Per produrre suspense, nella sua forma più comune, è indispensabile che il pubblico sia perfettamente informato di tutti gli elementi in gioco. Altrimenti non c’è suspense.
Geniale, al di là dello stereotipo e per questo questo difficile da classificare: Alfred Hitchcock, a quasi quarant’anni dalla sua morte, rimane stabilmente nella lista delle icone più geniali del XX secolo, capace di dare un senso profondo ed unico alla parola suspense, attraverso le sue opere.
Rivoluzionando il ruolo del regista, dandogli maggiore importanza e ponendolo al centro dello sviluppo dell’opera e del suo processo di creazione, Sir Alfred ha posto le basi di questa figura che oggi, in un film, può fare la differenza tra il successo ed il flop, riuscendo al tempo stesso ad imprimere il suo stile rispettando le esigenze commerciali del momento.
Nato a Leytonstone il 13 agosto del 1899, è grazie alla famiglia che si innamora del teatro. Oltre a questo, la lettura di grandi artisti letterari come Edgar Allan Poe e Gustave Flaubert alimenta la sua fantasia, arrivando poco dopo alla passione per il cinema. Inizia come dirimpettaio e tutto fare, ma le qualità già si vedono anche nei ruoli più marginali che occupa e nel 1925 esordisce con Il Labirinto delle Passioni.
Il primo film in cui la suspense farà da padrona sarà The Lodger, nel 1927. Due anni dopo, Blackmail sarà il primo film sonoro inglese. Inizialmente venne girato come una pellicola muta, in cui solo l’ultima bobina doveva essere sonorizzata, ma il regista si oppose, e si decise quindi di rigirare alcune scene registrando anche il suono e i dialoghi.
A Hitchcock piace spaziare tra vari generi, sondare il terreno e dare spazio alla fantasia, anche basandosi spesso su riduzioni di romanzi o trascrizioni cinematografiche di commedie celebri.
Dopo il periodo delle spy story e del ciclo di sei thriller classici, inizia la sua vita artistica nel cinema americano dando vita a molti film: Rebecca – La prima moglie (Oscar per la produzione e fotografia), Il sospetto, Il signore e la signora Smith, L’ombra del dubbio, Io ti salverò e tanti altri ancora, rispettando sempre le tematiche del momento, come l’impegno patriottico durante la guerra mondiale e la voglia di documentare gli orrori dell’olocausto, con il documentario Memory of the camps.
Gli anni 50 ed il riconoscimento meritato
Seguendo il decennio d’oro del 1950 di Hollywood, anche Sir Alfred ottiene finalmente la notorietà: passando prima alla Warner Bros. e poi girando alcuni episodi della famosa serie Alfred Hitchcock presenta. Impossibile non averne mai visto la sigla, fra citazioni e omaggi presenti in molte opere dei giorni nostri.
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Dal 1956 sforna una serie di capolavori, di cui un paio sono ormai punti di riferimento per noi amanti dell’horror: Psycho e Gli Uccelli. In seguito arrivò un periodo difficile, coincidente con la fine della carriera e l’arrivo di alcuni problemi di salute. Chiude la sua grande carriera con il film Complotto di famiglia, nonostante vari progetti ancora da portare a termine rimasti ahinoi solo nella sua mente.
Il mondo di Hitchcock
Ciò che colpisce nella maggior parte dei suoi film è il suo modo di interpretare le riprese: la telecamera non solo riprende ciò che succede, ma concede allo spettatore uno sguardo da spia, il posto migliore da cui scorgere l’azione, sia trattando il tema indirettamente che direttamente, attraverso l’intensificazione di oggetti come lenti, cannocchiali, macchine fotografiche.
Le emozioni sono il perno delle sue opere: tutto gira intorno ad esse, niente è estemporaneo o gratuito. Non importa che le vicende siano iper realistiche, contano soltanto le sensazioni che esse riescono a suscitare nello spettatore. Per arrivare a questo risultato, pure gli oggetti ed i luoghi diventano espressivi, raccontano storie.
https://youtu.be/md6folAgGRU
La suspense: come attrarre lo spettatore
Credo che il modo miglior per far capire cosa fosse la suspense per Hitchcock sia proprio attraverso le sue parole:
La differenza tra suspense e sorpresa è molto semplice e ne parlo molto spesso. Tuttavia nei film c’è spesso confusione tra queste due nozioni. Noi stiamo parlando, c’è forse una bomba sotto questo tavolo e la nostra conversazione è molto normale, non accade niente di speciale e tutt’a un tratto: boom, l’esplosione. Il pubblico è sorpreso, ma prima che lo diventi gli è stata mostrata una scena assolutamente normale, priva di interesse. Ora veniamo al suspense. La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto – c’è un orologio nella stanza – ; la stessa conversazione insignificante diventa tutt’a un tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: «Non dovreste parlare di cose così banali, c’è una bomba che sta per esplodere da un momento all’altro». Nel primo caso abbiamo offerto alla platea quindici secondi di sorpresa al momento dell’esplosione. Nel secondo caso gli offriamo quindici minuti di suspense. La conclusione di tutto questo è che bisogna informare il pubblico ogni volta che è possibile, tranne quando la sorpresa è un twist, cioè quando una conclusione imprevista costituisce il sale dell’aneddoto.
Un concetto che letto oggi sembra quasi una frecciata alla direzione che stanno prendendo i film horror dell’ultimo periodo: allo spettatore piace rimanere sorpreso, ma la suspense, l’ansia ed il logorio di sapere un qualcosa sin dall’inizio ma che ai protagonisti del film non è ancora presente, riempirà le teste degli spettatori per mesi ed anni a venire.
Come spesso accade, sia nel cinema che nella vita, il miglior modo per riscoprire dei nuovi modi di vedere il mondo è basarsi sulla storia, sugli errori commessi ed i passi avanti realizzati: che sia l’ora di smettere di cercare di spaventare lo spettatore e cercare un nuovo modo per incutere paura?