulazioni…”, le sussurra Siobhan qualche attimo prima che Anna venga proclamata vincitrice. È questo il momento della scelta: Anna, alla fine, sceglie il successo, l’Oscar, la fama. Il bambino diventerà un semplice pegno da pagare in cambio della statuetta d’oro che lei sul palco stringe tra le mani.
La congrega e il culto del corpo
La cultura patriarcale e Hollywood vengono rappresentati come due facce della stessa medaglia: proiettano la donna verso due scelte diverse ma comunque esclusive. Da una parte c’è una società che chiede alla donna di essere solo madre (di annullare se stessa per essere madre), dall’altra c’è un sistema che impone un culto (il culto del corpo, della perfezione fisica, del rifiuto di ogni inestetismo che la gravidanza può portare con sé). E la setta satanica (anche se in realtà è più di una semplice setta) rappresentata in Delicate diventa metafora proprio di questo culto. Le donne che la compongono – sostanzialmente streghe di una congrega (che non hanno niente a che fare con quelle viste in Coven) – sono discepole di Satana, e sono dotate di bellezza, potere e immortalità.
“Io comando il mondo” dice Siobhan ad Anna nell’ultimo episodio. Proprio prima che Adeline, l’ex moglie di Dex massacrata dalla congrega, appaia in visione (?) ad Anna per rivelarle il modo per sconfiggere Siobhan. Perché il bene è sempre destinato a vincere sul male. E così Delicate si conclude con Anna che stringe sia il suo bambino – che sembra aver riacquisito sembianze umane rispetto alla prima volta in cui ci viene parzialmente mostrato – sia la statuetta dell’Oscar: Anna ce l’ha fatta oppure, forse, quell’immagine finale è solo il momento di una nuova scelta, che però non viene esplicitata.
Un finale nuovamente problematico
Il finale che ho appena raccontato di per sé potrebbe anche funzionare, se solo la messa in scena dell’ultimo episodio (intitolato The Auteur) non fosse così disastrosa. Come spesso accade in AHS, infatti, il finale è frettoloso (questo dura addirittura solo 31 minuti) e la narrazione sembra incapace di prendersi i suoi tempi, limitandosi a mostrare solo una serie di eventi (accidentali) che si susseguono l’uno dopo l’altro senza una logica precisa. Le scenografie minimaliste di cui la sede della congrega si compone, inoltre, rendono il tutto molto kitsch e poco horror. Ed è un peccato, perché le prime tre puntate della seconda parte di Delicate non erano affatto male, anzi (la scena degli Oscar è un instant cult).
Insomma, come già successo diverse volte, il vero problema di American Horror Story è il finale (l’ultimo episodio), che in Delicate non è solo colpevole di lasciare aperte diverse sottotrame, ma anche di causare una degenerazione narrativa che in molti passaggi appare priva di senso, un modo sbrigativo per mettere una toppa e concludere la storia.
Simboli e paranoia
«Alla donna disse: “Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli…”»
Genesi 3:16
Nel corso dei nove episodi che compongono la serie, Anna si trova a fare i conti con i segni del corpo (e sul corpo) che la gravidanza porta con sé e con simboli esterni (dislocati dal corpo) che sembrano perseguitarla. Insetti, ragnatele, animali morti, scarpe verdi, pentacoli, bambole e vecchie foto sono simboli che nel mondo del soggetto paranoico diventano pregni di significato (sempre persecutorio), specialmente quando ripetuti. Oggetti che apparentemente non hanno alcuna connessione tra loro diventano agli occhi della protagonista significanti puri, portatori di un significato ben preciso che potrebbero rivelarle chi la sta perseguitando.
Tuttavia, la paranoia di Anna è più che motivata: ognuno dei simboli/segni che vede è veramente persecutorio, oggetto di un piano molto articolato costruito per distruggerla. Più il piano di Siobhan e della congrega si dispiega, più i simboli si moltiplicano (“moltiplicherò le tue pene”), così come i segni sul corpo di Anna, presagi di un destino infausto. Non è un caso, inoltre, che molti segni siano legati alla simbologia cristiana, implicitamente ed esplicitamente richiamata più volte nel corso dei nove episodi.
Le bambole e il perturbante
Un ruolo particolarmente interessante è quello delle bambole che la protagonista trova in diversi luoghi, distanti tra di loro: quando Anna segna su una mappa tutti i posti in cui ha rinvenuto questi oggetti nota che, unendoli con delle linee, questi formano proprio un pentacolo. Le bambole assumono così un doppio ruolo: non solo sono significanti in grado di veicolare un significato molto preciso, ma soprattutto divengono il modo in cui il perturbante (cifra caratteristica di American Horror Story) si manifesta in Delicate. Queste bambole, infatti, si presentano agli occhi di Anna come qualcosa che è allo stesso tempo familiare ed estraneo. Familiare perché le bambole raffigurano Anna (fin dall’inizio ci viene spiegato che sono oggetti che erano stati prodotti molto tempo prima), estranee perché ormai lontane nel tempo (e fuori commercio) e, soprattutto, sfregiate in diversi modi dal misterioso persecutore.
Gli altri personaggi
Un altro difetto di Delicate è quello di inserire nella narrazione troppi personaggi, molti dei quali rimangono piuttosto piatti nel corso dei vari episodi. Siobhan è sicuramente la figura più affascinante e misteriosa, grazie anche a una buona interpretazione di Kim Kardashian (su cui nessuno avrebbe scommesso). Anna, la protagonista, resta invece un personaggio un po’ piatto: se i protagonisti delle altre stagioni di American Horror Story avevano una propria evoluzione all’interno della storia, Anna rimane perlopiù passiva rispetto a tutto ciò che le succede, senza riuscire mai ad uscire dal ruolo stereotipato della vittima. Molto interessante invece il personaggio di Adeline (Annabelle Dexter-Jones, che in questa stagione interpreta due ruoli), a cui è dedicato un intero episodio (Ave Hestia): una figura piuttosto marginale che però viene perfettamente tratteggiata nella propria tragica storia.
Gli autori giocano un po’ con il personaggio di Dex (Matt Czuchry), uno dei primi personaggi verso cui lo spettatore punta il dito (come parte della cospirazione verso Anna) ma che nel finale si rivela essere innocente ed estraneo ai fatti. Mrs. Preecher (Julie White), una delle vittime della congrega che tenta di avvisare più volte Anna su quello che sarà il suo destino, scompare dalla scena proprio nel momento in cui il suo potenziale si stava dispiegando, e questo vale anche per Virginia (Debra Monk), madre di Dex, un personaggio a cui sono dedicati pochi minuti ma che sicuramente poteva essere approfondito. Le varie “streghe” della congrega, nonostante i vari flashback dedicati, appaiono come personaggi senza alcuna caratterizzazione.
American Horror STORY
Come già successo in diverse stagioni di American Horror Story, anche in Delicate si torna più volte indietro nel tempo per raccontare o addirittura rivisitare la storia. Nella maggior parte dei flashback storici vediamo la genesi o i misfatti delle streghe nei secoli (o anni) precedenti e uno di questi è molto interessante, una vera chicca. L’ottavo episodio (Little Gold Man), infatti, si apre a Manhattan, nel 1967. Seduti a un tavolo ci sono Frank Sinatra (Tom O’Keefe) e Mia Farrow (Gaby Slape) che stanno discutendo, in quanto Sinatra pretende che la moglie rinunci alla propria carriera di attrice, perché questo le impedirebbe di assolvere al suo ruolo di madre (torniamo al tema della scelta). Dopodiché veniamo trasportati sul set di Rosemary’s Baby, in cui Mia Farrow incontra proprio Siobhan.
Questa sequenza è doppiamente importante: da una parte è una perfetta esplicitazione del carattere postmoderno di American Horror Story (citazione nella citazione), dall’altra un tentativo di raccontare la storia da una prospettiva (ovviamente finzionale) diversa: il destino del personaggio interpretato da Mia Farrow in Rosemary’s Baby è forse identico a quello a cui la stessa attrice è andata incontro dopo aver conosciuto Siobhan? Anche qui, emerge l’immagine di una Hollywood governata dai poteri forti, addirittura soprannaturali.
Conclusioni
American Horror Story: Delicate è una stagione con tanti pregi e tanti difetti (un po’ come NYC e Double Feature). Gli errori fatti dagli autori nella decima e nell’undicesima stagione si ripresentano anche qui, soprattutto per quanto riguarda la tendenza a dedicare poco tempo e cura ai finali di stagione. Da qualche anno si ha l’impressione che AHS venga portato avanti più per inerzia che per passione, nonostante il grandissimo fandom che continua a seguire fedelmente la serie. La prossima stagione, la tredicesima, potrebbe essere l’ultima, anche se l’alto interesse che AHS continua a catturare potrebbe spingere FX a rinnovarla ancora per diverse stagioni. Che sia per una conclusione col botto o per rilanciare la serie dalla prossima stagione è doveroso aspettarsi qualcosa di più.
VOTO:
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