Dieci anni dopo Sinister torna la collaborazione fra il regista Scott Derrickson e l’attore Ethan Hawke, con una performance decisamente sinistra (per restare in tema). Black Phone è in sala da questo giovedì 23 giugno. Produzione Blumhouse e Universal Pictures.
Trama: Finney Shaw è un timido tredicenne che vive con la sua sorellina Gwen e il loro padre violento. Finney fa il possibile per proteggere la sorella dal padre, e la stessa Gwen cerca di difendere il fratello dai bulli della scuola. La perdita della madre ancora li perseguita, e si fanno forza l’uno con l’altro. Un sadico rapitore e assassino di bambini noto come il Rapace cattura Finney e lo intrappola in un seminterrato insonorizzato con un telefono nero che non funziona. Quel telefono nero sul muro, che squilla nonostante sia disconnesso, diventa la sua speranza per uscire dal seminterrato del rapitore.
Black Phone è un horror decisamente diverso da Sinister, qui il regista cerca di bilanciare un dramma familiare con la sensibilità del thriller paranormale, sempre in una solida lezione di suspense. L’elemento soprannaturale e le connessioni con l’aldilà risultano ben integrate e credibili.
Dal racconto di Joe Hill (figlio di Stephen King)
Adattato dall’omonimo racconto di Joe Hill, figlio di Stephen King (e dalla foto è veramente difficile non accorgersene), troviamo similitudini anche nelle loro creazioni. Scott Derrickson e il co-sceneggiatore C. Robert Cargill, che produce anche il film, hanno ampliato il materiale di Hill che durava circa trenta pagine. L’adattamento di Black Phone riesce a dare un background più solido ai personaggi principali, oltre che un interessante profondità emotiva.
La prima cosa che ho notato, già nei primi minuti di questa storia, è che Joe Hill (che è anche produttore esecutivo) ha le stesse ossessioni di suo padre. Alcune immagini ci riportano direttamente a Derry (palloncini, impermeabile, sangue nel lavandino e bambini in pericolo), dove Hill ci racconta la fine dell’infanzia. Quel momento in cui il mondo degli adulti, sporco, violento e spietato, divora l’innocenza e i sentimenti più puri. Come viene detto a Finn dall’inizio del film “Ad un certo punto dovrai difenderti” ed è un tema fondamentalmente in Black Phone, crescere, reagire, e unirsi contro un nemico più grande.
Thriller, horror ma soprattutto una violenta storia di crescita
The Black Phone è un thriller-horror violento che mescola il soprannaturale con il detective-crime americano, catturando subito l’attenzione del pubblico con la stessa rapidità con cui l’antagonista del film rapisce i bambini in pieno giorno. Ethan Hawke interpreta un rapitore mascherato (soprannominato il Rapace, in inglese the The Grabber) che terrorizza una città suburbana del Colorado nel 1978. Fingendosi un mago maldestro attira i bambini con i suoi palloncini neri, e a differenza del clown Pennywise qui abbiamo un umano in carne e ossa. La storia è raccontata dal punto di vista dell’adolescente Finney, e osserviamo la sua vita privata prima che diventi l’ultima vittima del rapitore.
In Black Phone si respira quell’aria malsana della provincia americana di fine anni ’70, un po’ come succedeva nel bellissimo Prisoners di Denis Villeneuve. Qui il Rapace personifica questo incubo suburbano che prende vita, mentre le notizie di compagni di classe scomparsi riempiono i titoli dei giornali. Padri violenti, pestaggi a scuola e disagi spesso ignorati, l’uso della violenza nel film è realistico e fedele al suo tempo. Black Phone si potrebbe anche definire un coming of age per come approfondisce i due protagonisti Finney e Gwen, fratello e sorella che si proteggono a vicenda dai pericoli che si nascondono dentro e fuori la loro casa.
Poi il film prende una piega più soprannaturale, senza far mancare qualche jumpscare piuttosto efficace, ma con Derrickson eravamo già abituati bene, se ripensiamo soprattutto all’uso del sound design in quella famosa scena del tosaerba in Sinister. Un thriller-horror snervante e abbastanza stratificato, senza troppe pretese riesce ad affrontare temi adolescenziali come l’amicizia, il bullismo e la crescita. Ambientato per gran parte nel seminterrato del maniaco, il film a tratti assume le caratteristiche di una escape room, e gioca molto bene con la tensione senza mai annoiare.
Un buon ritorno di Scott Derrickson al genere horror
La maschera realizzata dal maestro Tom Savini è molto inquietante e rispecchia perfettamente l’approccio di Hawke al suo personaggio e ai suoi stati d’animo mutevoli. Savini ha raggiunto questo obiettivo creando una maschera composta da una metà inferiore e superiore intercambiabili, e questi segmenti di maschera vengono usati in base allo stato d’animo del personaggio di Hawke. Il fatto che il personaggio di Ethan Hawke si nasconda quasi sempre dietro la maschera rende la sua presenza inquietante, con quel fascino malevolo a metà fra Lon Chaney in London After Midnight e Tim Curry in Legend. Il Rapace (The Grabber) risulta più spaventoso nei suoi momenti di tranquillità. Una sorta di clown triste che ha bisogno di giustificare le sue azioni prima di dare sfogo alla sua malvagità.
Derrickson, che si è allontanato dall’universo Marvel di Doctor Strange per dirigere Black Phone, utilizza spesso un’estetica che rievoca i vecchi filmati amatoriali in Super-8 e filmati di cinegiornali anni ’70, come nei bellissimi titoli di testa. Interessante la scelta dei flashback per raccontare meglio le giovani vittime, con una regia sempre attenta ai dettagli e una narrazione che funzionerebbe anche senza il dialogo. Le intrusioni del soprannaturale sono gestite con un approccio concreto che le integra nella realtà molto ben radicata. Il dualismo fra terrore in forma fisica e metafisica è sempre bilanciato bene. Immagini inquietanti e sequenze di suspense prolungate non soltanto nel seminterrato, dato che gli adulti intorno a Gwen non credono che i suoi incubi possano essere la chiave per risolvere il caso. L’elemento soprannaturale è quindi a supporto dell’orrore più tangibile, e la tensione è portata avanti soprattutto dalla minaccia di ciò che farà il killer.
Interpretazioni e scelte tecniche
Le interpretazioni elevano la sceneggiatura di Derrickson e Cargill, il regista aveva già dimostrato la sua capacità di lavorare con attori bambini. Mason Thames offre una solida performance nei panni di Finney, soffermandosi sui traumi infantili e la voglia di reagire. Madeleine McGraw, che interpreta la sorella Gwen, è ancora più sorprendente. Una recitazione molto naturale passa spesso dal sarcasmo alla paura, diventando un personaggio fondamentale nel film. Ethan Hawke funziona bene come antagonista, ma mi sarei aspettato qualcosa di più inquietante e meno banale in alcuni momenti del film.
La fotografia di Brett Jutkiewicz è notevole, di recente ha lavorato per l’ultimo Scream e per qualche episodio di Stranger Things, e durante la visione di Black Phone ho notato qualcosa in comune con questa serie tv. Nel film di Derrickson i colori diventano più sbiaditi per restare fedeli all’estetica anni settanta, e le riprese in stile super-8 risultano davvero efficaci. Black Phone non è sicuramente un film privo di difetti, la visione resta godibile e anche abbastanza coerente, ma si avverte una certa superficialità nell’introdurre l’antagonista interpretato da Ethan Hawke. Non che mi aspettassi un profilo psicologico da crime-movie, ma almeno qualche sfumatura in più, per renderlo meno scontato. Senza spoilerare, la parte meno credibile riguarda un personaggio secondario troppo caricaturale, che cerca di aiutare i detective con l’indagine. Ne resta un thriller-horror più che dignitoso che aveva il potenziale per qualcosa di più memorabile.
In conclusione
Black Phone è decisamente diverso da Sinister ed è sbagliato aspettarsi un film simile. Un dramma oscuro, con un messaggio mai troppo urlato sull’unione che diventa l’unica possibilità per sopravvivere in questo mondo degenerato. Siamo senz’altro contenti della decisione di Derrickson di tornare alle sue radici horror, un ritorno che non delude e merita sicuramente la visione in sala.
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