Eddie Munson. Freak, metallaro, leader dell’Hellfire Club dell’Hawkins High. E personaggio di spicco dell’ultima, attesissima stagione di Stranger Things. Chioma indomabile, occhi gentili e un’infame reputazione che ne segue ovunque i passi come un’ombra scura e minacciosa, Eddie è un perseguitato, l’agnello sacrificale che un’intera città non esita a mettere al bando nel disperato tentativo di trovare un colpevole ai brutali omicidi che insanguinano e scuotono la (neanche troppo) tranquilla Hawkins. Fan di Metallica, Dio e Iron Maiden, gruppi pilastro del genere heavy metal, il nuovo babysitter di Dustin & friends è sin da subito entrato nelle grazie del fandom della serie evento dei Duffer Brothers: personalità esplosiva, amico devoto ed eroe indiscusso di questa quarta stagione, tanto umano nelle sue fragilità quanto inaspettatamente coraggioso e battagliero di fronte al pericolo, Eddie è, senza alcun dubbio, uno dei personaggi migliori di una serie tv di culto che, a distanza di 6 anni dal lancio, non cessa di stupire il pubblico, ammaliandolo con le sue atmosfere nostalgiche e catturandone l’attenzione con storylines tanto complesse quanto efficaci e ben incastrate tra loro.
Ma per quale ragione Eddie è entrato con tanta facilità nei cuori dei fan di Stranger Things?
Cosa ha fatto guadagnare al leader dell’Hellfire Club l’affetto di milioni di persone?
Eddie ‘lo svitato’ Munson: il re degli emarginati
Eddie è “quello strano“, la cattiva compagnia da non frequentare, il ragazzo dalla storia difficile che è meglio tenere a distanza. In un qualsiasi liceo americano che si rispetti, vige la più tossica e discriminatoria delle leggi non scritte, per la quale stringere amicizie “sbagliate” tenderebbe ad arrestare l’ascesa sociale di uno studente nell’ambiente scolastico. Ed Eddie è proprio il tipo dal quale tenersi alla larga, se si ambisce a sedere ai tavoli giusti in compagnia dei re della scuola. Il leader dell’Hellfire non è di famiglia ricca, vive in un campo caravan con lo zio operaio e, occasionalmente, spaccia droghe leggere. A peggiorare il tutto, il fatto che il ragazzo abbia fondato un club interamente dedicato al controverso gioco di ruolo Dungeons & Dragons, che negli anni ’80 è stato spesso associato a satanismo e violenza. L’Hellfire è un faro di speranza per tutti i losers della Hawkins High – compresi Dustin, Mike e Lucas – , un posto in cui dare libero sfogo alla propria immaginazione combattendo contro oscuri incantatori a colpi di dadi. Ed è proprio mentre giocano le loro epiche (e lunghissime) battaglie, che i membri del club di Eddie smettono di essere insicuri, vessati e malvisti dai compagni di scuola e dalla società: D&D dà l’opportunità agli emarginati della Hawkins High di essere forti, valorosi ed eroici in un mondo alternativo a quello reale.
Il leader dell’Hellfire Club è tutto questo: ribelle, anticonformista, eccessivo; pericoloso per la società perché sfugge al suo controllo; imprevedibile perché agisce fuori dagli schemi e rifiuta categoricamente di essere stereotipato. La vera rivoluzione, per Eddie, è essere sé stessi in un mondo che ti vuole diverso da quello che sei; è ascoltare la musica che ti piace, per quanto rumorosa, con orgoglio; è indossare magliette disegnate a mano con i simboli dell’Hellfire Club – un diavolo cornuto, una spada infuocata e un mazzafrusto con palla chiodata – che i tuoi amici possano riconoscere tra la folla per sentirsi meno soli; è, in definitiva, coltivare la propria stranezza, difenderla da venti ostili e abbracciare sempre e ad ogni costo quell’unicità che ti distingue dalla massa. Va da sé che, con questi presupposti, il personaggio di Eddie sia stato apprezzato sin dal primo momento da chi, come lui, stenta a “vestire” un ruolo che non sente suo solo per essere parte di un gruppo che gli preclude la possibilità di essere davvero sé stesso; dai solitari, dai nerd, da quei ragazzi che attirano sguardi insistenti e indiscreti per i capelli troppo lunghi, i jeans strappati o le unghie dipinte di nero.
Nella sua spontaneità, nell’assoluta lealtà che dimostra agli amici, e, soprattutto, (MASSIVE SPOILER) nella scelta di anteporre la salvezza di Dustin & co. alla sua, Eddie si rivela essere proprio la guida che ogni ragazzino ingiustamente discriminato spera, prima o poi, di incontrare e seguire, quel fratello maggiore un po’ folle da cui imparare cosa significa crescere e diventare uomini. E, tuttavia, con l’ingiusto sacrificio di Eddie e un riscatto postumo del personaggio pressoché inesistente, i Duffer Brothers aprono una parentesi che va oltre l’universo di Stranger Things: Eddie Munson incarna quella paura del diverso che, nel 1993, portò alla condanna dei “Tre di West Memphis” – Damien Echols, Jessie Misskelley e Jason Baldwin –, tre adolescenti accusati di omicidio che, a posteriori, sembrano avere molto in comune con Eddie lo ‘svitato’. Stranger Things prende il bigottismo e l’ignoranza che dilagarono nella cittadina dell’Arkansas in seguito all’arresto di Echols, Misskelley e Baldwin, e condisce la trama di questa quarta stagione con un’isteria collettiva che non tarda a sfociare in una caccia alle streghe senza precedenti: tutti, ad Hawkins, credono fermamente nella colpevolezza di Eddie; per l’intera città, è stato il ragazzo più strano della scuola ad uccidere e cavare gli occhi a Chrissy Cunningham, la capo cheerleader bella e popolare della Hawkins High. La scoperta dell’identità dell’assassino – tanto nella finzione quanto nella realtà – non porta con sé alcun effetto sorpresa: per la gioia dei moralisti, il capro espiatorio perfetto è il ragazzo problematico, lo scarto della società che, dalla sua, non ha alcuna difesa, e la cui dubbia immagine basta già a condannarlo.
Il caso dei Tre di West Memphis
Maggio 1993. West Memphis, Arkansas. L’assassinio di tre bambini di otto anni – Stevie Branch, Michael Moore e Christopher Byers – riaccende la miccia del “Satanic Panic“, un’ondata di terrore collettivo associata alla presunta e preoccupante diffusione di culti satanici nell’America degli anni ’80. Quando i corpi nudi e senza vita di Stevie, Michael e Christopher vengono ripescati in un fossato del Robin Hood Park, orrendamente mutilati e legati in posizioni innaturali con i lacci delle loro stesse scarpe, l’opinione pubblica non esita a puntare il dito contro Damien Echols (18 anni): solo lui, lunghi capelli neri, seguace della Wicca, ed estimatore di una musica aggressiva e spaccatimpani, sarebbe in grado di commettere un omicidio rituale di tale portata.
Da Echols, fu facile arrivare all’amico Jason Baldwin (16 anni) e a Jessie Miskelley (17 anni), un altro ragazzo del posto. La loro cattiva reputazione li precedeva: i tre ragazzi erano fan dell’heavy metal (all’epoca nota nelle piccole comunità religiose come quella di West Memphis come la “musica del diavolo“), sbandati affascinati dall’occulto e cresciuti in famiglie povere e disfunzionali. Damien Echols, che all’epoca era già padre di un bambino, aveva abbandonato gli studi prima di prendere il diploma e si manteneva con lavoretti saltuari. Non stupisce che tre tipi “poco raccomandabili” come Echols e i suoi amici avessero cominciato ad attirarsi le antipatie dei locali ancor prima degli eventi del maggio 1993, e, dopo il ritrovamento dei corpi di Stevie, Michael e Christopher, per le menti limitate della piccola città di provincia era piuttosto chiaro chi si fosse macchiato di un simile delitto e, soprattutto, perché: i tre bambini erano stati uccisi durante un rituale satanico, offerti in sacrificio al Demonio da Echols, Miskelley e Baldwin.
Il pessimo lavoro della polizia di West Memphis – che, oltre a mettere in sicurezza la scena del crimine il giorno successivo agli omicidi, facilitando così l’inquinamento delle prove, esercitò anche delle pressioni psicologiche su indiziati e testimoni al fine di pilotare le indagini verso la condanna certa di Echols e compagni –, le prove indiziarie, la confessione contraddittoria di Jessie Misskelley – che ammetteva di aver ucciso Branch, Moore e Byers con la complicità dei due amici, salvo poi ritrattare –, e l’indignazione delle famiglie delle vittime condurranno i tre outsider alla sbarra. Nel 1993, Echols, l’unico maggiorenne, fu condannato alla pena capitale, mentre per Baldwin e Misskelley il processo si concluse con l’ergastolo.
Ma qualcosa andò storto: quando il caso dei “Tre di West Memphis” balzò agli onori della cronaca nazionale, il clamoroso errore giudiziario attirò l’attenzione di celebrità del calibro di Johnny Depp (diventato, negli anni, amico intimo di Echols), Marilyn Manson ed Eddie Vedder. L’altisonante campagna mediatica contribuì a redimere l’immagine di Damien Echols, bollato come capo della setta satanica di West Memphis e rimasto nel braccio della morte per ben 18 anni. Nel 2011, Echols, Baldwin e Misskelley hanno ottenuto la libertà grazie ad un patteggiamento straordinario – l’Alford Plea – dopo un periodo di detenzione di quasi vent’anni. Più di metà della loro vita.
I punti di contatto tra il “caso” Munson e il caso dei “Tre di West Memphis” sono innumerevoli: in entrambe le circostanze, la comunità sconvolta dai delitti non vuole giustizia, pretende invece vendetta. Tanto gli abitanti di Hawkins quanto quelli di West Memphis chiedono a gran voce la testa di qualcuno, e quel qualcuno deve essere a tutti i costi il ragazzo della porta accanto, il tipo tormentato, provocatorio, che veste di nero ed esibisce maglie con simboli controversi, che ascolta musica “sbagliata” e i cui atteggiamenti di aperta sfida alla società, della quale rifiuta conformismo e grettezza, non passano inosservati. Tutto, pur di lavare via con altro sangue il ricordo dell’insopportabile crudeltà subita dalle vittime. Anche scegliere un cattivo su misura, il cui aspetto sia già di per sé un’ammissione di colpevolezza, un affronto all’innocenza.
Ma, se in Stranger Things, bastano un paio di puntate a svelare l’identità di Vecna – lo spaventoso villain della quarta stagione, nonché, forse, il mostro più inquietante (per metodi di caccia ed aspetto) dell’universo creato dai Duffer –, la realtà sa essere ancor più perversa: il caso della scomparsa e dell’assassinio di Stevie Branch, Michael Moore e Christopher Byers resta, infatti, ancora oggi, un caso irrisolto. Negli anni, i ripetuti sopralluoghi della polizia hanno smentito il coinvolgimento di Echols, Baldwin e Misskelley nel triplice omicidio di West Memphis, ma nuove e inquietanti prove hanno collegato alla scena del crimine il patrigno di Steve Branch, Terry Hobbs, e John Mark Byers, il patrigno del piccolo Christopher. Inoltre, un afroamericano grondante sangue e fango è stato visto aggirarsi in stato confusionale nei bagni di un locale di West Memphis, il Bojangles, proprio nelle ore successive alle macabre uccisioni. “Mr. Bojangles” – così fu soprannominato dai media – sparì senza lasciare traccia quella sera stessa. A distanza di 28 anni, la sua identità resta ignota. Che fosse proprio lui il responsabile della morte di Steve Branch, Michael Moore e Christopher Byers?
Nel 2013, il caso dei “Tre di West Memphis” è diventato un film: Devil’s Knot – Fino a prova contraria, angosciante film thriller diretto da Atom Egoyan con Colin Firth e Reese Witherspoon, riesce a ricreare alla perfezione la frenesia che aveva attraversato la comunità di West Memphis in quel lontano maggio 1993.
In Stranger Things, la caccia alle streghe che trasformò la cittadina dell’Arkansas in una moderna Salem e portò all’arresto di Echols e compagni, si trasforma nella “caccia allo svitato“, e proprio come i Tre di West Memphis, sarà Eddie Munson ad essere crocifisso per la sua diversità.
Disappointed but not surprised, uh?
In loving memory of Eddie Munson. You will never be forgotten.
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