E’ possibile entrare nella storia del cinema con due soli film all’attivo?
Non due buoni film in un curriculum di celluloide composto da alti e bassi, ma due soli film realizzati in tutta una vita?
Sembrerebbe abbastanza improbabile, eppure un uruguaiano classe 1935, recentemente scomparso, nato a Montevideo e arrivato in Spagna giovanissimo ce l’ha fatta.
Narciso Ibanez Serrador è un nome forse poco conosciuto ai più, eppure, come vedremo, pur essendosi poco rapportato con il grande schermo, è riuscito con due pellicole a meritarsi quello scomodo appellativo di Maestro, che troppo spesso viene affibbiato ad autori più o meno capaci, caricandoli di aspettative esagerate che spesso sfociano in amare delusioni.
Ma torniamo alla sintetica filmografia di Serrador, regista e autore televisivo, che ha goduto di un discreto successo nel paese iberico, entrato però nel cuore dei cinefili horror per quelle due uniche, meravigliose volte in cui gli capitò di far capolino nel mondo del lungometraggio.
Due esperienze ravvicinate e folgoranti, che hanno dato un’idea concreta delle sue capacità autoriali e hanno fatto rimpiangere il fatto che la TV se lo sia tenuto stretto.
LA PRIMA VOLTA
1969 – GLI ORRORI DEL LICEO FEMMINILE
In un collegio privato per giovani difficili nella Francia di fine ‘800 alcune ragazze spariscono nel nulla. Inizialmente prese per fughe amorose, le sparizioni getteranno presto l’austera istituzione in un incubo profondo, tra paure e sospetti reciproci.
Narciso Ibanez Serrador ci accompagna fin dalla prima scena in questo spettrale edificio, fotografato in brune e tetre tonalità autunnali, un ambiente austero, ostile, che dal principio appare subito labirintico e inespugnabile.
Ben prima di Suspiria (sicuramente ispirato in parte da questa pellicola) ci troviamo a seguire le vicende di una scuola gestita da un’inflessibile direttrice, che controlla con piglio militaresco, le giovani, ricche ragazze, affidatele da genitori assenti, per farne diventare perfette donne da sposare.
Da una parte le ragazze, inquiete, gioiose e vitali, dall’altra la gelida direttrice (una perfetta Lilli Palmer) e le prescelte nell’aiutarla a mantenere l’ordine, giovani che subdolamente abusano del loro potere per instaurare un clima di bullismo e sopraffazione.
Gli uomini in questa storia sono solo appendici, come il torvo custode, l’uomo di fatica che viene a tagliare la legna (e a soddisfare le giovani che se lo contendono) fino ad arrivare al timido ma curioso figlio della direttrice, da lei tenuto quasi segregato. Stretto in un rapporto protettivo e morboso, nella paura che tutte quelle ragazze dall’animo corrotto possano comprometterlo.
Mentre seguiamo la tetra vicenda fino al suo folgorante e crudele epilogo, appare chiaro quanto Serrador stia lanciando in realtà degli strali contro le rigide imposizioni della società.
L’etichetta e la disciplina ad ogni costo, nella cieca ricerca di un ideale di società vuoto e conforme.
Nemmeno la religione si salva ed è evidente l’ipocrisia del tutto quando, con uno splendido montaggio alternato, ci vengono mostrate le educande nel momento della preghiera mentre, nello stesso istante, una di loro viene frustata ripetutamente per essersi ribellata in classe poco prima.
La storia è ambientata in Francia per evitare censure troppo feroci, in quegli anni la Spagna era ancora nella morsa della dittatura franchista ed è proprio questo il grande male che genera mostri denunciato dal regista. Un male che persegue l’ordine esercitando il controllo e la repressione, spingendo gli animi ribelli allo scontro e i deboli alla follia.
IL RITORNO AL CINEMA
Passano alcuni anni, ed ecco Serrador tornare al cinema con un’opera agghiacciante e sublime, tratta dal libro El juego de los niños, anticipando una tematica che qualche anno dopo verrà esplorata nientemeno che da “sua maestà” Stephen King.
1976 – MA COME SI PUO’ UCCIDERE UN BAMBINO?
Una coppia inglese in attesa di un figlio si reca in vacanza nelle isole del mediterraneo e giunge in una sperduta località al largo della Spagna alla ricerca di pace e tranquillità.
Dal principio rinfrancati dalla serenità che la luminosa location offre, i due si accorgeranno presto che la pace apparente che li circonda potrebbe non essere qualcosa di positivo.
Abitazioni abbandonate, silenzio opprimente e mancanza apparente di abitanti adulti. Solo frotte di bambini, dal principio amichevoli ma con una strana espressione negli occhi…
Inizia così un incubo narrato alla luce del sole, con il caldo che fa arrancare i protagonisti come gli spettatori calati sempre più in una storia agghiacciante, che non fa sconti a nessuno e non teme di mostrare la brutalità, andando contro il politicamente corretto.
Come nel film precedente Narciso Ibanez Serrador riesce a far uso di silenzi e musiche in maniera sapiente, creando momenti di grande tensione sublimati da immagini asettiche nella loro spietatezza.
Girato in una Spagna appena liberata dalla dittatura, il film è un’opera che non ha bisogno di ricorrere alla metafora e può colpire dritta al cuore della società. Una società per una volta messa sotto scacco dai presunti deboli, quei bambini abusati e dimenticati troppo a lungo.
La pellicola si apre con una serie di filmati di repertorio che descrivono i massacri infantili dei quali l’umanità si è macchiata in svariate circostanze. Immagini vere e scioccanti degli eccidi nazisti, delle guerre in Indocina, Corea, Vietnam e dei genocidi africani.
Pezzi di storia spesso dimenticati nei quali il mondo civile si è ben guardato dal salvaguardare l’innocenza e il diritto di essere bambini.
Il finale, beffardo, richiamerà l’epilogo de La notte dei morti viventi e vedrà allargarsi la minaccia di quest’orda infantile a tutto il mondo. Reclamo disperato di una fanciullezza perduta e dichiarazione di guerra a quell’ universo adulto che li ha sottovalutati troppo a lungo.
Film unico per certi versi, Ma come si può uccidere un bambino? è una pietra miliare di quel cinema di genere che sa parlare di tematiche universali, senza voler essere autoriale.
Eredi dei giovani de Il signore delle mosche di William Golding, i protagonisti sono il frutto dell’abbandono, della noncuranza e della superficialità di un mondo distratto e troppo egoisticamente adulto.
COSA CI RESTA
Con questo secondo gioiello Narciso Ibanez Serrador saluta per sempre il cinema nel lontano 1976, gettandosi a pieno in una produzione televisiva molto attiva che da noi arriverà parzialmente, come nel caso della bella serie antologica Film per non dormire della quale sarà produttore esecutivo e regista di uno dei migliori episodi (La copla, dove la tematica, guarda caso, riguarda ancora l’infanzia).
Resta il rimpianto di non aver visto altri lavori per il cinema di questo abile e non convenzionale autore, capace di regalare brividi liberi dallo spavento facile, costruiti con un’abile utilizzo di tutti i sensi che la settima arte sa attivare. Un autore libero in tempi di schiavitù, audace in tempi di omologazione, capace di rimanere nella storia del cinema pur con soli due film.
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