Disponibilie sul catalogo Netlix Creep, pellicola found footage del regista (e interprete) Patrick Brice scritto insieme all’autore (e, anche lui, interprete) Mark Duplass. Una lenta e folle discesa nella mente di Joseph – il creepy villain della storia – dove la paura nasce proprio dall’inquietudine di un racconto semplice, disturbante, quotidiano.
La storia
Aaron (Patrick Brice) è un giovane videomaker che, armato della sua fidata camera, lascia la città per recarsi nel luogo del suo prossimo lavoro: una piccola baita in montagna, sperduta tra la fitta vegetazione. Aaron ha infatti con entusiasmo risposto ad un annuncio che ha tutta l’aria di essere un lavoro facile facie, uno di quelli da “easy money” come si suol dire: un migliaio di dollari per otto ore del suo tempo, all’interno del quale non dovrà fare altro che riprendere in un semplice video reportage, senza virtuosismi, una normalissima giornata di Joseph (Mark Duplass), l’uomo che ha richiesto questo servizio.
Troppo facile per essere vero? Sembrerebbe di sì.
Eppure le intenzioni di Joseph sembrano delle più nobili: l’uomo confessa al suo operatore Aaron di essere gravemente malato di cancro e di voler lasciare in eredità a suo figlio Buddy, non ancora nato, una testimonianza reale di ciò che è la sua vita quotidiana. Ecco, da questo momento in poi forse Aaron si renderà conto che il lavoro facile facile sul quale aveva messo gli occhi potrebbe nascondere delle insidie. Ma quali? Joseph altro non è che un giovane uomo desideroso di lasciare un segno prima della sua morte per paura della solitudine e dell’oblio, allora perché ogni suo sguardo, gesto, o parola, sembra contenere un lontano eco di inquietudine e – appunto – creepyness?
Il potere delle buone intenzioni
La forza di Creep, che si muove all’interno di un territorio battutissimo nel genere horror che è quello del found footage, sono i delicati equilibri che la pellicola si diverte a turbare: ogni beat all’interno del film porta con sé un’aura perturbante, inquietante, allucinatoria – eppure – sempre realistica. Creep argina il problema secolare del “perché il protagonista non scappa?” (che affligge il nostro genere da sempre) con una tecnica tanto semplice quanto efficace: in fondo non c’è da aver paura perché, forse, di strano – di creepy appunto – non c’è niente. Forse Joseph è veramente un uomo solo e disperato che ha paura di essere dimenticato da sua moglie e suo figlio e noi, insieme a Aaron, un po’ vogliamo crederci a questa eventualità.
Le scene iniziali fioriscono all’interno di una zona grigia fatta di inquietudine e “tenerezza” che ci permette di scivolare verso le rivelazioni della trama con i muscoli tesi ma anche il cuore accogliente: devo avere paura o essere intenerito? Ecco, questa precisa sensazione è il grande achievement di questa pellicola semplice e profonda. L’espressione geniale e magistralmente mantenuta dall’attore (e autore) Mark Duplass incarnano perfettamente il cuore della storia: il perturbante raggiunge la massima efficacia quando è ben nascosto tra le pieghe del quotidiano. Un sorriso troppo prolungato, uno scherzo fuori luogo, una battuta inquietante. Tramite queste piccole gocce la storia procede e ci inietta un malessere che è gestibile, digeribile.
Noi spettatori assistiamo ipnotizzati e ignari di essere avvelenati dal susseguirsi di queste scene “drogate” in sottofondo dalla follia, per essere condotti verso un delirio ragionato, dosato. Il climax di terrore e degenero che il film raggiunge infatti arriva come un veleno che fa effetto lentamente, che ci stordisce per non farci accorgere della trappola mortale all’interno della quale siamo caduti. La ragnatela tessuta da Joseph è infatti quasi invisibile agli occhi di Aaron, ed è quella del dubbio costante delle buone intenzioni, della forza della condivisione del dolore, dell’empatia. Tutti elementi potentissimi che conducono il protagonista al centro tela tela del ragno.
E allora lasciamo da parte per un istante la componente di forma (il found footage) di questa pellicola – senza scordarci però che anche in questo il film regala degli attimi tremendamente goduriosi e riesce a trovare nuovi meccanismi per sfruttare al meglio l’inflazionatissimo sottogenere come nel momento della confessione “al buio” dell’atto di violenza da parte di Joseph (e non andiamo oltre perché è un momento davvero intenso da scoprire) – per ribadire quanto il contenuto semplice doni potenza alla componente creepy di questa storia in maniera esemplare.