Come il film di Ridley Scott cambiò per sempre la storia del cinema creando un franchise al giorno d’oggi ancora attivo.
Era il giugno del 1979 quando, a quasi 10 anni dall’allunaggio di Apollo 11 che emozionò l’umanità intera, uscì nelle sale americane il capolavoro di Ridley Scott, Alien. Un film che terrorizzò gli spettatori di tutto il mondo e che cambiò drasticamente la storia del cinema, creando un perfetto connubio tra horror e fantascienza, sino ad allora poco esplorato e ancora fresco di uno scenario leggero e fantasy dovuto all’uscita, nel 1977 di Star Wars: Una nuova speranza.
Probabimente, ai tempi, Scott nemmeno si rese conto di quello che aveva creato e di ciò che la sua “creatura” avrebbe generato in futuro. Oltre a porre delle fondamenta per tutta la fantascienza successiva e creare un franchise forse ancora attivo oggi, il film donò al mondo l’iconico mostro, ideato da Hans Ruedi Giger (noto scultore e artista svizzero) e animato da Carlo Rambaldi, entrato nell’immaginario collettivo e divenuto, come accadrà successivamente per il “Predator”, un’icona.
Il successo del primo film generò un franchise rigoglioso: complessivamente vi si aggiungeranno 3 sequel e 2 prequel, l’ultimo dei quali (Alien:Covenant) uscito esattamente un anno fa e 2 spin-off che accanto all’Alieno vedranno come coprotagonista “Predator“. Per non contare i numerosi corti liberamente ispirati.
Di pari passo alla produzione filmica non indifferente è il volume delle opere letterarie e videogiochi prodotti. Tutto questo è andato nel corso degli anni ampliando di volta in volta la leggenda di questa saga edificando un mondo complesso ed una mitologia ben delineata. L’Alien diventa icona illustrante l’idea di terrore, e per definizione riproducibile, espansibile a tutti i media.
Dopo quarant’anni è lecito chiedersi perché questo film abbia generato un brand così florido e sempre attivo ma soprattutto se sia ancora capace di terrorizzare gli spettatori moderni.
La Nostromo, Ripley e quelle strane uova aliene
Alien narra le vicissitudini dell’equipaggio della nave spaziale Nostromo, di rientro da una missione commerciale al di fuori dal sistema solare. A bordo della nave, i sette membri: il capitano Dallas, il vice capitano Kane, l’ufficiale scientifico Ash, il capo tecnico Parker, il braccio destro Brett, il tenente Ellen Ripley (Sigourney Weaver) e la navigatrice Lambert. Mentre l’intero equipaggio dorme in stato di ibernazione, il computer di bordo Mother (tradotto in italiano Mater) intercetta un segnale di soccorso da una luna limitrofa. Tre membri dell’equipaggio lasciano l’astronave per esplorare l’area sulla luna e scoprono, oltre allo scheletro di un gigante astronauta, una colonia alveare di alcune creature sconosciute. Quando una delle uova viene disturbata, uno dei tre viene attaccato da una sorta di mano aliena, rischiando di soffocare. Ai compagni non resta quindi altro da fare che farlo rientrare sulla navicella per cercare di salvarlo, scontrandosi col parere opposto di Ripley, che insiste per applicare il protocollo di quarantena che comporterebbe l’impedire al contaminato di salire sulla navicella, evitando così un eventuale contagio. Sarà la decisione illecita dell’ufficiale scientifico Ash a far sì che Kane rientri a bordo, con tutte le terribili conseguenze del caso.
Alien è un film che poggia le sue basi nella fantascienza, ma è la componente orrorifica che lo caratterizza, collocandosi in un periodo storico dove il cinema dell’orrore stava approdando a nuove forme, come quella dello slasher. A inaugurare ufficialmente questo genere ci penseranno Craven e Carpenter, con film come Nightmare e Halloween, ma non è da escludere che qualche germe dello slasher sia stato piantato nel film di Scott, come per esempio il cliché del gruppo di persone uccise una dopo l’altra. Il regista britannico voleva terrorizzare gli spettatori, portando la paura e l’angoscia dell’horror nello spazio. Creando quindi un proto-slasher fantascientifico.
Inutile dirlo, Ridley Scott vi riuscì. Il merito va dato a tutti i reparti che lavorarono con professionalità e originalità, a partire dalla sceneggiatura di Dan O’Bannon. Solida e avvincente, fu il frutto della rielaborazione di precedenti opere fantascientifiche tra cui: Terrore nello spazio (1965), del quale il film deve la sequenza del ritrovamento della carcassa aliena (forse uno degli ‘ingegneri’ di Prometheus); L’invasione degli ultracorpi (1956) dal quale prese l’idea della specie aliena che usa il corpo degli esseri umani come ospite per proliferarsi; Il mostro dell’astronave (1958), dal quale il film ha in comune gran parte della trama. Oltre al’ispirazione generale verso 2001: Odissea nello spazio, che si vede soprattutto per come Scott gira le scene nel cosmo e quelle iniziali nei corridoi dell’astronave dove la macchina da presa si insinua strisciante all’interno dei meandri della Nostromo, mentre l’equipaggio dorme in stato di ibernazione, ignaro dell’incubo che li attenderà.
L’astronave assume connotati ancora più inquietanti quando sappiamo che nei condotti dell’aria vaga liberamente un mostro alieno assassino privo di morale o scopo, che uccide tutti a prescindere, solo per sopravvivenza.
Un corpo abominevole, nero come lo spazio, il cui corpo assume una chiara forma fallica con la testa allungata e un’estensione protrattile alludendo a una metafora sessuale. L’equipaggio rimane impotente e attonito di fronte alla furia omicida del mostro. Una bestia senza morale, senza pensieri, senza dubbi o esitazioni, un essere inesorabile.
La prigione tecnologica già lugubre all’inizio del film diventa un luogo dove nessuno vorrebbe mai trovarsi, diventa la casa stregata, la foresta con la luna piena, la cripta, il castello gotico. Lo spettatore rimane senza fiato e il sensazione di claustrofobia diventa incontenibile. Lo spazio siderale si trasforma in luogo che inghiotte le urla della carneficina che si consuma all’interno della Nostromo, senza che il resto dell’umanità ne sappia nulla o possa fare qualcosa.
Attori come carne da macello, tutte figure ben definite e anche un po’ stereotipate, che hanno reazioni plausibili alla minaccia aliena, come quando si bloccano per la paura quando nasce lo Xenomorfo. Ian Holm, John Hurt, Tom Skerrit, Harry Dean Stanton per citarne alcuni. Memorabile la prova di Sigourney Weaver, con il suo sguardo deciso e sfuggente, e i folti capelli scuri che si taglierà nel terzo capitolo, che inizia il film come secondario per poi diventare protagonista assoluta quando la situazione precipita.
Il film entra nell’immaginario anche grazie alla Nostromo: la nave cargo creata da Michael Seymour si presenta come un dedalo di fili e cavi, aggrovigliati e amalgamati da grasso, polvere e vapore, che gocciola in una leggera pioggia lasciando già presagire il clima opprimente stile Blade Runner.
Il vero antagonista del film, e del resto dell’intera saga, sembra essere non tanto lo Xenomorfo, che come già detto risponde a un semplice istinto di autoconservazione, ma proprio l’avidità e la smania della Weyland-Yutani, la corporation per la quale lavora l’equipaggio, il cui unico obiettivo è quello di portare sulla terra l’alieno per crearne un arma. Stesso dicasi per i componenti dell’equipaggio, che appena svegliati dall’ipersonnia altro non fanno che parlare di compensi, contratti e giusta retribuzione. In questo primo capitolo Scott evidenzia come il pensiero dell’uomo sia offuscato dalla smania di potere e dalla voglia di denaro.
Con il primo Alien, viene posta una pietra miliare del cinema, uno di quei film che intratteneva ma che sapeva anche far riflettere, una cosa abbastanza rara di questi tempi dove sembra che l’intrattenimento e anche la paura siano diventati fini a stessi.
Aliens – Scontro Finale
È però con il secondo capitolo che il successo commerciale del brand si concretizza e si stratifica anche a un pubblico più giovanile. Questo perché il sequel di Cameron dava una prospettiva molto più d’azione e meno horror rispetto al primo. Gli Alien che Ripley e un gruppo di soldati trovano sul pianeta LB 426 sono un’infinità, un nido di formiche molto più facili da uccidere rispetto al primo. Un sequel visionario e violento che ribalta la scelta stilistica di Scott a favore degli effetti speciali, come sempre nella carriera del regista. Indimenticabile e forse il più iconico dopo il primo: come scordare l’armatura tecnologica con cui Ripley affronta lo Xenomorfo? Un film squisitamente ricco di azione e suspense quanto il primo lo era di tensione e angoscia.
Alien³
Con il terzo capitolo il brand passa nelle mani di vari registi per poi venir assegnato a un giovane proveniente dai videoclip, David Fincher. La sceneggiatura, che passa di mano in mano tra sei diverse persone, viene cambiata di continuo e spesso il povero regista riceve lo script definitivo a pochi minuti dalle riprese.
Dopo gli eventi di Aliens, Ripley ha perso i suoi compagni ed è atterrata in una colonia penale popolata da fanatici religiosi, portandosi dietro pure un facehugger. Un cane verrà utilizzato come ospitante per il parassita e nascerà un nuovo tipo di Xenomorfo, velocissimo e più aggressivo, essendo nato da un Rottweiler. Non solo: questa volta Ripley ne sta incubando uno nel proprio corpo, a seguito del contatto avuto mentre era in criosonno.
Ciò che il film perde per una sceneggiatura incompleta, lo recupera alla grande grazie alla regia. Perfette le soggettive dell’alieno che ne esaltano la grande velocità e forza fisica.
Il concept di questo terzo capitolo è quello di tornare alle atmosfere claustrofobiche del primo, cambiandone la location e rendendo ancora più ostica la situazione per i prigionieri. Infatti se nel primo l’equipaggio della Nostromo aveva la possibilità di utilizzare i lanciafiamme, qui per ovvi motivi (ci troviamo su un pianeta prigione) le armi sono ridotte e inefficaci e i sopravvissuti dovranno giocare di astuzia usando il metallo delle macchine siderurgiche per battere un essere molto più forte e veloce rispetto a tutti quelli già incontrati nella saga.
Bella la tensione e i rapporti tra Ellen Ripley e i prigionieri (tutti maschi), virtuosa e dinamica la regia del Fincher di inizio carriera e indimenticabili i capelli rasati di Sigourney Weaver, che decise di tagliarli per davvero, oltre che a ficcare parte dei suoi soldi in qualità di associate producer. Se l’Alien viene visto come il diavolo in persona, lei appare agli altri prigionieri come una tentatrice, ricollegandosi in qualche modo al tema della sessualità che ha da sempre caratterizzato questa saga. Sembra che gli uomini siano più preoccupati di Ripley che non dello Xenomorfo, sono meno preoccupati dell apocalisse che non di una donna che potrebbe risvegliare in loro degli istinti faticosamente repressi dalla fede. Mistica la scena finale, in stile Terminator 2. Anche questo film incassò bene e lanciò la carriera di David Fincher nei blockbuster hollywoodiani.
Alien: La Clonazione del 1997 di Jean Pierre Jeunet è la chiusura del cerchio della quadrilogia originale di Alien. Dopo la scoperta dello Xenomorfo (Alien), la sua moltiplicazione (Aliens) e la sua resa esponenziale (Alien 3), il film trova nel quarto capitolo della saga la resurrezione: il mostro per la prima volta si fa uomo in una visione quasi biblica. Viene affidata una nuova sceneggiatura, scritta da Joss Whedon (Avengers) a Jean Pierre Jeunet, il regista del Favoloso mondo di Amelie (2001).
Si tratta forse il film peggiore della saga, molto più fracassone dei precedenti, grottesco e stravagante, spingendo sull’acceleratore per quanto riguarda gli effetti speciali: il quarto capitolo tenta di unire la claustrofobia del primo all’azione muscolare di quello di Cameron. Vano. La tensione è smorzata continuamente dalle battute di personaggi scritti da Whedon troppo sopra le righe, che anticipano già un certo tipo di umorismo che troveremo nei film dei Marvel Studios. Assistiamo a scene che puntano molto sullo splatter e sull’effetto speciale, godibili agli occhi e ben girate ma che cambiano totalmente il registro che dall’horror si sposta sulla commedia/azione.
È lo scontro tra due stili agli opposti, da una parte una sceneggiatura più action e divertente, dall’altra una regia e uno stile allucinato e grottesco. Negli altri capitoli questo non succedeva perché script e regia andavano di pari passo.
Nonostante i vari problemi, il film non annoia e si arriva alla fine senza problemi: molto bello l’inseguimento sott’acqua, teso e terrificante, a riprova che il regista fosse capace di girare.
Alien: La Clonazione è anche un videogame, infatti il brand della 20th Century Fox permise la realizzazione di numerosi videogiochi per varie piattaforme. Dal primo gioco del 1982, che sostanzialmente era un pac man con Xenomorfi, al primo sparatutto del 1996 Alien Trilogy, per PlayStation, fino ad arrivare al più recente Alien: Isolation.
Spaventosi anche i videogiochi del crossover Alien vs Predator, tra i quali era possibile combattere scegliendo le tre razze: umani, Predators e Xenomorfi.
Crossover malriuscito, del 2004, il film. Ingenuo e scialbo, un prodotto troppo scadente per sperare che potesse portare freschezza nella saga di entrambi i mostri. Una pellicola insipida che seppur partendo da un idea interessante come il ritrovamento della piramide in Antartide, presto precipita nel cliché con personaggi stereotipati e caratterizzati solo superficialmente. Lo scontro stesso tra i due mostri diventa una baracconata che sacrifica il terrore in funzione dell’azione videoludica. Azione gestita male, con troppi rallenty e un montaggio iperveloce. Dei due film si salvano solo i ben riusciti effetti speciali, visto che i registi provenivano proprio da quel settore.
Passati molti anni, e dopo il passo falso dei crossover Alien vs Predator, a Ridley Scott tornò l’idea di un nuovo capitolo. Si trattò questa volta di un prequel, scritto da Damon Lindelof, sceneggiatore conosciuto per la serie Lost, che andava a creare una backstory antecedente il primo Alien, con personaggi nuovi e una nuova storia.
Torna Scott con Prometheus
Nel 2012, uscì Prometheus, il tanto atteso ritorno di Scott sulla sua creatura. Il tentativo di riaffermare la grandezza dei primi capitoli, dimenticando i flop precedenti e ridando linfa vitale e freschezza al brand.
Che con questa pellicola ci sia stato un cambiamento lo so capisce subito dalla sequenza iniziale. Sopra una cascata d’acqua, che potrebbe trovarsi sulla terra, arriva un’astronave aliena e un essere umanoide beve uno strano liquido nero. L’astronave lo abbandona, l’essere imponente e dal fisico scultoreo (poi chiamato ingegnere) si sfalda, distrutto dal liquido e cade dalla cascata. Vediamo poi i frammenti del suo DNA ricombinarsi con l’acqua e quindi, creare la vita. Sublime.
Scott ha creato una nuova mitologia, in cui una squadra di esploratori scopre degli indizi sulle origini dell’umanità, cercando le risposte sul pianeta (una luna più che un pianeta) LV-223. A capo di questa spedizione la visionaria scienziata Elizabeth Shaw, una donna ferma sulle sue decisioni e pronta a cercare le più grandi risposte del genere umano: Chi siamo? Da dove veniamo?
Ad accompagnare un team di scienziati ed esploratori che non solo avranno difficoltà a gestire la missione ma dovranno fare i conti con entità che sarebbe meglio non andare a disturbare. Una razza superiore pronta a giustiziare solennemente qualsiasi cosa gli giunga al cospetto. Domande senza risposta e un team del quale non ci si può fidare pienamente.
La cosa che spicca del film è la vastità e la profondità di ogni singola inquadratura, che assieme al montaggio di Pietro Scalia, si oppone all’ambiente claustrofobico del primo e mette timore per la spazio sconfinato, facendoci pensare un’altra volta a quanto poco sappiamo e quanto siamo piccoli in mezzo alle stelle.
Il capitolo forse più controverso e odiato, assieme ad Alien: Covenant che più si stacca dai primi film, che vuole lasciare un’impronta propria e che cerca di inserire tematiche complesse all’interno di una saga commerciale.
David, interpretato da Michael Fassbender, androide capace di provare emozioni umane e parlare con il suo creatore nonché il fondatore della Corporation, Peter Weyland.
Il film divise molti spettatori: chi gridò al capolavoro e chi lo denigrò considerandolo un film pretenzioso e dove i personaggi agiscono senza usare il cervello. Una pellicola molto complessa che non spiega, se non pochissimi assunti e lascia molte, moltissime domande senza risposta. Un po’ come la vita.
Con Prometheus e Covenant termina per ora la saga cinematografica, da considerarsi in pausa, visto il flop di quest’ultimo al botteghino, ma la Fox ha deciso di iniziare a lavorare sul piccolo schermo, per tenere ancora vivo l’interesse per il franchise.
La nostra speranza è proprio questa, magari anche grazie alle future uscite videoludiche e a serie tv che possano ampliare l’Alien World, senza distruggere il lavoro quarantennale della saga.