“Ma quanto tempo ci separa dalla prossima estate?”
Oggi, 26 Settembre 2021, ricorre il trentacinquesimo anniversario dall’inizio delle pubblicazioni di una delle testate a fumetti italiane più apprezzate a livello internazionale, Dylan Dog. Era infatti il 26 Settembre 1986 quando il primo albo, “L’alba dei morti viventi”, si affacciava timidamente dagli scaffali delle edicole di tutta Italia. Inizialmente Dylan Dog non fu un successo (lo si definì ironicamente “morto nelle edicole”), ma col tempo la popolarità della collana crebbe fino a diventare la testata mensile a fumetti più venduta in Italia e un vero e proprio fenomeno di costume.
Per sapere di più sulle origini e sulle caratteristiche essenziali del personaggio, vi rimandiamo all’articolo dedicato all’argomento.
Nel corso di questi tre decenni e mezzo, l’Indagatore dell’Incubo si è trovato alle prese con le creature e le situazioni più disparate. Il punto di forza delle storie è stato da sempre quello di unire aspetti orrorifici, spesso anche splatter, con riflessioni profonde su temi universali o legati alla stretta attualità. L’input in tal senso non può che essere fatto risalire al padre del personaggio, Tiziano Sclavi. Ed è proprio a opera di Sclavi (con il contributo di Mauro Marcheseilli al soggetto) la sceneggiatura di uno degli albi che meglio ci mostrano chi sia Dylan Dog e come la sua figura sia potuta entrare di prepotenza nel cuore di migliaia di lettori. L’albo in questione è il settantaquattresimo della serie regolare, “Il lungo addio”, pubblicato per la prima volta nel Novembre 1992.
Una storia che, per assurdo, di horror non ha nulla.
TRAMA
Alla porta di Dylan Dog bussa una persona diversa dal tipico cliente in cerca di aiuto in qualche faccenda di carattere paranormale. Si tratta infatti di Marina Kimball, che fu l’amore giovanile dell’Indagatore dell’Incubo durante l’estate trascorsa da quest’ultimo nella cittadina balneare di Moonlight. Marina non ricorda come sia arrivata lì e chiede a Dylan se potesse riaccompagnarla a casa. Il viaggio da Londra a Moonlight sarà per i due l’occasione di vivere ancora i ricordi di quell’estate ormai lontana, creando un ponte tra il presente e il passato (e tra la realtà e il sogno).
UN SOGNO DOLOROSO E BELLISSIMO
Cifra distintiva di diverse delle sceneggiature firmate da Tiziano Sclavi è la presenza di passaggi illogici, visionari, quasi criptici. Questo elemento diventa un fattore pressoché imprescindibile nelle storie sclaviane che trattano di aspetti della vita personale di Dylan Dog. “Il lungo addio” non è da meno, presentandoci già a pagina 18 una virata verso una dimensione surreale e apparentemente priva di alcuna logica. In verità possiamo considerare il viaggio da Londra a Moonlight alla pari di un sogno, in cui fanno capolino ricordi e sensazioni senza le limitazioni logiche che regolano la veglia. Ecco perché vediamo un’autostrada sospesa nel cielo o un luna park in mezzo al nulla, ed ecco perché Dylan e Marina continuano per il loro viaggio senza dare eccessivo risalto alle bizzarrie che li circondano. A intersecarsi con la narrazione principale sono i flashback di quella galeotta estate a Moonlight fatta di risate, litigi e parole non dette. In queste scene vediamo un Dylan profondamente diverso da quello a cui siamo abituati ma, se possibile, ancora più umano. Il Dylan adolescente era infatti privo di alcun elemento di idealizzazione. Un ragazzo indubbiamente buono, ma non per questo privo dei difetti più tipici della gioventù. L’ordinaria tranquillità di quei ricordi fa calare il lettore in un’atmosfera quanto mai aderente al vero, per poi fare ritorno alle atmosfere oniriche del viaggio in macchina di Marina e Dylan.
Dylan Dog ha sempre a che fare con incubi. Quando ci si sveglia da incubo, si tira un sospiro di sollievo e si torna a dormire rincuorati. Ma che cosa ci aspetta quando ci si sveglia da un bel sogno?
La conclusione del viaggio dei due, in quella piccola cittadina dove nulla è cambiato, è il risveglio da quel bellissimo sogno. Un risveglio amaro e commovente.
Scopriamo infatti che Marina è morta, vittima di un’esistenza ormai svuotata da alcun conforto. Nella chiesa di Moonlight si sta svolgendo il suo funerale. Di fronte alla realtà dei fatti, Dylan scoppia a piangere per poi pensare “Perché piango? Lo sapevo, l’ho sempre saputo”. Ma allora quale è stato il senso di quanto avvenuto fino a quel momento? L’interpretazione può essere duplice. Possiamo fornire una spiegazione più astratta interpretando il viaggio dei due come la realizzazione dell’ultimo desiderio di Marina, che poco prima di morire ha sperato di poter rivedere Dylan un’ultima volta.
La spiegazione più concreta è anche la più dolorosa e ha a che fare con l’elaborazione del lutto. Non sappiamo quanto spesso Dylan abbia ripensato a Marina durante gli ultimi anni, sta di fatto che la morte della ragazza lo ha costretto a ripercorrere tutte le esperienze vissute assieme, senza reprimere in alcun modo i propri sentimenti. Non sappiamo nemmeno se tutto ciò che ci viene mostrato nei flashback sia un effettivo riflesso della realtà passata o il prodotto del filtro emotivo che Dylan ha operato su quei ricordi. E, in fin dei conti, non è nemmeno importante saperlo.
Al dolore per il lutto si aggiunge anche il rimorso, il dubbio di come sarebbero andate le cose se i due si fossero rivisti “la prossima estate” come si erano promessi.
La morte di Marina è vissuta dall’Indagatore dell’Incubo come una morte dell’ingenuità e spensieratezza dei sogni giovanili, emblematico in tal senso è il “Ma quanto tempo ci separa dalla prossima estate?” che Dylan formula tra sé e sé nella prima vignetta dell’ultima tavola. Una prossima estate che per lui e Marina non è mai arrivata e che (forse) non arriverà più.
A una seconda lettura ci si accorge come tutto l’albo sia in verità disseminato di elementi che permettono di intuire la reale sorte di Marina. Il più evidente di tutti è l’apparentemente inspiegabile comportamento di Groucho, l’assistente di Dylan Dog. Quello che ci viene presentato è un Groucho insolitamente serio, non incline alle stravaganti battute di spirito a cui ci ha abituato di albo in albo. In tal senso l’ultima battuta dell’albo, un “grazie, amico” che Dylan gli rivolge va, nella sua semplicità, a caricare di un nuovo livello di importanza il rapporto fra i due. Quando si smette di avere a che fare con un male soprannaturale e si diventa vittime del male della realtà, anche l’ironia di una spalla comica viene meno.
I disegni sono affidati a Carlo Ambrosini, allora alla sua seconda prova sul personaggio. Lo stile di Ambrosini, tipicamente sintetico e grezzo, subisce qui un ammorbidimento per adattarsi alle tematiche della storia. Per distinguere fra le scene ambientate nel presente e quelle ambientate nel passato, l’artista ha utilizzato gli acquerelli. Nei flashback infatti il riempimento delle figure non è affidato alla china, ma alle tonalità più delicate del nero e del grigio ad acquerello. Ambrosini, che è anche sceneggiatore, avrebbe ripreso diverse delle suggestioni de “Il lungo addio” per il suo “Del tempo e di altre illusioni”, albo numero 395 della collana regolare (facente parte del Ciclo della Meteora).
I volti dei personaggi dovevano restituire la delusione per un bacio non dato, la tristezza per un amore non corrisposto, la disillusione dettata dal passare del tempo
Carlo Ambrosini, per il libro “Dylan Dog Talks”
La copertina dell’albo, a opera di Angelo Stano, è fra le più celebri della collana. Essa sintetizza perfettamente, in un abbraccio impossibile sullo sfondo di un vortice di ricordi, quella che è la struggente poesia de “Il lungo addio”.
In definitiva “Il lungo addio” è uno degli albi più profondi e introspettivi della collana. Una storia a sé, priva delle tipiche tematiche horror, che riesce più che mai nell’intento di caratterizzare Dylan Dog come quell’eroe umano, con le sue macchie e le sue paure, che da 35 anni appassiona un’affezionata schiera di lettori.
Quest’oggi un ricordo va anche a Sergio Bonelli, colui che volle dare fiducia al “progetto Dylan Dog”, che ci ha lasciato esattamente 10 anni fa.