Verso la fine degli anni ’80, in un panorama cinematografico horror che aveva visto di tutto, dalla nascita di mostri sacri come Jason Voorhees e Freddy Krueger al dissacrante mix di paura e comicità di un giovane Sam Raimi, arrivò sugli schermi una pellicola che, in barba alla ricerca di modernità, si ispirava a quel classico americano letterario e cinematografico conosciuto come Hard boiled.
UN COMPLICATO INIZIO
Dimenticata in più di un cassetto hollywoodiano già da qualche anno, giaceva una sceneggiatura che lo scrittore William Hjortsberg sognava di portare sul grande schermo fin dal completamento del suo romanzo, nel 1978.
L’industria del cinema, è una creatura capricciosa e spietata, molto abile ad illudere ma altrettanto rapida a scaricare i cavalli che non reputa vincenti. E così, rimpallo dopo rimpallo, un po’ tutte le case di produzione maggiori avevano prima considerato e poi rifiutato di produrre un film su diavolo e religione, con un pessimismo che lasciava poche speranze al già esangue sogno americano.
Ma il diavolo si sa, ama metterci lo zoccolo. Così finalmente, a metà degli anni ottanta, una compagnia di produzione (la Carolco Pictures) che aveva inanellato due grossi successi commerciali come i primi due capitoli di Rambo, decise di intraprendere l’impresa puntando da subito su un regista inglese la cui reputazione stava crescendo, tra fascino europeo e successo commerciale. L’inglese Alan Parker.
Alan Parker e Mickey Rourke sul set
ASCENSORE PER HOLLYWOOD
I produttori della Carolco riuscirono a mettere insieme un capitale sufficiente a garantire una certa qualità a tutti i livelli della produzione e, con Parker e Hjortsberg a rimettere mano alla sceneggiatura, ebbero presto un copione che riusciva a unire l’efficacia caustica del racconto originale a quella giusta dose di spettacolarità e tensione cinematografica che poteva solleticare l’interesse del pubblico.
I numerosi attori sondati per il ruolo di protagonista portarono al finale ingaggio del neo divo Mickey Rourke, attore emergente di grandissimo talento, con all’attivo un film bollente come Nove settimane e ½ ad amplificarne la fama e l’interesse da parte dei tabloid.
Al suo fianco un imperscrutabile Robert De Niro (garanzia al botteghino) e un’inedita Lisa Bonet, conosciuta dal pubblico sono nelle candide vesti di brava ragazza di casa Robinson.
Lisa Bonet e Mickey Rourke
IL FILM
Angel Heart è al tempo stesso un noir e un horror. Un film che parla di ambizione cieca e spietata, un’ambizione che può portare solo all’inferno.
1955, la seconda guerra mondiale non è poi così lontana e in una New York sgualcita e lontana dal cinema americano da cartolina, seguiamo le gesta dello squattrinato detective privato Harry Angel. Un giovane di bell’aspetto, affabile, che indossa vestiti logori e da l’idea di chi non se ne cura troppo. Il classico tipo che trasmette un’immagine bonaria, perso semmai nelle difficoltà di sbarcare il lunario.
Un giorno il detective riceve un ingaggio allettante. Rintracciare un cantante che ebbe un discreto successo prima della guerra e poi scomparve nel nulla. A cercarlo un enigmatico uomo d’affari, che si presenta ad Angel col criptico nome di Louis Cyphre.
A quanto pare l’uomo avrebbe aiutato lo scomparso artista (nome d’arte Johnny Favorite) a iniziare l’attività, ma sarebbe poi stato scaricato dall’astro nascente, senza ricevere il dovuto (e ma mai precisato) compenso.
Inizia così, come un lavoro semplice e ben pagato, l’incarico di Angel. Un’indagine su persona scomparsa che lo porterà dalla fredda New York all’afosa Louisiana, nel tentativo di ricostruire un mosaico che ad ogni pezzo si tingerà sempre più di orrore, mistero e morte.
Robert De Niro in una scena del film
DALLA PAGINA ALLO SCHERMO
Il grande lavoro di adattamento di un buon thriller di base è passato per alcune scelte fortemente volute da Parker. Decisioni ben ponderate che alla fine hanno donato qualcosa in più alla pellicola, rispetto al romanzo.
Parker sceglie di ambientare la vicenda nel 1955 (non nel ’59 come nel testo di Hjortsberg) per meglio calare il tutto in un periodo ancora intriso degli echi della guerra mondiale. Dettaglio molto importante nell’intreccio narrato.
Altra fondamentale modifica è costituita dallo spostamento della seconda parte della vicenda in Louisiana, cosa del tutto assente nel libro, dove invece l’azione si svolge interamente a New York.
Proprio questa scelta aiuta ancora di più la discesa del personaggio (e dello spettatore) in un inferno fisico oltre che emotivo, man mano che la diabolica indagine prende copro.
La splendida fotografia di Michael Seresin infatti (che da regista dirigerà poco tempo dopo sempre Rourke nel più personale ma meno riuscito Homeboy) esalta i colori freddi tra la neve delle sporche strade newyorkesi, per virare poi a colori caldi che trasmettono un’afa sempre più asfissiante, accompagnando il protagonista nel suo viaggio a sud.
Altra modifica che può sembrare minore, ma non lo è, la scelta di Rourke per la parte principale.
Un giovane di bella presenza con un presente da sex symbol, contrariamente al protagonista del romanzo, paffuto e decisamente meno aitante. l’Harold Angel di Parker conquista il pubblico fin dalle prime scene e funziona da subito come nemesi all’austera presenza scenica di De Niro.
Copertina originale del romanzo Falling Angel
MUSICARE IL MALE
Notevole anche la colonna sonora del film, composta da brani originali e classici, assemblati dal talentuoso Trevor Jones, che si avvale di ottimi musicisti e decide di passare da un jazz inquietante e malinconico che prevale nella fase iniziale, a un blues carnale e sanguigno per sottolineare l’accendersi della pellicola nelle terre del Woodoo.
Menzione particolare per il brano originale degli anni ’30 Girl of my dreams di Glen Gray, fatto passare come pezzo originale di Johnny Favorite, nonché motivetto che si insinua pian piano nella testa dello spettatore.
Copertina dell’album
RELIGIONE
Si dice che al mondo ci sia tanta religione per far sì che gli uomini si odino, ma non abbastanza perché gli uomini si amino
Louis Cyphre
Ad un primo sguardo può sembrare che Angel Heart sia un film intriso di religione. In realtà i vari credi presenti (dal cattolico, al battista con la declinazione nel Woodoo tramandato in segreto) sono specchi per le allodole che vengono mostrati ma non hanno nessun vero ruolo nello svolgersi dei fatti, innescati invece dalla magia nera e da un reiterato e impunito culto del diavolo.
La religione cattolica appare sotto forma di un predicatore corrotto, una chiesa cattolica usata come punto di incontro, una bibbia svuotata e convertita a scatola per proiettili, un angelo da muro spezzato. E poi, riti di fertilità nei quartieri più poveri, con i quali si esorcizzano le miserie quotidiane, lasciando che antiche superstizioni tribali mitighino le incolmabili differenze sociali nel paese dei grandi paradossi.
PERCHE’ UN CULT
A conti fatti Angel Heart è tutto questo. Una pellicola che gioca le sue carte nel migliore dei modi, non ponendosi il problema di spaventare, bensì il più oneroso obbiettivo di cavalcare l’ambiguità.
Lo sguardo straniero di Parker, strizzando l’occhio ad un classico hollywoodiano come la detective story, ci restituisce un’America ancora fortemente provata dalla guerra e in cerca dell’innocenza perduta.
Non c’è segno di quell’opulenza di una nazione vittoriosa e fiera che ci rimandavano i film dell’epoca, carichi di retorica e ottimismo cieco.
L’America di Angel Heart è un paese fortemente diviso. Tra ricchezza ed estrema povertà. Tra razze diverse che vivono separate. Tra religione ed egoismo.
Un paese che, come Harold Angel, ha già perso la partita, prima di cominciare.
Ahimè. Com’è terribile la verità quando la si apprende troppo tardi.
dal film Angel Heart