Storie vere, leggende urbane o fatti di cronaca che porteranno un po’ di brivido al vostro sabato sera.
Anche questa settimana restiamo negli Stati Uniti, ma a differenza dell’ultima volta parliamo di uno tra i venti serial killer più terrificanti della storia. Stiamo parlando di Albert Fish, il quale si vantò di aver molestato oltre 400 bambini e di averne ucciso almeno 100. Avvertiamo che in questo racconto verranno descritte situazioni che potrebbero urtare la sensibilità di alcune persone.
L’infanzia di Albert Fish
Albert Fish nacque a Washington dalla madre di origine irlandese Ellen e dal padre americano Randall. Quest’ultimo, all’epoca della sua nascita aveva 43 anni in più rispetto alla moglie. Tuttavia, in precedenza avevano avuto altri figli: Walter, Annie e Edwin.
Purtroppo, il protagonista della nostra storia non ha tutte le colpe per quello che fece negli anni successivi. Infatti, nella sua famiglia molti soffrivano di disturbi mentali. Per esempio, lo zio era affetto da mania (una fase del disturbo bipolare che alterna fasi depressive e maniacali, le quali possono condurre alla schizofrenia); un fratello venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico; alla sorella venne diagnosticata una situazione mentale che comprendeva rabbia, depressione, gelosia e altre emozioni distruttive.
In seguito alla morte del padre, a causa di un attacco di cuore, la madre mise Albert in un orfanotrofio nel 1875, all’età di 5 anni. Qui iniziò a subire regolarmente abusi e cominciò a sviluppare una sorta di piacere per il dolore. La sua permanenza continuò fino ai 9 anni perché, nel 1880, la madre trovò lavoro e poté riprendere il figlio. Questo evento, molto belle per il bambino, portò a una conoscenza che forse non sarebbe mai avvenuta se fosse rimasto là dentro.
All’età di 12 anni incontrò un ragazzo, il quale lo introdusse alla urofilia e alla coprofagia. Ne divenne talmente affascinato da passare ore e ore nei bagni pubblici per guardare uomini svestiti nel momento delle loro espletazioni corporee.
L’inizio dei crimini
Nel 1890 arrivò a New York diventando un gigolò e cominciando a violentare giovani ragazzi. Solo 8 anni più tardi, Ellen, la madre combinò il matrimonio con Anne Mary Hoffman, con la quale ebbe sei bambini: Albert, Anna, Gertrude, Eugene, John e Henry.
Mentre continua a molestare bambini sotto l’età di sei anni, nello stesso anno lavora come imbianchino e conosce un ragazzo che lo porta al musei delle cere. Qui Albert Fish rimase affascinato dalla bisezione di un pene e divenne ossessionato dalla mutilazione sessuale. Fortunatamente, nel 1903 lo arrestarono e lo rinchiusero a Sing Sing fino al 1910.
Trasferitosi nel Delaware incontrò lo sfortunato Thomas Kedden, con cui iniziò una relazione sadomasochista. Sebbene non ci siano prove certe, nelle sue dichiarazioni l’uomo affermò che il compagno fosse mentalmente disabile. A un certo punto Fish decise di portarlo in una fattoria abbandonata per torturarlo nel corso di due settimane. Con l’intenzione di ucciderlo, inizialmente, lo legò e gli tagliò l’organo sessuale a metà. Avendo paura di attirare troppe attenzioni, però, decide di non fare a pezzi il corpo per portarlo a casa, ma versò del perossido di idrogeno sulla ferita, lo avvolse in un fazzoletto coperto di vasellina e diede il bacio di addio alla vittima, lasciandolo lì in fin di vita.
Nel 1917 la moglie lo lascia per un altro uomo, lasciandolo a crescere i figli da solo. Intorno a questo periodo cominciò ad avere delle allucinazioni uditive. Per esempio, una volta si avvolse in un tappeto dicendo di averlo fatto su richiesta dell’apostolo Giovanni.
Parafilie di Albert Fish
Prima di continuare è utile aprire una piccola parentesi sulle parafilie che sviluppò Albert Fish. Innanzitutto, si tratta di pulsioni erotiche che riguardano oggetti o animali e comportano sofferenza e umiliazione verso se stessi o altre persone.
Quella più grave, per il nostro serial killer, consisteva nell’inserire nel proprio corpo aghi di varie dimensioni, soprattutto nell’inguine e nel perineo. Si dice che 29 di questi fossero perennemente infilzati nella carne. Aveva provato anche inserirne uno nello scroto, ma era risultato troppo doloroso. Inoltre, ha dichiarato di aver sempre voluto provare a infilare il gambo di una rosa nel proprio membro e poi mangiarsi i petali.
Ad ogni modo, altre parafilie includevano: sadismo, masochismo, flagellazione, voyeurismo, pedofilia, cannibalismo, castrazione e vampirismo.
L’ossessione per il cannibalismo si sviluppò in seguito, quando cominciò a cucinarsi piatti composti da carne totalmente cruda, offrendola anche ai suoi figli, mentre cercava di instradarli all’arte dell’autolesionismo.
Gli omicidi e Grace Budd
Nel 1919 pugnalò un ragazzino con problemi mentali. Infatti, il killer era solito scegliere bambini con difficoltà o afroamericani, in quanto sosteneva che nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Fish torturava le sue vittime innocenti con una mannaia, un coltello da macellaio e una piccola sega.
Nel 1924, la piccola Beatrice Kiel (8 anni) stava giocando da sola nella fattoria dei genitori. Qui incontrò l’uomo che le offrì del denaro per aiutarlo a raccogliere del rabarbaro. Per fortuna la madre se ne accorse e cacciò via lo psicopatico prima che potesse far del male alla figlia.
Nel 1928 Albert vide sul giornale l’annuncio di un uomo che cercava lavoro, Edward Budd. In un primo momento pensava di fare di lui la sua prossima vittima, legandolo, mutilandolo e lasciandolo morire dissanguato. Quindi, si presentò come Frank Howard con la scusa di volerlo assumere e promettendo di fare ritorno qualche giorno dopo. Quando tornò, però, conobbe Grace Budd, la sorella di soli 10 anni. Si inventò così la storia di dover andare alla festa di compleanno di sua nipote e chiese di poter portare con sé Grace. I genitori fecero l’errore di accettare e non videro mai più la figlia. Prima di essere scagionato, la polizia arrestò il sovrintendente di un palazzo Charles Edward Pope, il quale rimase in prigione per più di 100 giorni.
Nel 1934 arrivò una lettera anonima, che in seguito condusse a Fish, alla madre della bambina. Ecco un estratto:
Il 3 giugno 1928 vi ho chiamato. Abbiamo pranzato. Grace si sedette sulle mie gambe e mi baciò. Avevo l’idea di mangiarla e ho finto di portarla a un compleanno. Voi avevate detto di sì. L’ho portata in una casa vuota. Le ho detto di rimanere fuori. Lei raccoglieva fiori. Io sono entrato e mi sono spogliato altrimenti mi sarei macchiato i vestiti. L’ho chiamata dentro. Quando mi ha visto nudo ha iniziato a piangere e ha provato a scappare. L’ho afferrata e lei ha urlato che lo avrebbe detto a sua madre. Le ho strappato i vestiti, ma lei scalciava, graffiava e mordeva. L’ho soffocata e l’ho tagliata in piccoli pezzi, così da poterla cuocere e mangiare. Com’era dolce e tenero il suo piccolo sedere cotto al forno. Ho impiegato nove giorni. Non l’ho scopata, anche se avrei voluto. È morta vergine.
Billy Gaffney
Un anno prima, nel 1927, Billy Gaffney stava giocando con un amico sulla veranda dell’appartamento della sua famiglia. Quando Billy sparì, l’amico disse che lo aveva preso l’Uomo Nero. L’autista di un tram disse di aver visto un signore anziano, che corrispondeva alle foto di Fish, insieme a un bambino piangente. Purtroppo, il killer buttò parti del corpo in una fossa comune e la polizia non li ritrovò mai.
La madre andò dall’assassino del figlio, una volta in prigione, per avere più dettagli. Ecco alcune sue dichiarazioni:
Creai un gatto a nove code con la mia cintura e lo frustai. Gli tagliai il naso, gli tagliai la bocca da orecchio a orecchio. Gli strappai gli occhi. a questo punto era già morto. Incisi a metà la pancia e ne ho bevuto il sangue. […] Tagliai testa, braccia, gambe e piedi, le misi in un sacco e gettai tutto in dell’acqua salmastra. Affondarono subito. Avevo davanti a me la parte che preferivo, un bel sedere da arrostire in forno e mangiare. Con i pezzi della faccia feci un bello stufato. Aggiunsi cipolle, carote, rape, sedano, sale e pepe. Buono.
Nella restante parte del discorso racconta di come ha preparato, cucinato e assaporato le altre parti del povero Billy. Concluse dicendo che per finirlo tutto impiegò quattro giorni.
L’arresto e la condanna a morte di Albert Fish
Proprio grazie alla lettera inviata ai genitori di Grace, nello specifico all’emblema che riportava, la polizia riuscì a capire che il mittente era Albert Fish. L’uomo acconsentì di farsi interrogare, ma giunto sulla porta della centrale tentò di aggredire il capo investigatore con un rasoio. Una volta disarmato non cercò nemmeno di negare l’omicidio di Grace, ma aggiunse che aveva intenzione di tornare in quella casa anche per uccidere il fratello Edward.
L’11 marzo 1935 ebbe inizio il processo. molti psichiatri espressero la loro opinione sul caso, il più influente fu Fredric Werthman, specializzato nello sviluppo dei bambini, che dichiarò l’imputato non sano di mente. Un’altra testimone chiave fu una figlia di Fish, la quale raccontò episodi in cui il padre, con la scusa del gioco, si faceva picchiare dai figli per procurarsi piacere dal dolore. La giuria lo dichiarò sano di mente e lo condannò a morte.
Il 16 gennaio 1936, alle ore 23:06, Albert Fish si sedette sulla sedia elettrica e venne dichiarato morto tre minuti più tardi. Le sue ultime parole furono: “Non so ancora perché sono qui“.