Nel 1988, ben 32 anni fa, approdava nelle sale italiane Beetlejuice – spiritello porcello, il secondo lungometraggio firmato da uno dei registi destinati fin dai suoi esordi a lasciare un segno indelebile all’interno della storia del cinema contemporaneo: Tim Burton. Il film è un successo da tutti i punti di vista: quintuplica al botteghino il suo budget, si aggiudica numerosi premi tra cui un Oscar per il miglior trucco e, nel giro di pochi anni, diventa un cult.
Ma dietro gli effetti speciali straordinari e le performance impeccabili di un cast di fuori classe… Che cosa ci raconta Beetlejuice? Come utilizza il regista una storia che appare un perfetto connubio tra commedia, ironia e horror, per donarci la sua visione sul mondo e, soprattutto, della famiglia?
Perché a pensarci Beetlejuice, un altro non è che la storia di due famiglie americane molto diverse tra loro messe a confronto, o meglio, che si scontrano, in due mondi opposti, ma accomunate da un unico grande desiderio: la ricerca di una dimensione personale dove essere ciò che sono.
Andiamo a ripassare velocemente la storia.
Adam e Barbara Maitland (Alec Baldwin e Geena Devis), un giovane coppia di sposini che coronano il loro sogno americano abitando in un incantevole casa su una collina, perdono la vita in uno sfortunato quanto banale incidente in macchina. Dopo la morte però, i due si ritrovano inaspettatamente in un posto a loro conosciuto: la loro casa. È questo infatti il destino, almeno all’inizio, delle anime trapassate. Potrebbe sembrare quasi il paradiso a detta di Adam, se non fosse che la casa viene venduta a qualcun’altro… La famiglia Deetz, composta da Charles, Delia e dalla figlia Lydia (Jeffrey Jones, Catherine O’Hara, Wynona Rider). Eccentrici e fuori dalle righe, i Deetz sconvolgeranno l’equilibro degli ormai coniugi-fantasmi Maitland, tanto da spingerli ad evocare uno spirito scanzonato e osceno che, definendosi bioesorcista, promette loro di cacciare i Deetz. Ovviamente stiamo parlando di Beetlejuice (Micheal Keaton) e, altrettanto ovviamente, le sue intenzioni non saranno delle migliori.
Le due famiglie a confronto.
I Maitland
Abito svolazzante e volto acqua e sapone lei, occhiali e camicia a quadri classica lui, i Maitland rappresentano la personificazione del sogno americano. Vivono in una casa bianca sulle colline adiacenti ad un paesino che sembra uscito da un plastico dimostrativo per quartieri residenziali. Non a caso infatti, la scena d’apertura del film mostra proprio come la ripresa dall’alto della cittadina lentamente si trasforma nel plastico di quest’ultima, che Adam sta ultimando. Quello che Burton vuole comunicare è chiaro: una realtà costruita ad hoc per i novelli sposi, così perfetta da non mostrare differenze tra quella reale e quella riprodotta in legno e trucioli.
Quando i coniugi evocheranno Beetlejuice infatti, lo spirito si materializzerà proprio all’interno del plastico e, tra le prime modifiche che apporterà, farà comparire un bordello, luogo simbolo di scompiglio e caos. Inizialmente sconvolti e spaventati dalla nuova realtà all’interno della quale la coppia si trova, cercano di fare di tutto per tornare alla loro normalità… Ma questo davvero li rendeva soddisfatti?
È chiaro come la mano del regista parli forte e chiaro: Burton rappresenta la gabbia dorata della perfetta periferia americana come morte del divertimento, della creatività e della passione, riportata alla vita dall’intervento dell’inusuale, del gotico, dello scabroso. Beetlejuice rappresenta l’indecenza, l’originalità, la creatività, il sesso. Uccidendo i coniugi Maitland Burton uccide la forzatura sociale della costruzione di una realtà edulcorata e tutta uguale, dove ogni tappa è decisa in precedenza e il percorso, rigorosamente a tinte pastello, va seguito con rigore se si vuole giungere ad una felicità preconfezionata. L’elemento forte è che i Maitland questa felicità la desiderano e credono, almeno all’inizio, che il loro percorso preformattato li stia portando sulla strada giusta.
Solo con la morte e l’entrata nel mondo fantastico di Beetlejuice e dell’aldilà invece, i coniugi troveranno la loro vera dimensione, che si dimostra ben lungi dall’esaltarsi per un’aspirapolvere o per un modellino in plastica, e che li vede padroni della loro dimensione grottesca e deforme dove, chi l’avrebbe mai detto, si sentono felici.
I Deetz
Dall’altra parte abbiamo invece i Deetz. Eccentrici “invasori”, rappresentano il vivere fuori dalle righe in tutti i suoi lati, ma solo a colpo d’occhio. Charles è il prototipo dell’uomo d’affari giunto al limite della sopportazione: ha ottenuto tanto, perdendo tutta la sua stabilità mentale. Ha dato a figlia e moglie la vita piena di agi che l’uomo americano deve per definizione provvedere a conquistare… E adesso è costretto a fuggire in un piccolo paesino di periferia per non rischiare un attacco di cuore dovuto allo stress. Anche qui un personaggio che tanto ha lottato per ottenere ciò che le norme sociali gli imponevano per il suo essere e che si ritrova ad aver rinunciato a tutto ciò che lo avrebbe reso felice (iconica la scena in cui tenta di fare birdwatching per rilassarsi finendo anche in quel caso in un vortice di stress).
E poi c’è Delia Deetz, interpretata da una Catherine O’Hara che rischia di rubare la scena a tutti: si considera un’artista contemporanea di grande talento e il suo lavoro per lei è tutto. Peccato che nessuno a parte lei apprezzi le sue creazioni, che si rivelano infine solo un tentativo di distinguersi all’interno di una classe sociale medio alta che impone interessi di un certo livello. Anche qui abbiamo un personaggio le cui azioni sono dettate da ciò che ci si aspetta da lui, non dai suoi veri interessi, tant’è che non appena apprenderanno della presenza di due fantasmi nella loro dimora questo diventerà il suo nuovo interesse principale nonché metodo infallibile per far colpo sugli amici altolocati. Quando infatti il vero paranormale incarnato da Beetlejuice si farà vedere, per Delia sarà tutto fuorché un passatempo “cool”.
Infine per ultima, ma non meno importante, abbiamo Lydia Deetz. Uno dei personaggi più iconici di una giovane Wynona Rider, che ha gettato le basi per farla diventare la reginetta del gotico grazie alle sue collaborazioni con Burton. Con il personaggio di Lydia si affronta in maniera audace il delicato argomento della depressione adolescenziale scaturita dal fatto di non sentirsi compresi dalla famiglia e tantomeno nel posto in cui apparteniamo. Il punto di svolta di questo personaggio all’interno del film è che, a differenza di molti altri casi rappresentati di teenager frustrati, Lydia desidera fortemente far parte del mondo dei morti, tanto da arrivare a scrivere anche una lettera di suicidio. Insomma Burton osa e si spinge oltre i limiti di ciò che è consentito raccontare per rimanere in una zona di comfort, donandoci ancora l’ingresso di un elemento sconvolgente all’interno di una realtà preconfezionata.
La paura del surreale, il desiderio del cambiamento.
Quando Barbara pronuncia la formula per evocare Beetlejuice, lo fa con spavalderia e aria di sfida perché, in cuor suo, già sa che per quanto rischioso e sconosciuto, lo scompiglio porta sempre a un cambiamento, ad un movimento. Nel loro caso il fatto di essere bloccati dalla mediocrità della situazione è personificato dalla morte che li intrappola nella loro casa. Questo rende i coniugi disposti a tutto pur di smuovere le acque…
E allora Beetlejuice, Beetlejuice, Beetlejuice!
Un Tim Burton giovane e agli inizi della sua carriera che mette in questo ambizioso quanto ben riuscito progetto tutto ciò in cui crede. Del resto lo stesso regista per iniziare il suo percorso ha rinunciato a diversi porti sicuri per scegliere la via del grottesco, dell’horror, dello strano. E tale coraggio, possiamo tranquillamente affermare, è stato ampiamente ripagato. Chissà quindi se Burton ha rivisto un po’ se stesso all’interno della storia di Adam e Barbara, mettendo in quel paesino tanto perfetto quanto assopito, qualche tratto della sua natale Burbank.