Tanto tempo fa, un uomo dal temperamento artistico dissimile dall’ordinario diede vita alla celebre frase: “Il sonno della ragione genera mostri”.
Tali parole fungevano da titolo e descrizione di un’opera incisoria dello stesso individuo, nella quale era raffigurato un uomo dormiente che generava bestie mostruose per via del torpore in cui era sprofondata la sua ragione. L’autore del quadro era Francisco Goya. Il pittore spagnolo del settecento, infatti, diede atto di conoscere molto bene sentimenti come tristezza, nostalgia e orrore. Una delle dimostrazioni più evidenti ne è sicuramente Saturno che divora i suoi figli, dipinto del 1821.
Tuttavia, Goya non era l’unico a rappresentare mostri degni di causare sgomento nell’animo dell’osservatore. Nel corso della storia si sono succeduti una quantità discreta di artisti il cui obbiettivo, talvolta, è stato quello di riprodurre la paura. Ad esempio, si potrebbe rievocare il nome del norvegese Fussli, con il suo Incubo. La tela in questione, realizzata nel 1781, rappresenta una giovane donna addormentata, sopra cui troneggia un mostro rivolto verso lo spettatore ed il volto di una giumenta (simbolo delle sensazioni legati agli incubi) affacciato dalla tenda sullo sfondo.
O ancora, l’immagine in evidenza dell’articolo corrente: Volto della Guerra, di Salvador Dalì (1940). Questo olio su tela illustra le morti causate dalla guerra attraverso un volto enorme che si innalza in un paesaggio desertico. La pelle è scura e corrugata in smorfie di dolore e disperazione, mentre le orbite e la bocca sono occupate da teschi. Le uniche presenze vive sono i vermi e i rettili che fuoriescono, senza trovare nulla su cui avventarsi. La prospettiva angosciosa della figura indica la moltiplicazione del male all’infinito causato dalla guerra, portatrice di morte e distruzione.
E come non potremmo citare L’urlo, di Edvard Munch? Il dipinto del 1893 cui l’artista espressionista ne ha descritto l’origine in tal modo:
Una passeggiata con amici portò in evidenza il dolore atroce di ogni segmento di vita di fronte alla natura matrigna. E quel volto contorto che deforma il mondo con un suono deflagrante conferma la posizione dell’uomo senza Dio: un’immensa sofferenza che diventa grido di sconfitta al cospetto del nulla, del nulla che avvolge, che torce le forme, che comprime la psiche dell’uomo, trasformando il suo volto, comprimendo il teschio fino ad evidenziarlo drammaticamente sulla pelle.
Munch rappresentò le proprie mani nell’atto di coprire le orecchie dal silenzio insopportabile di una natura malvagia (o matrigna, come disse lui). Questo potenziamento del sentire e del rappresentare il mondo, attraverso forme sgradevoli, avrebbe poi costituito una linea portante sotto il profilo artistico del Novecento.
Altre opere d’arte memorabili in cui il terrore fa da padrone nelle scene delineate sono: Affreschi dell’Inferno, Giovanni da Modena (1410); Suicidio, Manet (1877); Teste di giustiziati, Gericault (1818); Giuditta e Oloferne, Ottaviano Costa (1597); Ritratto di Innocenzo X, Francis Bacon (1953); Dragone Rosso, William Blake (1810); Il trionfo della morte, Bruegel (1562).
Contrariamente all’opinione comune che vede l’arte come espressione di bellezza, pare proprio che l’orrore possa essere una fonte d’ispirazione artistica virtuosa quanto tutte le altre.
Del resto, non è un caso che – dopo i Vangeli – il testo biblico più frequentato dall’arte occidentale sia l’Apocalisse. Ciò avviene perché soltanto dopo la distruzione, che ci ricorda la precarietà delle cose, arriva la speranza del nuovo.
Inoltre, gli artisti che hanno voluto rappresentare immagini crude, viscerali e terribilmente realistiche hanno dimostrato coraggio: quel tipo di audacia che, sin dall’alba dei tempi, ogni uomo deve sforzarsi di attuare sull’ambiente a lui circostante per dare valore alle sue opinioni.
Una piccola parentesi va a scapito di Velvet Buzzsaw, film uscito nel 2019 e diretto da Dan Gilroy, che rapporta il mondo dell’arte moderna con la cinematografia horror.
In conclusione, è evidente che ci sia un nesso tra orrore e follia. E la pazzia, talvolta, può essere pericolosa. Lo stesso Goya, dipinse le sue creature più orribili dopo aver subito un’alterazione di personalità.