La Morte Rossa aveva a lungo infierito sul paese. Mai pestilenza era stata più fatale e più orribile. Il sangue era il suo avatara e il suo sigillo: il rossore e l’orrore del sangue. Erano acuti dolori e improvvisi capogiri, e poi un abbondante sudore sanguigno fino alla dissoluzione.
–Edgar Allan Poe
La peste è una malattia infettiva di origine batterica. È causata dal batterio Yersinia pestis, che ha come ospite principalmente le pulci, parassiti dei roditori. Nel corso della storia, decine di milioni di persone sono morte per peste. La malattia, nel XIV secolo, ha provocato la morte di un terzo della popolazione europea. Lo stesso agente patogeno si è poi ripresentato con vari gradi di intensità fino al XVIII secolo. Ma le epidemie, tutte le volte in cui si sono presentate, hanno fornito ispirazione a pittori, letterati e artisti d’ogni genere.
In questo articolo analizzeremo il rapporto tra arte e peste nel XVII secolo.
La peste è tuttora diffusa in molte parti del mondo. Negli ultimi anni ci sono stati casi in Cina, Congo, Madagascar, Perù, ma anche in alcune aree rurali degli Stati Uniti. Secondo i dati dell’Oms, tra il 2010 e il 2015 nel mondo ci sono stati 3.248 casi confermati di peste, che hanno ucciso in totale 584 persone.
Tuttavia, come ci ha insegnato Brandon Lee (The Crow, 1994) : “Non può piovere per sempre”. E quando i nuvoloni grigi che oscurano il sole svaniscono, la vita è sempre pronta a risorgere.
È il caso, ad esempio, di quello che accadde nel 1632 a Venezia. Era appena terminata una delle epidemie di peste più celebri della storia: quella immortala da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Il governo veneto, come tutta risposta, decise di erigere la basilica di Santa Maria della Salute. La chiesa fu costruita come voto per la fine della terribile pestilenza. Fu voluta dalla Serenissima come preghiera e come ringraziamento alla Vergine Madre di Dio per preservare la città di Venezia dalla terribile peste del XVII secolo.
Alla Basilica si ha accesso da una imponente gradinata, che continua fino all’ingresso del Santuario. Una particolarità è data dalla doppia cupola: una maggiore e una minore. Sulla sommità di quella maggiore si trova la statua della Vergine con il bastone di Capitana de mar. Quella minore, invece, funge da santuario. Una serie ricchissima di statue, poi, decorano la facciata e i lati esterni dell’edificio, continuando all’interno. Al di sopra del timpano centrale vi è la Madonna con il bambino e ai lati i principali Profeti che preannunciano il Messia e altre figure dell’antico testamento.
La basilica della Salute, però, non è l’unica opera d’arte nata come conseguenza alla peste del XVII secolo. Giambattista Tiepolo, infatti, decise di riproporre il tema molti anni dopo, e lo fece con molta fedeltà.
Santa Tecla libera Este dalla pestilenza è un dipinto autografo di Giambattista Tiepolo, uno dei maggiori pittori del settecento veneziano. L’artista rese uguali le proporzioni divinità, santi e appestati. Il bambino che cerca il seno della madre, inoltre, è un richiamo alla compassione. Si potrebbe dire che Tiepolo scese nell’abisso della peste: si addentrò nella scena, cercò di immedesimarsi, e sentire l’odore del sangue.
La scrupolosità e la premura dell’artista hanno conferito una veritiera contemporaneità ad un episodio abbastanza remoto (la peste del 1638): le orazioni di S. Tecla che misero fine ai lutti, scacciando quell’incubo che ormai teneva oppressa la cittadina (visibile sul fondo, a destra della Santa).
Le epidemie ebbero portata tragica ma, per gli artisti sopravvissuti, furono un serbatoio inesauribile di spunti. A Napoli, i maggiori esponenti di tali macabri spettacoli furono Mattia Preti, Micco Spadaro e Luca Giordano.
Micco Spadaro fu un pittore italiano di stile barocco, ricordato soprattutto per aver documentato i tumultuosi avvenimenti della Napoli del XVII secolo (eruzioni, epidemie, la rivolta di Masaniello). Egli rappresentò Piazza Mercatello durante la peste del 1656. La vita quotidiana di una città in stato di peste, mostrava un aspetto in particolare: l’esposizione nelle strade e nelle piazze di un gran numero di cadaveri di gente di tutte le età e di tutte le condizioni.
Spadaro decise dunque di inquadrare la scena dall’alto. Ma Luca Giordano, altro protagonista della scena napoletana, fece il contrario. Il pittore in questione rappresentò una città meno agitata, da un’inquadratura più vicina alle strade. Nel San Gennaro intercede presso la Vergine, Cristo e il Padre Eterno per la peste la scena è concentrata e solenne. Si possono anche notare i dettagli anatomici dei corpi tumefatti dalla peste, distinguendo persino le rughe dei piedi di un cadavere.
Mattia Preti, invece, lasciò che la drammaticità si esprimesse attraverso i colori: le tinte spente e i corpi pallidi. Tutti i personaggi sono visti di spalle, intenti a spandere calce o trasportare cadaveri. Il contrapporsi delle zone di luce e di ombra ci permette di distinguere l’ammasso informe dei cadaveri, pronti ad essere sepolti dalla colata di calce. Ma viene raccontato anche un altro tragico episodio: il trasporto di un corpo morto attraverso la finestra. Sullo sfondo si intravede il gesto disperato di un suo congiunto.
È evidente, dunque, che la peste abbia rappresentato alcuni dei capitoli peggiori della storia dell’umanità. Tuttavia, l’esistenza dell’uomo è sempre stata accompagnata da gravi malattie infettive. Ci hanno fatto piangere, ma anche crescere e maturare.
Forse è proprio come diceva Voltaire: “La carestia, la peste e la guerra sono i tre ingredienti più famosi di questo mondo”.