“Posso leggere la Bibbia, Omero o Dylan Dog per giorni e giorni, senza annoiarmi”
Questa frase diventata subito iconica fu detta da Umberto Eco alcuni anni prima della sua morte durante un’intervista e rende subito l’idea di cosa Dylan Dog significhi per il fumetto italiano. L’illustre semiologo ha da sempre cercato di sdoganare la Nona Arte all’interno del panorama culturale moderno, ponendo l’accento su come questo linguaggio abbia delle potenzialità ancora tutte da scoprire. Alcuni anni prima era stato lo stesso fumetto a celebrare lo studioso italiano, inserendolo come personaggio secondario, nel gennaio 1998 sull’albo numero 136 Lassù qualcuno ci chiama, riflessione moderna sulle difficoltà di comunicazione tra esseri viventi e specie differenti. La storia era scritta da Tiziano Sclavi ed illustrata da Bruno Brindisi, ovvero due delle tre persone che crearono il personaggio insieme a Claudio Villa a meta anni ’80.
Genesi di un personaggio
Negli ultimi vent’anni del secolo scorso il settore dei fumetti da edicola era in profonda stagnazione in Italia, con solo poche testate che riuscivano a mantenere degli standard dignitosi. Alla Sergio Bonelli Editore arrivò un romanziere e sceneggiatore di storie a fumetti che aveva fatto già parlare di sé, Tiziano Sclavi appunto. Fin da bambino appassionato di storie dell’orrore e di fantascienza, il giovane scrittore pavese aveva pubblicato racconti gialli e grotteschi per vari editori.
Nell’ultimo periodo aveva sceneggiato serie a fumetti per il Corriere dei Piccoli ma, causa cambi al vertice della casa editrice, decise di passare all’azienda di Sergio Bonelli. Iniziò come correttore di bozze e sceneggiatore per molti personaggi celebri della casa editrice, da Zagor a Mister No fino a quando lo stesso direttore decise di affidargli la creazione di un nuovo personaggio, avendo visto all’opera le potenzialità espresse solo in potenza da Sclavi fino a quel momento.
A partire dal 1984 cominciò la ricerca di disegnatori ed altri sceneggiatori che lo avrebbero affiancato nel nuovo progetto, nomi all’epoca quasi sconosciuti ma che potessero condividere le idee e lo stile dello scrittore. L’idea principale era quella di unire il fumetto popolare che si poteva acquistare in edicola al graphic novel d’autore reperibile solo nelle librerie. La scelta del nome Dylan Dog era nata in Sclavi per identificare i personaggi che stava creando in attesa di dare loro un nome ufficiale.
Questa volta però pensò di lasciarglielo perché nella sua semplicità avrebbe racchiuso probabilmente uno dei più complessi ed enigmatici personaggi del fumetto italiano. Successivamente decise che la location perfetta per le sue storie potesse essere Londra, la città gotica per eccellenza che tanto amava dai racconti letti durante l’infanzia. Le avventure di questo personaggio sarebbero state di base investigativa per poi sfociare nel soprannaturale e nell’incubo onirico, quindi aveva bisogno di un elemento per stemperare la tensione come spalla comica del protagonista. L’idea ricadde subito su un sosia di Groucho Marx, personaggio decisamente sopra la righe con il contesto in cui sarebbe stato presentato che avrebbe avuto anche la funzione di rompere la quarta parete e coinvolgere ancora di più i lettori.
La cosa più difficile fu però dare un volto a questo Indagatore quando, mentre Sclavi era al cinema a vedere Another Country – La Scelta, apparve sullo schermo il faccione di Rupert Everett e non ci furono più dubbi su che volto avrebbe dovuto avere Dylan. Lo scrittore mandò al cinema Claudio Villa per fargli studiare la gestualità e la mimica facciale dell’attore britannico, chiedendogli dei bozzetti di prova sulla sua scrivania il prima possibile.
Il risultato fu molto soddisfacente e questi primi disegni furono mandati a Stano per illustrare le prime pagine che erano state scritte. Il Dylan pensato dagli autori avrebbe dovuto essere un sorta di eroe romantico, che per definizione stessa non si sente un eroe, che avrebbe aiutato tutti quelle persone alle prese con problemi a cui la polizia non avrebbe dato una risposta. Per aumentare anche il background del protagonista sarebbe stato un ex agente di Scotland Yard, come la migliore tradizione noir insegna, con un passato da alcolista ormai alle spalle e un amico al distretto sempre pronto a dargli una mano, l’ispettore Bloch.
Per la prima avventura Sclavi scelse una minaccia che aveva dato nuova linfa al genere horror qualche decennio prima grazie alla visione di George A. Romero, i morti viventi. Una giovane donna che chiede aiuto a Dylan dopo che suo marito è morto e risorto nel giro di poche ore, un viaggio in Scozia nel pittoresco villaggio di Undead e uno scienziato pazzo che ricerca il siero per l’immortalità di nome Xabaras: saranno tutti gli elementi che fin da subito renderanno il personaggio iconico.
Molti di questi però erano già stati pensati dallo scrittore per un romanzo che sarebbe stato pubblicato alcuni anni più tardi ovvero Dellamorte Dellamore, storia di un becchino della provincia milanese che ha il compito di rispedire i morti nelle loro tombe a causa di una strana epidemia che ha colpito il suo cimitero. La presenza dell’horror unito ad una prosa quasi grottesca, un goffo aiutante ritardato ed incapace di esprimersi nonché una l’arrivo di una bellissima vedova sono tutte idee che possiamo ritrovare anche nella genesi di Dylan Dog. Il libro ottenne subito un adattamento cinematografico nel 1994 firmato da Michele Soavi, esponente di spicco dal panorama horror italiano che aveva lavorato già con tutti i grandi maestri del genere nostrano. Il cerchio venne però chiuso idealmente quando nel ruolo del protagonista Francesco Dellamorte venne chiamato proprio Rupert Everett, l’attore divenuto iconico in quegli anni sulle pagine del fumetto.
Dalla paura al successo di pubblico
Finalmente il 26 settembre 1986 esce in tutte le edicole italiane il primo numero di Dylan Dog, L’alba dei morti viventi. Le cose però non andarono come previsto perché inizialmente l’albo riuscì a malapena a coprire i suoi costi di produzione. Sergio Bonelli cercò di non dirlo subito a Sclavi che in quel momento stava ultimando altre storie dell’Indagatore dell’Incubo. Passarono un paio di mesi ed uscirono anche i successivi due numeri, fu in quel momento che il passaparola fece qualcosa di inaspettato. Come detto, il fumetto da edicola vendeva una numero di copie fisse e non si riusciva ad aumentare la tiratura di nessuna testata, ma ecco che questa novità venne talmente apprezzata da far correre in edicola anche quelli che non erano lettori di fumetti.
Fu il boom. Le vendite arrivarono rapidamente alle 180.000 copie partendo da zero, numeri impressionanti se uno tra i fumetti più longevi in Italia di casa Bonelli ovvero Tex, aveva impiegato 38 anni per arrivare alle 500.000. La stampa cominciò ad interessarsi del fenomeno e del suo autore, ma Sclavi era da sempre persona riservata e schiva e quindi poco tollerante a quell’assalto mediatico.
Nacque così anche il Dylan Dog Horror Fest, un appuntamento irrinunciabile per tutti gli amanti sia di Dylan Dog che del genere horror in generale. Le prime edizioni si tennero al cinema Ducale a Milano, successivamente vista la grande affluenza di pubblico ci si spostò prima al cinema Gloria ed infine all’allora Palatrussardi. Oltre che l’incontro tra appassionati che potevano scambiarsi numeri ed impressioni sulle avventure dell’Indagatore dell’Incubo, il Festival era l’occasione perfetta per stimolare i dibattiti di tutta quella cultura del genere pauroso, allora considerata di nicchia, che non aveva i mezzi che abbiamo oggi per condividere esperienze ed emozioni. Purtroppo il Festival non ebbe una vita lunga e quando il Comune decise di non dare il suo patrocinio per le successive edizioni ne venne decretata la fine, tra lo sconforto dei partecipanti.
Da allora però oltre agli anni sono cambiati anche i mezzi di comunicazione e il fenomeno di Dylan Dog tra alti e anche molti bassi ha superato i 30 anni di vita nelle edicole e si appresta a tagliare il traguardo dei 400 numeri. Ottimi sceneggiatori e grandi disegnatori si sono succeduti da allora, ottenendo consensi da pubblico e critica del settore, sempre nel solco dell’idea di Sclavi di portare a tutti un fumetto che avesse un respiro profondamente autoriale. Maestri del tavolo da disegno come Giampiero Casertano, Montanari & Grassani e Corrado Roi hanno potuto esprimere il loro potenziale grazie alle sceneggiature di Claudio Chiaverotti, Paola Barbato e Roberto Recchioni. Quest’ultimo dal 2013 ha preso il testimone direttamente da Tiziano Sclavi come nuovo curatore di Dylan Dog, iniziando un’opera di rinnovamento del personaggio rimanendo però fedele agli ideali che lo avevano mosso in tutti questi anni di vita editoriale.