Mary Harron ci racconta l’esperienza delle ragazze della famiglia Manson, in un film molto fedele alla realtà dei fatti. Charlie says narra la storia dell’estate del 1969 e di come quegli eventi abbiano definitivamente svegliato l’America dal sogno hippy di pace ed amore.
Si è molto scritto e mostrato sulla famiglia Manson nel corso degli anni, concentrandosi di più sul personaggio del presunto guru e sulla cronaca nera degli omicidi. Con Charlie says invece, Mary Harron ci racconta la storia da un punto di vista femminile molto interessante: quello delle ragazze di Charlie. La regista non vuole giustificare i tragici fatti avvenuti, il suo intento è mostrare allo spettatore come queste donne fossero state plagiate. Subirono un profondo lavaggio del cervello, anche mediante l’uso di droghe, che le fece perdere l’individualità a discapito dell’obbedienza assoluta a Manson. Harron vuole che il pubblico empatizzi con loro, potendo in seguito giudicarle con una visione più onesta dei fatti.
La storia di Manson affascina perché è un mistero sempre più oscuro
Come dice Quentin Tarantino ancora oggi a distanza di anni il pubblico rimane affascinato da come un uomo sia riuscito a condizionare delle giovane menti al punto tale da usarle per i suoi scopi criminali. Nel cinquantenario delle stragi Tate-LaBianca, il cinema torna massicciamente sull’argomento con ben tre pellicole nel giro di un paio di mesi. Sharon Tate – Tra incubo e realtà raccontava l’esperienza dal punto di vista della moglie di Roman Polanski e C’era una volta a Hollywood avrà la vicenda della famiglia criminale come sfondo della Los Angeles del 1969. Invece Charlie says mette al centro l’indottrinamento e il lavaggio del cervello che Manson fece alle ragazze, concentrandosi anche sulle conseguenze che le giovani tutt’ora scontano in prigione. Il film segue due linee temporali: il 1972 quando le responsabili sono in prigione a confrontarsi con una caparbia insegnante carceraria e l’estate del 1969 all’epoca delle stragi.
https://youtu.be/EvhQ_Vvhfbc
Un cantante fallito e la rabbia repressa
La storia è raccontata dal punto di vista di tre delle seguaci di Manson che furono arrestate e condannate all’ergastolo: Leslie Van Houten, Patricia Krenwinkel e Susan Atkins. Le giovani vissero nello Spahn Ranch a contatto con la dottrina di Manson e furono le esecutrici degli omicidi. Charlie says segue il loro percorso terapeutico in prigione e, attraverso i loro ricordi di quel periodo, di come abbiano ceduto al magnetismo di un folle. E’ anche un viaggio interiore per riappropriarsi di sé dopo che per mesi Charlie aveva tolto loro anche i nomi chiamandole semplicemente: Lulu, Katie e Sadie. I ricordi vanno dalle esperienze allucinogene collettive, ai quotidiani lavori al Ranch fino ai momenti musicali in cui cantavano insieme a Charlie. Solamente dopo un provino con Terry Melcher che non ottenne il successo sperato, Manson fece esplodere la sua rabbia repressa e la sua indole violenta venne a galla.
Dapprima furono delle semplici infrazioni per creare solamente caos ai proprietari, successivamente divennero delle vere rapine e degli omicidi ai danni di innocenti. Il caso più eclatante fu l’omicidio di Sharon Tate e di alcuni suoi amici che in quel momento si trovavano con lei la sera del 9 agosto 1969. La scelta dell’abitazione non fu casuale: Charles stava cercando proprio Melcher in cerca di vendetta per il provino, peccato che il produttore avesse affittato ai Polanski. Quando si accorse della cosa, decise di usare lo stesso le sue ragazze per mandare un messaggio dell’imminente guerra che si sarebbe scatenata a causa degli afroamericani. Caos che avrebbe rovesciato la società dell’epoca, Helter Skelter parafrasando i Beatles, da cui lui e la sua famiglia sarebbero riemersi alla fine dei conflitti per comandare su tutti. Alcuni giorni dopo avvenne l’omicidio dei coniugi LaBianca, che inasprì ancora di più l’ondata di violenza.
Un dramma carcerario ancora in corso
Le fitte ricerche della polizia e una delle ragazze che si decise a confessare cosa Charlie ordinava loro di fare agli agenti, permisero alle forze dell’ordine di arrestare le tre giovani responsabili e soprattutto a mettere dietro le sbarre Manson. Charlie says è anche un dramma carcerario, l’esperienza di tre giovane donne che dovranno convivere per tutta la vita con le loro azioni dettate da un folle. Leslie, Patricia e Susan grazie all’aiuto di una volenterosa insegnante capiranno quanto sbagliate furono le loro azioni. Eccetto Susan, morta di tumore nel 2009, le altre due ancora oggi sono detenute in un carcere californiano. La regista ci mostra anche in parte le azioni efferate commesse dalle tre, ma non tende per questo a giustificarle. Vuole che lo spettatore comprenda come Manson non fosse altro che un manipolatore violento, maschilista, egocentrico ed opportunista che riversava sugli altri i suoi traumi personali.
https://youtu.be/kkTJByTt4XM
Cast azzeccato per una storia non semplice
Il grande merito di Charlie says è anche nell’aver trovato gli interpreti perfetti per i ruoli chiave della vicenda. Matt Smith è molto bravo a calarsi nei panni di Charles Manson, riesce ad essere magnetico ad ogni inquadratura e risulta anche inquietante. Hannah Murray interpreta la protagonista Leslie Van Houten, con l’innocenza e la purezza pronte a trasformarsi in spietata violenza omicida. Sosie Bacon e Marianne Rendon sono rispettivamente Patricia Krenwinkel e Susan Atkins, due delle adepte che introdurranno Leslie alla vita della famiglia nello Spahn Ranch. Giusto citare anche Chace Crawford come Tex Watson membro di spicco del culto mansoniano. Ottimo lavoro svolto dalla sceneggiatrice Guinevere Turner nell’adattare il saggio The Family di Ed Sanders, analisi accurata degli eventi del 1969.