Appartamento 7A, uscito pochi giorni fa su Paramount Plus, è un horror diretto da Natalie Erika James, che torna dietro la macchina da presa dopo il successo di Relic (2020). La regista raccoglie la difficilissima sfida di creare un prequel di Rosemary’s Baby, mettendosi sulle spalle il peso di un’eredità quasi impossibile da sostenere.

L’idea di un prequel

Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (1968) di Roman Polanski è una pietra miliare del cinema horror, un film capace di essere rivoluzionario per il genere in questione e per il cinema tout court. Uno dei pochi casi in cui quasi chiunque sarebbe d’accordo sull’uso del termine “capolavoro”. L’idea di Paramount di crearne un prequel – dallo scopo unicamente commerciale – dopo ben cinquantasei anni è già di per sé deprecabile, ma diventa del tutto malaugurata se lo script utilizzato non aggiunge nulla alla storia originale e si limita solo a riciclarne alcuni personaggi (i cui interpreti originali sono ovviamente deceduti).

La storia di Appartamento 7A

Al centro di Appartamento 7A c’è la storia di Terry Gionoffrio (Julia Garner), la prima inquilina di cui Rosemary Woodhouse fa conoscenza nel film di Polanski e che, poco dopo, la stessa protagonista vedrà morta sul marciapiede in seguito a quello che immagina essere un suicidio.

Nel suo film, Natalie Erika James ci mostra tutti gli eventi che precedono l’arrivo di Rosemary nello storico palazzo e, in particolare, la tragica storia di Terry, ballerina professionista caduta nell’oblio dopo un grave infortunio alla caviglia. Dopo l’ennesima audizione fallita, Terry viene “salvata” dai coniugi Castevet, Minnie e Romand, che sembrano avere a portata di mano la soluzione per ognuno dei suoi problemi. I due le procurano anche un appuntamento con Alan Marchand, un uomo influente nel mondo della danza newyorkese, e sarà proprio durante questo incontro che Terry resterà incinta. Non dell’uomo, come lei pensa, bensì di un’entità ben più trascendentale e potente, un’entità che sembra essere parte organica del palazzo in cui i coniugi Castevet le permettono di alloggiare. Un palazzo abitato da persone apparentemente accoglienti e disponibili che, però, dietro a una machera aristocratica celano una realtà assai terrificante.

Un film nella media

Appartamento 7A è un film che, se considerato non come prequel ma come film a sé stante, potrebbe anche funzionare. O meglio, sarebbe un film horror nella media, facilmente dimenticabile ma sicuramente non peggiore di molte pellicole di genere che ogni anno escono in sala o sulle piattaforme di streaming online. Tra i suoi pregi, per esempio, c’è indubbiamente la grande cura per i dettagli e un’ottima fotografia. Per quanto riguarda la ricostruzione della New York anni ’60 è stato fatto un ottimo lavoro, così come per la ricostruzione degli interni del palazzo e degli appartamenti. Certo, qualche errore è inevitabile, ma il lavoro degli scenografi merita un plauso. Così come quello dei truccatori e dei costumisti.

Degna di nota anche la fotografia che mette al centro il verde e le sue diverse tonalità – soprattutto per quanto riguarda gli interni del palazzo, gli oggetti della protagonista e gli abiti che indossa –, aiutando a creare un senso di angoscia e a sottolineare l’impossibilità di una fuga da un amaro destino che si sta inevitabilmente compiendo.

Coreografie e paillettes

Originali e interessanti sono due sequenze, tra cui quella del rituale satanico. Qui la regista opta per una messa in scena particolare: il rituale, infatti, si trasforma in una grande coreografia, acquisendo quindi una dimensione più spettacolare e teatrale (e, infine, grottesca), rispetto a quella più inquietante e disturbante che caratterizzava la messa in scena della medesima sequenza da parte di Polanski. Altrettanto sopra le righe è la rappresentazione del “diavolo”, una sorta di entità scintillante, fatta di paillettes.

L’idea di raccontare il rituale in questo modo è perfettamente coerente a livello narrativo, in quanto ciò che vediamo è filtrato dagli occhi di Terry, dalla sua mente confusa dalle droghe che le sono state somministrate con l’inganno e dalla sua ossessione per la danza. Certo, una scelta stilistica così atipica potrebbe far storcere il naso a molti, ma a parere di chi scrive questo è uno dei pochissimi passaggi del film che presenta un (leggero) guizzo di autorialità. Altrettanto interessante è il finale, sulle note di Be My Baby: un’ultima esibizione di Terry che le permette di rivendicare la propria indipendenza e la propria passione.

Una regia impersonale

Gli aspetti positivi di Appartamento 7A in fondo non sono pochi. Tuttavia, il film non merita la sufficienza. Per diversi motivi. Innanzitutto, come già detto, è una pellicola sostanzialmente inutile, che non aggiunge niente al film di Polanski. Inoltre, a parte due o tre sequenze interessanti, è un film piatto e dimenticabile, che riesce a intrattenere abbastanza bene ma che lascia davvero poco allo spettatore una volta completata la visione. Ma il problema più grande di Appartamento 7A è forse la regia. Una regia fredda e distaccata, che sembra mantenere una distanza di sicurezza dal personaggio principale, impedendo allo spettatore di immedesimarsi ed empatizzare completamente con lei.

Una regia per lo più lineare e anonima, quasi scolastica, che crea un distacco netto e innaturale con il primo film, Rosemary’s Baby, in cui la macchina da presa sembrava “invadere” il corpo della protagonista, sembrava incapace di allontanarsi dal suo volto stanco e provato dal dolore; una regia, quella di Polanski, capace di rendere il film indimenticabile, in quanto il male che si celava nel ventre di Rosemary riusciva a insediarsi anche sotto la pelle dello spettatore. In Rosemary’s Baby il senso di “claustrofobia” che invade chi guarda non è dovuto solo alla narrazione – la donna non ha nessuno di cui fidarsi ed è quindi del tutto intrappolata – ma anche a una regia capace di stare addosso alla protagonista, di mostrare il suo terrore in costante primo piano, di evidenziare quelle barriere (umane e non) che rendono impossibile e vano ogni tentativo di fuga.

In breve, se la regia di Polanski in Rosemary’s Baby riesce a coinvolgere lo spettatore e a farlo diventare parte attiva della disavventura di Rosemary, la regia di Appartamento 7A si limita solo a mostrare la storia di Terry ma lo spettatore resta parte passiva e non coinvolta.

Le incongruenze narrative

Infine, un altro problema potrebbe riguardare le incongruenze narrative che chi conosce bene il film di Polanski non potrà non notare. Tra queste, ce ne sono alcune particolarmente evidenti:

  • In Rosemary’s Baby, Rosemary e Guy si trasferiscono nell’appartamento 7E, prima appartenente alla signora Gardenia, morta dopo essere improvvisamente finita in coma; tuttavia, in Appartamento 7A, quando Terry incontra in lavanderia Rosemary, la signora Gardenia non è ancora morta;
  • In Rosemary’s Baby, tra Rosemary e Terry avviene un solo incontro (in lavanderia), in cui le due si presentano. In Appartamento 7A, vediamo entrare improvvisamente Rosemary in lavanderia, ma questa non ha alcun tipo di interazione con Terry;
  • Infine, in Rosemary’s Baby, Terry racconta a Rosemary di essere stata salvata dai Castevet dopo essere finita nel tunnel della droga ed essere stata trovata quasi morta sul marciapiede dai due coniugi. In Appartamento 7A la storia di Terry è del tutto diversa: addirittura i Castevet quando vengono a conoscenza dei suoi problemi affermano di aver temuto “che fosse una drogata”.

Conclusioni

In conclusione, Appartamento 7A è un film che intrattiene piuttosto bene e che ha qualche spunto interessante. Le coreografie e il diavolo di paillettes sembrano richiamare quel gusto spiccatamente camp e kitsch, cifra caratteristica del postmoderno. Il suo grande peccato è la pretesa di essere il prequel di un capolavoro della storia del cinema con il quale, proprio per questo, non può sottrarsi al confronto: un confronto in cui non c’è nemmeno possibilità di competizione. Una regia assai impersonale e una storia dimenticabile, che non aggiunge nulla a quella del film di Polanski, impediscono a questa pellicola di raggiungere la sufficienza.

VOTO

Classificazione: 2.5 su 5.

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