Cam è una pellicola diretta da Daniel Goldhaber, con protagonisti Madeline Brewer, Devin Druid e Samantha Robinson, è stata distribuita sulla piattaforma Netflix il 18 luglio 2018; il film è il risultato di un interessante connubio tra la critica ai nuovi media e la paranoia generata da questi ultimi.
CAM, trama
La protagonista Alice è solita organizzare dirette online in cui si esibisce a luci rosse per i propri followers. Ella è ossessionata dal voler raggiungere la top 50 delle ragazze più viste, con il fine di arrivare al primo posto. Per fare questo, Alice è disposta a sottoporsi alle situazioni più bizzarre ed estreme di fronte ai suoi followers. Tutta la fatica fatta per avvicinarsi alla riuscita del suo ambito obbiettivo viene però vanificata quando qualcuno si impadronisce del suo account. Ecco quindi che Alice si ritroverà a dover cercare di recuperare la sua identità, nel mentre che il suo misterioso persecutore metterò man mano a soqquadro la sua vita, oltre che il rapporto con le persone che la giovane ha intorno.
Spirale virtuale
La pellicola, che a primo impatto potrebbe apparire come il classico film horror disimpegnato per adolescenti (sulla scia di film quali ad esempio Ouija (2014) diretto da Stiles White, incentrato su di una ragazzina che infrange una delle regole della tavola d’evocazione spiritica, portando così ad eventi nefasti), in realtà nasconde in sé ben più di qualche elemento che permette allo spettatore di avvertire, come la protagonista, una costante sensazione di paranoia e desolazione, portate avanti dalla consapevolezza che qualcuno abbia preso in mano la tua vita attraverso un semplice click sul mouse.
Partendo infatti dall’aspetto puramente narrativo, siamo di fronte ad un intreccio che per quanto essenziale, è sufficiente ad instillare nella mente di chi guarda l’idea che Alice sia totalmente assuefatta da una realtà che non è tangibile, quel virtuale che simula la realtà a tal punto da far credere chi vi prende parte che non ci possa essere nient’altro al di fuori di questo.
In tal senso è evidente come si voglia puntare verso una critica, tutt’altro che velata, ad una realtà virtuale che sempre più al giorno d’oggi assoggetta a sé giovani che hanno si voglia di fare, ma anche di ottenere al più presto ciò che vogliono.
Sempre legato all’intreccio è interessante constatare come si sia voluto far leva su di una costruzione che predilige il progressivo generarsi di una spirale discendente, in cui la protagonista si ritrova man mano ad annegare. Basti osservare ad esempio il rapporto con la madre della ragazza, con la quale ella inizia man mano ad instaurare un conflitto, che poi sfocia nella vera e propria tragedia proprio verso le battute finali del film, e che si rivelerà poi un nodo fondamentale dell’intreccio, che ha il compito di trasportare Alice verso una decisione finale, poi determinante per gli ultimi attimi della pellicola, in cui tutto si decide.
Parlando invece degli elementi facenti parte della messa in scena, siamo di fronte ad una precisa
impronta stilistica, che attraverso la presentazione di interni dalle luci soffuse, i quali si identificano nelle camerette tipiche in cui le camgirls si esibiscono, permettono allo spettatore di visitare ciò che si nasconde al di là dello schermo delle dirette online. Questo invito ad entrare nel privato, si lega anche alla possibilità di dare uno sguardo ai tipi di interazioni sociali con cui le ragazze come Alice, la protagonista, si ritrovano ad avere a che fare. Nello specifico viene dato modo allo spettatore di osservare come in una realtà completamente digitalizzata, certe regole sociali del mondo reale vengano completamente debellate, favorendo quindi rapporti poco consoni tra giovani adolescenti ed attempati e fin troppo generosi individui, disposti a tutto pur di ottenere ciò per cui hanno pagato.
Quello che dunque una fotografia dai toni sgargianti e tendenti prettamente al rosa, vorrebbe far presagire in potenza, cioè la sensazione di trovarsi all’interno di spazi confortevoli in cui chi fa questo “mestiere” può avere ciò che desidera, in atto poi trasforma il tutto in un mondo oscuro, pieno di insidie e secondi fini, un luogo in cui le ragazzine sono tutt’altro che al sicuro.
Dal lato più strettamente tecnico, la pellicola di Daniel Goldhaber si adagia su di una regia abbastanza statica, senza arrivare ad un eccessivo utilizzo dei movimenti della macchina da presa. Lo stesso regista non mette in moto alcun particolare gioco con la camera, portando il tutto verso una gestione puramente “di mestiere” del mezzo tecnico, portando semplicemente a termine il compito per cui è implicata la macchina da presa, riprendere ciò che accade. Ciò è dovuto al fatto che non è la perizia visiva ciò che importa effettivamente al regista, ma ciò a cui sembra puntare maggiormente è proprio voler coinvolgere lo spettatore attraverso degli espedienti ben più semplici.
La sola visione di sequenze in cui la protagonista assiste ad una copia di sé stessa, che conduce la sua vita al posto suo, è sufficientemente disturbante per chi guarda, per far si che si vada ad instillare in lui una indesiderata sensazione di disagio e preoccupazione per la protagonista.
Paradossalmente infatti, la giovane Alice, così ossessionata dal voler essere protagonista della sua vita online, viene privata anche dall’essere protagonista della sua vita nel mondo reale.
In conclusione, Cam è un film che merita assolutamente di essere visto, non solo da chi si ritiene appassionato del genere horror, ma anche da chiunque senta il bisogno di una visione sì semplice, ma che anche allo stesso tempo dia modo di riflettere su qualcosa che tocca da vicino il mondo di tutti noi da ormai più di un decennio. Quello che si riesce ad ottenere oggi con pochi semplici click è tanto rassicurante, quanto inquietante, proprio perché se è vero che ad oggi condividere la propria vita online è un qualcosa che porta gratificazione, allo stesso tempo è estremamente pericoloso esporsi senza le dovute accortezze, in quanto si potrebbe rischiare che un giorno qualcuno decida che quella è la sua vita, non più la nostra, portandocela via per sempre.
a cura di Carlo Salini
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