Claudio Lattanzi ci regala un horror che omaggia il passato, raccontandoci di un oscuro futuro: Everybloody’s End segna la rinascita del cinema di genere. Al suo secondo film da regista, nonostante la lunga carriera con i maestri dell’horror, propone un film audace e sorprendente. Attori e maestranze coinvolte hanno dimostrato come si possa fare ancora cinema di genere in Italia
Sappiamo come il pubblico sia ancora diffidente con i prodotti indipendenti horror italiani, timoroso di trovarsi di fronte a produzioni da fiction televisive. Ma il panorama indipendente italiano risulta più vivo che mai negli ultimi anni, come hanno dimostrato anche i vari D’Antona, Zuccon e Misischia tra gli altri. Forse il problema risulta proprio nella poca fiducia che il pubblico sceglie di tributargli, rispetto ai tentativi che sempre più spesso vengono fatti per riportare ai fasti il cinema di genere italiano. Claudio Lattanzi ed Antonio Tentori, che firma la sceneggiatura, hanno voluto guardare ad un oscuro futuro, omaggiando però anche il passato dell’horror italiano. Everybloody’s End risulta essere un esperimento riuscito nello scuotere il pubblico con una perfetta commistione di passato e presente, sempre con lo sguardo rivolto al futuro.
Un futuro apocalittico e misterioso
Everybloody’s End racconta la storia di un piccolo gruppo di sopravvissuti ad una catastrofe che ha quasi spazzato via l’umanità. I protagonisti giungeranno, ognuno dal proprio percorso in una specie di bunker dentro al quale troveranno il teologo Steiner, che studia i segni di questa Apocalisse. Oltre a lui due giovani donne, Nera e Rossa, ed una enigmatica donna dal misterioso passato, Bionda. Successivamente si unirà loro anche un medico di nome Michael, mentre la giovane assistente di Steiner, Lisa, è scomparsa prima dell’arrivo degli ospiti. La tensione sarà palpabile per tutta la durata della loro permanenza, in quanto fidarsi di sconosciuti è molto difficile. Ancora più pericolosa è la minaccia esterna rappresentata dagli Sterminatori, soldati che crocifiggono tutti coloro che trovano sul loro cammino. Chi siano veramente e quali siano le loro intenzioni rimane ancora ignoto per i protagonisti.
Un cast che urla dal passato
Per il suo film, Lattanzi non ha voluto tirarsi indietro ed ha scelto di inserire in molti ruoli chiave attori che hanno segnato il cinema di genere italiano. Everybloody’s End vede sia davanti che dietro la macchina da presa alcune glorie anche iconiche dell’horror. Cinzia Monreale può essere ricordata, tra gli altri, per: Buio Omega di Joe D’Amato del 1979 (con un doppio iconico ruolo) oltre a …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà del 1981 del maestro Lucio Fulci. La sua Emily diventò un icona a livello mondiale, così come lo diventò il secondo film della Trilogia della Morte appunto.
Giovanni Lombardo Radice dona al film dimostrazione della sua grande bravura. Non che ce ne sia ulteriormente bisogno dopo aver lavorato con Fulci (Paura nella città dei morti viventi), Lenzi (Cannibal Ferox) e Soavi (La Chiesa, La Setta). Insomma per impersonare il teologo Steiner aveva tutte le carte in regola.
In un’apparizione breve ma fondamentale per lo sviluppo della trama anche Marina Loi. Il suo ruolo è quello di Lisa, l’assistente di Steiner, costretta a lasciare il bunker prima dell’arrivo dei superstiti. Nella sua carriera come non citare Zombi 3 di Fulci, Fragasso e Mattei e Demoni 2 di Lamberto Bava. Era tornata con una piccola comparsa anche nel 2017 in The Antithesis di Francesco Mirabelli.
Un film che parla di futuro guardando al passato
Claudio Lattanzi quando cominciò a pensare a Everybloody’s End disse di aver pensato alla scena finale. Potente ed evocativa quanto enigmatica e metanarrativa, racchiude anch’essa una sorta di ritorno al passato dell’horror. Questa è stata anche una delle linee guida nella produzione di un film che ha avuto delle maestranze di rilievo. Il direttore della fotografia è Ivan Zuccon che già molto si è fatto conoscere nel panorama indipendente italiano degli ultimi anni. Una fotografia scura, quasi claustrofobica come la situazione vissuta , in cui si cerca di dare grande importanza ai particolari ed ai tagli dell’inquadratura. Agli effetti visivi il grande Sergio Stivaletti, oltre ad apparire anche in un cammeo, che mostra la sua arte in almeno due sequenze già iconiche. A supervisionare la scenografia Massimo Antonello Geleng, grandi collaboratore di Michele Soavi, tra gli altri. Scenografia minimalista ma essenziale il giusto e mai troppo banale. Le musiche di Luigi Seviroli completano il tutto, con un repertorio che mira a tenere lo spettatore ancora più in ansia per le sorti dei protagonisti.