Un difficile esordio.

Correva l’anno 1995 quando uno studente universitario iniziò a scrivere la sceneggiatura per un film che aveva in mente, ispirato al cinema gore degli anni ’70 e ’80. I tempi però erano cambiati, la decade d’oro dell’horror era terminata e nessuno era disposto a produrre questo tipo di film per un ragazzo sconosciuto. Accadde però che nel 1996 venne proiettato per la prima volta nelle sale cinematografiche Scream di Wes Craven, un film che, proprio decostruendo il genere horror e giocando con i suoi luoghi comuni, riuscì a far rinascere l’interesse del pubblico verso il genere. Dopo diversi tentativi di censura da parte di potenziali acquirenti e altri rifiuti, il giovane aspirante cineasta finalmente riuscì a produrre la propria pellicola che vide la luce nel 2002. Questo film dalla gestazione travagliata era Cabin Fever e quel sognatore amante del cinema senza regole e restrizioni era Eli Roth.

Le ispirazioni.

Nato il 18 aprile del 1972 nel Massachussetts da una famiglia ebraica, Roth iniziò ad appassionarsi al cinema horror alla tenera età di 8 anni, ammirando soprattutto le opere dei nostrani Fulci, Deodato e Argento. La passione per il cinema crebbe forte in lui, andando ad alimentare la sua vena creativa… citando Billy Loomis in Scream: “i film non fanno nascere nuovi pazzi, li fanno solo diventare più creativi!”. Il cinema folle di Roth deve molto ai grandi capolavori del passato e infatti nella sua opera prima sono innumerevoli gli omaggi e le ispirazioni, da La notte dei morti viventi a La casa, da Non aprite quella porta a Shining, rendendo Cabin Fever un piccolo grande cult.

Roth insieme a Ruggero Deodato.

Cabin Fever: una “febbre” che non vi dispiacerà prendere.

La vacanza di un gruppo di ragazzi in uno chalet si trasformerà ben presto in un incubo dato che una terribile malattia, che scarnifica chi ne è colpito, inizia a contagiarli. I personaggi di questo film sono ipocriti, incoerenti e stereotipati – il casinista, la coppietta con gli ormoni scatenati, il Romeo, l’altezzosa – non a causa dell’incapacità di Roth di dargli spessore e caratterizzazione, bensì perché lo spettatore deve trovarsi di fronte a “tipi umani” che reputerà stupidi e incoscienti ma nei quali, allo stesso tempo, vedrà alcuni tratti che gli appartengono. L’infezione di Cabin Fever fa emergere il lato più animalesco e spietato dell’essere umano, dimostrando come, in situazioni di pericolo per la propria incolumità, i rapporti affettivi perdono importanza e l’individualismo la fa da padrone. E, nel creare situazioni malsane, soffocanti e dominate dalla paranoia e dalla pura, Eli Roth è un vero maestro.

Sopra, una scena tratta da Cabin Fever. Sotto, la scena che l’ha ispirata tratta da Non aprite quella porta (1974, regia di Tobe Hooper).

Il torture porn.

La consacrazione arriva nel 2005 con Hostel. Un gruppo di ragazzi americani si reca in Slovacchia per trascorrere una vacanza all’insegna del piacere, approfittandosi delle “calde” ragazze dell’est europeo, fino a quando non si scontreranno con una realtà sotterranea fatta di sevizie e denaro. Caratterizzato da una dose massiccia di torture e litri di liquidi corporei, tanto rivoltante che nelle sale cinematografiche venivano distribuiti sacchetti per il vomito, questo film così eccessivo venne accolto positivamente dagli appassionati del genere, incapaci di distogliere lo sguardo dallo schermo. Prendendo spunto proprio da questo godimento provato dalle platee, il critico David Edelstein coniò un termine per indicare il nuovo genere al quale apparteneva Hostel: torture porn. Questo appellativo indica film in cui la nudità e lo splatter sono gli elementi caratteristici, una sorta di edonismo ma con tante, tante budella. Eli Roth però è riuscito ad andare oltre la violenza fine a se stessa per aprire un discorso complesso sul turismo sessuale, il capitalismo e il consumismo delirante.

Eli Roth sul set di Hostel con l’attrice Jennifer Lim.

Controversie.

Le critiche, ovviamente, non sono mancate. Molti hanno infatti accusato Roth di misoginia a causa della sessualizzazione della donna nel suo Hostel: non bisogna cadere nell’errore di credere che l’autore sottoscriva e sia d’accordo con certi atteggiamenti o pensieri espressi dai personaggi, quando in realtà sta solo mettendo in luce, anche con una certa vena satirica, ciò che accade nella nostra società. Roth lo fa nuovamente con The Green Inferno del 2013, film ispirato ai suoi amatissimi cannibal movies italiani come Cannibal Holocaust e Cannibal Ferox, in cui è evidente la critica irriverente all’ipocrisia del mondo occidentale e ai “cannibali” in giacca e cravatta assetati di denaro. Ancora, con il meno riuscito Knock, Knock del 2015 con Keanu Reeves, ad essere messo alla berlina è la figura del perfetto e fedele padre di famiglia, almeno fino a quando delle affascinanti giovani sconosciute non bussano alla sua porta.

Ana de Armas, Lorenza Izzo e Keanu Reeves in una scena di Knock, Knock.

 

Hopefully we’ll get to a point where people realize movies don’t cause violence. It just reflects the violence going on in the culture.

Dal ruolo del “bastardo” a quello del produttore.

Eli Roth ha anche una piccola carriera d’attore. Oltre ad essere apparso in alcuni dei suoi stessi film e in alcuni della Troma, nel 2007 recita in Grindhouse – A prova di morte di Quentin Tarantino che un paio di anni dopo gli affida la parte dell’iconico sergente “Orso Ebreo” in Bastardi senza gloria. Dopo aver prodotto diversi film horror come The Sacrament, Clown e il remake di Cabin Fever, torna dietro la macchina da presa con Il giustiziere della notte e Il mistero della casa del tempo. In questi suoi ultimi film manca però quel misto di putridume e risate che aveva caratterizzato i suoi primi lavori. La carriera di Eli Roth, enfant prodige dell’horror, è fatta di alti e bassi, riconoscimenti e critiche aspre, ma di sicuro la passione non gli è mai mancata… possiamo solo augurarci di rivedere al più presto sullo schermo un altro divertente e sanguinario macello di esseri umani!