La seconda stagione di American Horror Stories è uscita completamente in Italia, con l’ultimo episodio che è stato caricato su Disney Plus mercoledì 7 dicembre. Dopo una prima stagione che aveva deluso la maggior parte dei fan di American Horror Story, di cui Stories è lo spin-off, a causa di episodi considerati non all’altezza della serie madre, anzi, in alcuni casi, persino irrispettosi. Quest’ultima critica aveva riguardato perlopiù le puntate sulla Murder House, colpevoli di aver sovvertito quasi del tutto l’universo che, intorno alla casa, era stato costruito in AHS: Murder House e AHS: Apocalypse.
Nella seconda stagione di American Horror Stories troviamo un solo riferimento esplicito alla serie madre (nel primo episodio, La Casa delle Bambole), ma in generale quasi ogni puntata funziona e riesce a raccontare qualcosa di interessante in appena 40 minuti (circa). Vediamole nel dettaglio.
Episodio 2×01 – La Casa delle Bambole (Dollhouse), diretta da Loni Peristere e scritta da Manny Coto
Dollhouse sembra riuscire laddove quasi tutte le puntate della prima stagione avevano miseramente fallito: portare sullo schermo un episodio che, seppur breve e semplice, possa intrattenere e dire effettivamente qualcosa agli spettatori. Manny Coto, qui sceneggiatore, sembra ricordarsi che Stories nasce dal grembo di una serie più importante e storica, di cui è palesemente e dichiaratamente spin-off: American Horror Story. Il fandom da accontentare, il target di riferimento è, quindi, quello di AHS e il trucco migliore per accontentare tale fandom è quello di creare più collegamenti possibili tra le due serie. Nella prima stagione non si era fatto niente di tutto ciò (se non creare, come abbiamo visto, una grande confusione con la Murder House), Dollhouse, invece, sembra un primo tentativo (riuscito) di prendere e arricchire quegli elementi e personaggi che la serie madre, seppur avendoli introdotti, non era riuscita a trattare in modo sufficiente.
Dollhouse nasce così: dall’idea di un personaggio di AHS: Coven, dalla magistrale interpretazione di Denis O’Hare e da una storia banale ma narrativamente funzionante. Seppur condizionata da uno scarso minutaggio – limite inevitabile di serie di questo tipo -, che talvolta fa apparire la narrazione sregolata e frettolosa, Dollhouse funziona e, nonostante sia privo di grande pathos, regala 42 minuti di buon intrattenimento con un’estetica affascinante, camp e a tratti inquietante.
Episodi 2×02 – Aura, diretta Max Winkler e scritto da Manny Coto
Sembra un home invasion ma non lo è. Il secondo episodio, dal titolo “Aura”, è perlopiù una storia di fantasmi. Sì, fantasmi, perché gli individui che bussano alla porta di Gabourey Sidibe (e che possono essere viste solo attraverso un dispositivo di sicurezza dal nome “Aura”) non solo non sono vere e proprie persone, ma anche il simbolo di un passato rimosso – o, meglio, forcluso. La psicanalisi ci insegna che tutte le volte che qualcosa non viene sufficientemente simbolizzato è destinato a tornare in modo traumatico nel Reale e, infatti, in “Aura”, il perturbante assume le forme di colpe non ammesse, di un passato mai “compreso”. E, nonostante il tragico destino, a volte per salvarsi basta chiedere scusa…
Episodio 2×03 – Guida (Drive), diretto da Yangzom Brauen e scritto da Manny Coto
Episodio che si basa su una classica leggenda metropolitana di cui i film horror hanno spesso abusato (la scena iconica iniziale in Urban Legends girava proprio intorno a questa leggenda che anche Murphy aveva già messo in scena in una puntata della prima stagione di Scream Queens). È un gioco continuo tra il personaggio di Bella Thorne e quello di Nico Greetham, soprattutto per lo spettatore che cerca di identificare vittima e carnefice in una continua sovversione di ruoli. Episodio che intrattiene molto bene ma che dimostra qualche limite rispetto ai due precedenti.
Episodio 2×04 – Le Mungitrici (Milkmaids), diretto da Alonso Alvarez-Barreda e scritto da Our Lady J
Ambientato nella Nuova Inghilterra del XVIII secolo, in un villaggio devastato dal vaiolo, Le Mungitrici è la rappresentazione perfetta dell’irrazionalità della massa di fronte al pericolo della morte. Questo quarto episodio, infatti, racconta di un’epidemia che sembra implacabile e che continua a portare devastazione e morte nel piccolo villaggio in cui la storia è ambientata. Questa paura viene sfruttata dalla Chiesa per inculcare idee pericolose nella mente dei cittadini, che sono davvero pronti a tutti pur di salvarsi la vita. Al centro, poi, c’è anche una riflessione sull’omosessualità e sull’ipocrisia della religione relativamente a questo tema. Un puntata che non è perfetta e che, nonostante la sua breve durata, presenta qualche momento morto. Tuttavia, affronta temi interessanti e lo fa in modo piuttosto intelligente.
Episodio 2×05 – Maria La Sanguinaria (Bloody Mary) diretto da SJ Main Munoz e scritto da Angela L. Harvey
Anche questo quinto episodio, come il terzo, si basa su una classica leggenda americana, quella di Bloody Mary. Una puntata molto piacevole con interessanti colpi di scena nel finale che avvalorano ancora di più ciò che fino a quel momento era stato raccontato. Da segnalare la presenza di Dominique Jackson che interpreta perfettamente proprio Bloody Mary, la protagonista assoluta di questo episodio. Particolarmente interessante anche l’idea di raccontare il passato della stessa Bloody Mary: non un semplice demone assetato di sangue, ma una donna con un passato fatto di dolore e sofferenza ma anche di colpe.
Episodio 2×06 – Lifting facciale (Facelift), diretto da Marcus Stokes e scritto da Manny Coto
Voglio spezzare una lancia a favore di questo episodio, a parer mio ingiustamente criticato. Facelift racconta la storia di Virginia, interpretata magistralmente da Judith Light, una donna che sta invecchiando ma che non accetta che il suo corpo possa portare i segni di tale vecchiaia. Al centro di questa puntata, a parer mio, c’è proprio il Reale traumatico, in senso lacaniano, della vecchiaia, di un corpo che non si riconosce più e che vorrebbe cancellare i segni del tempo che invece è costretto a portare con sé.
Un episodio fortemente drammatico, soprattutto nel suo epilogo senza speranza, che non può non richiamare alla mente i grandi personaggi scritti da Ryan Murphy in American Horror Story e interpretati il più delle volte da una magistrale Jessica Lange. Un episodio molto triste, privo di speranza, talvolta un po’ lento, ma che riesce a raccontare perfettamente il dramma interiore di chi non riesce ad accettare il proprio corpo.
Episodio 2×07 – Necro diretto da Logan Kibens e scritto da Crystal Liu
Per la psicanalisi, in particolar modo per Lacan, è un fantasma (interiore) a orientare per tutta la vita il desiderio di noi esseri umani, un fantasma che si è plasmato inconsciamente nel nostro passato. Ecco perché non è assolutamente un caso che la protagonista di Necro, Sam, la cui madre le era stata uccisa davanti agli occhi quando era solo una bambina, sia una ragazza ossessionata dalla morte e dai cadaveri. Un’ossessione che, però, è destinata a sfociare in incontenibili desideri perversi che questo episodio non ha problemi a raccontare e mettere in scena. Nel mondo di American Horror Story, soprattutto nelle Stories,raramente si spinge troppo sull’acceleratore dell’orrorifico ma, quando si fa, escono fuori decisamente risultati interessanti.
Episodio 2×08 – Lago (Lake), diretto da Tessa Blake e scritto da Manny Coto
Potrebbe essere un episodio interessante se solo la sceneggiatura non sembrasse un tema di terza media. Il dramma della famiglia Prescott, con la perdita del figlio Jake, poteva essere raccontato molto meglio, ma il risultato è davvero pessimo: un episodio lento e privo di pathos, con dialoghi insensati e una storia troppo banale. Il finale, soprattutto, sembra gettato lì per chiudere la storia e per ricordarci che comunque si tratta di una serie horror. Peccato, perché questa seconda stagione decisamente buona, meritava una conclusione migliore.
La seconda stagione di American Horror Stories supera decisamente la prima: (quasi) tutti gli episodi riescono, o perlomeno, provano a raccontare una storia horror in 40 minuti, un’impresa che di certo non è facile ma a cui gli autori di questa seconda stagione sono riusciti ad affrontare con buoni risultati.
Voto generale alla stagione: