Barbarian è un film horror statunitense del 2022 scritto e diretto da Zach Cregger, che col suo primo lungometraggio da solista è riuscito a far sobbalzare critica e pubblico arrivando a incassare circa 43 milioni di dollari in tutto il mondo. Sbarcato qui da noi prima su Disney + e in seguito su Netflix e Prime Video (disponibile tramite acquisto o noleggio), si è guadagnato anche nel nostro paese la meritata fama di instant cult.
TRAMA
Tess arriva a Detroit per un colloquio di lavoro. Purtroppo per lei però in città c’è il tutto esaurito e alla ragazza non resta che affittare un alloggio su Airbnb in uno dei quartieri più fatiscenti della zona. Come se ciò non bastasse, al suo arrivo, in piena notte e sotto una pioggia battente, Tess scopre che nel suo appartamento c’è già qualcun altro, uno sconosciuto, un uomo: Keith. Si tratterà di un errore di Airbnb oppure c’è qualcosa sotto? In ogni caso, quello per Tess sarà l’inizio di un vero e proprio incubo.
LE MONTAGNE RUSSE
Barbarian è uno di quei film che bisognerebbe guardare senza sapere assolutamente nulla a riguardo. Ancor di più, Barbarian è uno di quei film di cui è difficilissimo parlare senza fare spoiler e questo al di là dei colpi di scena che si susseguono: piuttosto, Barbarian è un film che cambia continuamente faccia, che cambia stili, atmosfere e persino generi, mettendo a dura prova lo spettatore che si ritrova a saltare da una storia all’altra, da un registro all’altro, rischiando così di venirne sbalzato fuori. E se tutto ha inizio come nel più classico dei thriller d’atmosfera, con al centro una donna e tutti i pericoli che dovrebbe fronteggiare, ben presto la storia cambia strada spostandosi in un altro luogo, con altri personaggi e poi persino in un altro tempo, per poi tornare al classico “dove eravamo rimasti” prendendo una strada ulteriore e arrivando a un finale a cui davvero, all’inizio di quei 102 minuti, non avresti mai pensato.
In tutto questo il regista Zach Cregger ci sguazza, dimostrando un amore incondizionato per l’horror e la capacità di saper giocare col genere, cosa che solo chi lo ama è in grado di fare senza cadere nel ridicolo. Niente male per uno che fino a quel momento aveva fatto l’attore, soprattutto comico, e aveva girato due film in croce, ovvero una sexy commedia americana e un drama storico, entrambi a quattro mani con il collega e amico Trevor Moore.
Cregger però di film dell’orrore ne deve aver guardati tanti fino ad aver fatto propria la lezione di decenni di cinema e nel suo Barbarian sembra di intravvedere l’ispirazione di mostri sacri come il compianto Wes Craven (Le Colline hanno gli Occhi ma anche L’Ultima Casa a Sinistra) o di artisti più contemporanei come Lucky McKee quando è posseduto dalla poetica di Jack Ketchum (The Woman vi dice qualcosa?) o Jordan Peele e la nuova blaxploitation. Per questo riesce a passare con nonchalance da atmosfere thriller cupe e claustrofobiche a quelle della horror comedy più solare e persino della sit-com pastellata per poi, con guizzi che non ti aspetti, farci precipitare nell’horror più puro e malsano, che sia quello dai colori più accesi e dai virtuosismi tecnici o quello claustrofobico e oscuro. Tutto ciò senza tradire quella disillusione di fondo percepibile e logorante, quella sensazione che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato tanto nella storia, nei personaggi e nelle loro azioni quanto nel contesto sociale in cui il film è ambientato. Che poi è il contesto sociale statunitense, erede della disastrosa epoca reaganiana.
REAGAN, DETROIT E GLI ANNI ‘80
Tutto si svolge a Detroit e in un certo senso tutto a Detroit ha inizio. Gli anni ’80, quelli di un declino socioeconomico che ha avuto come epicentro la deleteria concezione sociale data al denaro. Se sei ricco sei bravo, se sei ricco hai ragione, se sei ricco sei moralmente dalla parte giusta della barricata. Insomma, la politica economica di Ronald Reagan si basava su questo e su questo basava i tagli a diritti che fino a quel momento il popolo americano aveva ritenuto inalienabili: l’assistenza sociale, per fare un esempio. Crebbero le disparità, riemerse prepotente il mai sopito razzismo, il patriarcato ne uscì rivitalizzato e i diritti delle donne fecero un balzo indietro di molti anni. Stiamo pur sempre parlando dell’America machista che tanto ha condizionato l’immaginario comune, soprattutto all’estero.
Sì, ma perché Detroit? Perché quel che successe lì è la dimostrazione di quanto detto, con un crollo economico favorito dalla delocalizzazione dei più importanti centri produttivi della città, con un’ondata migratoria inarrestabile, con l’evidente mancanza di sostegno verso i ceti medi, costretti ad andar via, e verso i ceti meno abbienti, composti soprattutto da afroamericani venuti dal sud razzista. E se il seme del male è stato generato proprio durante l’epoca reaganiana, Detroit per quel seme è stato uno dei terreni più fertili. È facile capire, quindi, perché Cregger abbia deciso di ambientare Barbarian proprio lì.
Tess, donna afroamericana dei giorni nostri, deve affrontare questo retaggio. Deve affrontare il retaggio maschilista e machista, la misoginia e deve, soprattutto, prendere decisioni che contrastano con il retaggio morale distorto che dilaga nell’America (e non solo) dei suoi tempi e attua, come in passato, un subdolo lavaggio delle menti. Questa eredità scomoda si riflette su Keith e la sua misogina galanteria che tenta di imporsi sulla nostra protagonista, ma ancor di più su A.J., altro protagonista maschile presentatoci in uno dei vari “cambi” che il film ci offre, e che incarna perfettamente maschilismo e machismo tossico. Tess è una donna che deve lottare sotto il peso di ciò che significa essere donna ancora (purtroppo) ai giorni nostri. E per quanto le sue scelte possano apparire assurde allo sguardo più ottuso, dimostrano il suo coraggio e la capacità di opporsi all’istinto primordiale che domina una società fatta di predatori e di veri e propri barbari, da cui il nome del film. Fregare il prossimo, dimostrare la propria forza attraverso il sopruso, la continua ricerca e rincorsa al profitto: sembrano tutti sintomi di una malattia che si perpetua, epoca dopo epoca, nascita dopo nascita, in una catena che può essere spezzata solo da un volontario atto di rottura, che siano le lotte raziali, il movimento femminista o i più recenti Black Lives Matter e #metoo.
L’HORROR CHE FA PAURA E L’ELEVATED HORROR
Posta così la questione, sembrerebbe di aver a che fare con un film che cade nella trappola dell’elevated horror, con il solito regista che segue un copione risaputo e collaudato mettendo l’horror come tale e per sé stesso in secondo piano. Ma non si tratta di questo. L’horror in quanto genere sovversivo e metafora di malessere socioculturale o socioeconomico esiste da sempre senza rinunciare, appunto, all’horror. Cosa che fa anche Barbarian, che è un film che ti sta sempre col fiato sul collo, che ti sorprende, che ti spaventa e ti opprime, che a suo modo ti fa fare una risata ma che crea anche raccapriccio. Che lo faccia con continui cliffhanger cambiando non solo stile e linea narrativa ma anche visuale su una selezione di argomenti, divertendosi nel divertire e quindi, trattandosi di horror, nello spaventare, è solo una scelta che destabilizza lo spettatore. Barbarian è un horror consapevole di essere un horror e che non si vergogna della propria identità.
C’è il discorso sui generi. Con il genere maschile che, per retaggio culturale, è avvantaggiato e quello femminile per cui tutto può diventare pericolo. Un pericolo costantemente palpabile ma di cui sembra solo Tess riesca a rendersi conto, proprio perché lei è costretta a farlo. Il retaggio culturale glielo impone. Tess è un’evoluzione della final girl perché lei, in un contesto che sembra non evolversi mai, in quanto donna è costretta a farlo. Se poi consideriamo che è una donna e fa parte di una “minoranza etnica”, tutti i nodi vengono al pettine. Attraverso lo sguardo di Tess noi scopriamo il vero volto del mondo che ci circonda e la cosa ci fa paura, non possiamo più sentirci al sicuro. Noi spettatori, al di là del genere e dell’etnia, capiamo che c’è qualcosa di sbagliato e ci scopriamo destabilizzati. Il famoso perturbante prende forma e si concretizza.
LA TECNICA CONTA
Scrivere e poi dirigere un film del genere non è facile. Per farlo bisogna sapere esattamente dove si vuole andare e in che modo. Superficialmente Barbarian sembrerebbe un lungometraggio frammentato, quasi episodico, addirittura slegato. Ma non è così. Il suo cambiare faccia, persino genere, fino a diventare più film nel film, fa capo a una struttura ferrea che mette ogni pezzo al proprio posto. Zach Cregger ha un’idea e la mette a frutto con consapevolezza tecnica sin dalla fase di scrittura. Il cast tecnico e quello attoriale aiutano poi l’idea a prendere forma, a partire dall’ottima fotografia di Zach Kuperstein arrivando all’essenziale montaggio di Joe Murphy. Ma sono il trio di attori protagonisti a fare davvero la differenza. E se Bill Skarsgård, anche produttore esecutivo, riesce sin dalla sua prima apparizione nel ruolo di Keith a turbare lo spettatore con il suo volto di kinghiana memoria, Justin Long (nel ruolo di A.J.) si conferma un vero e proprio cavallo di razza quando si tratta di cinema horror, con la sua faccia da schiaffi e la capacità di calarsi anima e corpo nel personaggio. Ma è Georgina Campbell che, intrepretando Tess, fa davvero la differenza prendendo sulle spalle un ruolo complesso e assolutamente non facile.
Grazie a tutti loro, Barbarian si rivela un film in grado di risaltare tra le proposte horror che ogni anno affollano il mercato delle sale cinematografiche e dell’home video. Negli Stati Uniti è passato per i cinema grazie all’accoglienza forte e positiva che ci fu durante i test screenings, arrivando ad essere uno dei film horror che più ha incassato quell’anno. Purtroppo qui da noi è arrivato direttamente sulle piattaforme di streaming. Poco male, Barbarian è un’esperienza che merita di essere vissuta a ogni costo, anche se solo sul piccolo schermo.
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