Questo articolo contiene SPOILER sulla prima stagione di American Horror Story.
Lascio QUI un piccolo video che riassume in 4 minuti la stagione (per chi volesse rinfrescarsi la memoria prima di leggere l’articolo).
Il progetto iniziale
La prima stagione di American Horror Story è intitolata Murder House. Pochi sanno che all’inizio si chiamava semplicemente “American Horror Story” e che il sottotitolo “Murder House” fu dato dai fan e poi è stato adottato in maniera ufficiale dai creatori della serie. Infatti, durante lo svolgimento della prima stagione, nessuno sapeva che AHS sarebbe stata una serie antologica e quando, dopo il finale, i fan si accorsero che la storia non lasciava aperte molte porte per un suo eventuale proseguimento, tutti rimasero spiazzati. Solo dopo i creatori annunciarono che la serie sarebbe stata caratterizzato da un antologismo stagionale, e da qui sorse la necessità di trovare un sottotitolo per ogni stagione.
Di cosa parla American Horror Story: Murder House?
Murder House è ambientata nel più tipico scenario dei film horror: la casa infestata (o, per essere più fedeli al titolo, la casa degli omicidi). Se la serie di Murphy e Falchuk rappresenta un tributo alla filmografia dell’orrore e attinge a piene mani dai suoi cliché, sembra ovvio che i temi affrontati inizialmente siano quelli su cui questo genere ha sempre basato la sua narrazione (e quindi quale luogo migliore della classica casa stregata per cominciare tale tipo di narrazione?). Il tutto, però, come abbiamo già visto nel primo articolo (che potete trovare qui) è reinterpretato in chiave pop e camp, con elementi innovativi che assumono l’aspetto di metafore importanti per raccontare un passato sepolto, ma che riaffiora continuamente.
La maternità: il motore della storia
Uno dei temi che lega ogni stagione della serie è quello della maternità, raccontata in ogni sua sfumatura. In Murder House è proprio questo tema a dare il via alla vicenda: nelle prime immagini vediamo Vivien (interpretata da Connie Britton) in una visita dal ginecologo e capiamo subito che qualcosa nella sua ultima gravidanza è andato storto (presto capiremo che la donna ha avuto un aborto spontaneo). Il tema della maternità torna continuamente sullo schermo in questa prima stagione attraverso i personaggi di Constance Langdon (interpretata magistralmente da Jessica Lange), Hayden (Kate Mara), Nora Montgomery (Lily Rabe) e altri personaggi secondari.
La casa, protagonista della vicenda
Il vero protagonista di questa stagione è, però, la casa. Essa non è il semplice scenario in cui si muovono i personaggi, ma diviene parte attiva della narrazione. Tra le sue mura gotiche e vittoriane essa sembra inghiottire i personaggi per sottoporli al dolore e all’odio che la infestano. Nel primo articolo abbiamo visto come American Horror Story voglia raccontare i rimossi di una nazione: un passato oscuro, burrascoso che infesta ancora gran parte del territorio americano e che spesso torna in superficie con tutta la sua forza malefica. In questo caso è proprio la Murder House a rappresentare il nucleo del male: in essa dopo la sua costruzione si sono susseguiti (in un crescendo del male) odio, dolore, violenza e rancore.
La casa rappresenta quindi l’America, un paese apparentemente maestoso, ma costruito sull’odio, sul rancore, sul dolore, sull’angoscia e sulla sofferenza, e i fantasmi che popolano la dimora, in quest’ottica, diventano metafora dei fantasmi dei nativi che popolano il suolo americano. Non a caso ad elementi narrativi di pura fantasia, come la storia stessa della casa, si aggiungono fatti di cronaca nera realmente avvenuti: la tragica morte della Dalia Nera viene inserita e rielaborata; la strage che Tate fa nella scuola è un diretto richiamo al massacro della Columbine High School del 1999 e le infermiere che Richard Franklin uccide nella seconda puntata ricordano gli omicidi commessi davvero da quest’uomo nel 1966. In questo continuo dualismo fra realtà-immaginazione, American Horror Story racconta una storia di pura finzione arricchita da di elementi reali che hanno connotato il burrascoso passato statunitense.
La famiglia Harmon: la fragilità di Vivien e la razionalità di Ben
La famiglia Harmon (formata da Vivien, Ben e la loro figlia Violet) si trasferisce nella casa per cercare una nuova vita: dopo l’aborto spontaneo Vivien ha scoperto che Ben la tradisce con una studentessa di psicologia (Hayden) e adesso desidera solo ricominciare da capo. Ben vuole farsi perdonare e Vivien è disposta a farlo. La casa può essere un nuovo inizio, un modo per ritrovare quella felicità che la famiglia Harmon sembra aver perso ormai da tanto tempo.
La casa però porterà solo odio, dolore e morte. Interessanti sono i tre personaggi che compongono la famiglia: Vivien è fragile, distrutta dall’evento dell’aborto spontaneo e dall’idea di non poter avere più figli; Ben è pentito e Violet è la classica adolescente ribelle, destabilizzata dal trasferimento. Vivien sarà la prima ad accorgersi che la casa ha qualcosa che non va; lei sola riesce a percepire e a vedere un dolore che costituisce quella dimora dalle fondamenta e che lei ha (in piccola parte) vissuto. Ben invece rimarrà accecato dalla propria razionalità fino all’ultimo: come nota acutamente Federico Boni nel suo saggio (American Horror Story. Una cartografia postmoderna del gotico americano):
“Il dottor Harmon (psicologo) rappresenta l’incarnazione più evidente del fallimento della repressione e della rimozione […]. Alla fine, la sua miopia lo porterà a divenire un fantasma egli stesso, unendosi alla schiera di spettri che infestano la casa.”
Constance Landon: femme fatale o donna perseguitata?
Altro personaggio importantissimo è quello di Constance Langdon, che ricalca i tratti della figura letteraria della femme fatale ma anche della donna perseguitata, per la quale è impossibile essere felice. Madre di Tate e Adelaide (ma ha anche altri due figli) lei ha conosciuto solo il dolore nella sua vita. Tranne Tate, personaggio molto complesso con gravi problemi psicologici, i suoi figli sono nati tutti con gravi deformità e Adelaide ha la sindrome di Down.
“Credo che la nostra bellezza fosse un affronto agli dei” dice in uno dei suoi lunghi dialoghi con la signora Harmon, riferendosi a se stessa e a suo marito. Tradita dal coniuge, che lei stessa ha ucciso anni prima, Constance sembra la classica donna perseguitata dal destino e che sfoga le sue frustrazioni sulla figlia Adelaide, l’unica ad essere rimasta in vita. Questo cerchio di dolore e persecuzione si chiuderà (anche se non definitivamente perché rivedremo Constance anche nell’ottava stagione) con la morte di Adelaide, che avviene nella notte di Halloween. Investita da un’auto la ragazza muore sull’asfalto nonostante i disperati tentativi della madre di trascinarla in cortile. Solo coloro che mu
oiono nella casa (o nel cortile) possono infatti abitarla sottoforma di fantasmi. La morte di Adelaide rappresenta la morte dell’innocenza e della purezza: nel mondo crudele di Murder House non c’è spazio per la bontà.
“Una delle cose più confortanti dell’avere figli è sapere che la propria bellezza, non solo quella fisica, non svanirà ma verrà tramandata di generazione in generazione. Si dice che quando muore un genitore il figlio percepisca il senso della propria mortalità, ma quando muore un figlio è l’immortalità che il genitore perde” dice Constance a Violet parlando di Adelaide nella più totale disperazione, consapevole che la sua vita è ormai destinata ad essere caratterizzata solo da sofferenza e morte.
Quando scoprirà che Vivien è incinta del fantasma di Tate, Constance ricomincerà a vedere la luce, a capire che esiste una possibilità di riscatto nella sua vita triste (questo aspetto sarà approfondito nell’articolo su American Horror Story: Apocalypse in cui viene mostrato il rapporto tra Constance e il frutto malvagio del rapporto innaturale tra Tate e Vivien).
Quando l’egoismo supera l’amore: da Nora a Constance
Nel saggio di Daniel Montigiani ed Eleonora Saracino (American Horror Story. Mitologia moderna dell’immaginario deforme) gli autori tirano in ballo la figura della Mater dolorosa accostandola a Nora, una donna privata del proprio figlio poco dopo la sua nascita e in seguito morta suicida nella casa per non aver saputo reggere all’immenso dolore. A Constance invece viene dato l’epiteto di “matrigna”. Questi due titoli calzano a pennello con le due figure: Nora è una madre amorevole, ma perde suo figlio a causa della sua avidità, mentre Constance manifesta sempre una sorta di ostilità nei confronti di Adelaide e, inoltre, con l’aiuto dell’amante Larry, uccide Beau (uno dei figli deformi che la donna non riusciva ad accettare). Le due donne hanno però anche diversi aspetti in comune: entrambe desiderano uno dei due figli portati in grembo da Vivien perché vogliono riscattarsi, ribellandosi al loro crudele destino che le ha condannate all’infelicità.
Discorso del tutto diverso va fatto per Hayden e Lorraine, i cui i figli divengono vittime del loro egoismo. Hayden (amante di Ben) afferma di essere rimasta incinta solo per ricattare lo psicologo e convincerlo a lasciare Vivien per lei, causando in questo modo la propria morte e quella del figlio che porta in grembo. Lorraine, invece, uccide i suoi figli davanti agli occhi del marito. Quest’ultimo episodio ricorda molto la Medea di Euripide in cui Medea stessa uccide i propri figli per vendicarsi dell’infedeltà e dell’ipocrisia di Giasone. I motivi che spingono Lorraine a uccidere i suoi figli sono gli stessi, ma, a differenza di Medea, anche lei morirà con loro. Queste quattro figure femminili sono accumunate dall’egoismo: Hayden e Lorraine sacrificano i loro figli per vendetta, mentre Nora e Constance vogliono appropriarsi del figlio di Vivien per avere una seconda possibilità di felicità.
The Other e Murder House: l’inconsapevolezza di essere morti
Molto interessante è il rapporto tra Violet e Tate. La loro love story, che inserisce un po’ di teen drama nella commistione di generi che è AHS, costituisce buona parte della trama. Entrambi sono inconsapevoli di essere morti e, alla fine, quando Violet scoprirà i peccati di cui Tate si è macchiato (tra cui l’omicidio e la violenza sessuale) gli dirà addio per sempre (anche se in realtà nella stagione otto qualcosa cambierà). Il fatto di essere inconsapevoli della propria condizione di fantasmi è un altro cliché del genere horror, che ha caratterizzato film cult come The Others, in cui il colpo di scena finale svelava come i protagonisti fossero in realtà le vere presenze paranormali della casa che abitavano. Anche Murphy e Falchuk, svelando la morte di Tate attraverso dei flashback, vogliono sorprendere lo spettatore, ma ancor più rilevante è il modo in cui riescono a tenere nascosto il fatto che anche Violet sia morta; e, come in The Others, il personaggio diventa consapevole della propria condizione solo nel momento in cui lo scopre anche lo spettatore.
Il tema del doppio: Moira e la gravidanza di Vivien
Assai ricorrente in American Horror Story è il tema del doppio. In Murder House, infatti, questo tema è presente nella cameriera Moira e nella gravidanza di Vivien. Moira, la cameriera degli Harmon ma in realtà uno dei tanti fantasmi della casa (uccisa proprio da Constance), assume le sembianze di una giovane donna seducente e provocante di fronte agli uomini e quella di una innocente anziana di fronte alle donne. Moira cerca di spingere Ben a tradire Vivien nuovamente corteggiandolo e stuzzicandolo, generando così equivoci abbastanza comici. Solo alla fine anche Ben, capendo che forse c’èqualcosa che trascende la sua razionalità, riuscirà a vedere Moira come è realmente e non come una ragazza sexy e sfrontata.
“Congratulazioni dottor Harmon. Finalmente vede le cose come sono in realtà” dice Moira subito dopo che Ben le chiede di raccontargli cosa sia successo davvero in quella casa.
Anche nella gravidanza di Vivien è presente il tema del doppio. I due gemelli che porta in grembo sono di due padri diversi (caso rarissimo di super fecondazione eteropaternale): uno è di suo marito Ben, l’altro del fantasma di Tate. Quindi, mentre uno rappresenta l’innocenza, l’altro è il male puro, anzi, l’anticristo (come viene spiegato in una delle puntate successive).
La pace nella morte: un finale quasi shakespeariano
Tra i fantasmi della casa molti sono malvagi, rancorosi e vendicativi; altri invece non hanno interesse a mostarsi; altri ancora cercano di aiutare la famiglia Harmon. L’esempio più evidente di quest’ultimo caso si ha con Moira, che cerca di aiutare Vivien durante la gravidanza, e con i fantasmi che aiutano la stessa Vivien durante il parto in cui la donna perderà la vita. Anche Ben non riuscirà a salvarsi e morirà all’interno della casa. In questo modo la famiglia Harmon sembra ritrovare però una felicità perduta: legati dallo stesso destino e intrappolati nello stesso luogo, si ritroveranno uniti come non mai, in un finale quasi shakespeariano in cui solo la morte può mettere fine ai tormenti dei protagonisti.
Dal gotico al grottesco
Lo stile principale in “American Horror Story: Murder House” è perlopiù il gotico. La casa rievoca le grandi dimore dei primi film gotici e tantissimi sono i richiami al Frankenstein di Mary Shelley. Di grande importanza sono anche le lotte interiori dei personaggi, cardini imprescindibili della letteratura gotica. Sono presenti anche molti elementi grotteschi, tra cui la tuta di lattice nera lasciata nella casa dai precedenti proprietari e usata da Tate mentre compie le sue azioni più terribili.
“American Horror Story: Murder House” è senza dubbio una delle migliori ed è ammirabile come i due autori siano riusciti a riprendere un classico elemento dei film horror (la casa) e a reinventarlo totalmente, inserendolo in un progetto molto più ambizioso di una normale pellicola e raccontando una storia particolare che si intreccia con fatti di cronaca.
I fantasmi che Murphy e Falchuk rievocano, non spaventano attraverso possessioni e jumpscares, ma ricordano un passato reale, oscuro e doloroso. Un passato che continua ad abitare l’America e che, proprio come i fantasmi nella casa, è destinato a rimanervi.