Fang è un film del Novembre del 2022 scritto e diretto da Richard Burgin, un’opera a bassissimo costo che inaspettatamente è arrivata anche da noi qui in Italia (in lingua originale sottotitolata) grazie alla piattaforma streaming Prime Video di Amazon. Si tratta del primo film prodotto dalla piattaforma web malevolentdark.com.

TRAMA

Billy (Dylan LaRay) è un ragazzo con evidenti disturbi dello spettro autistico. Lavora in una fabbrica come tuttofare alle dipendenze di un datore di lavoro ambiguo e dai loschi intrallazzi. Lo stipendio serve a Billy soprattutto per pagare le medicine della madre Gina (Lynn Lowry), con cui vive e che soffre di Parkinson all’ultimo stadio. La convivenza tra i due mette Billy costantemente sotto pressione, spingendo il ragazzo a rifugiarsi sempre più nelle proprie fantasie. La situazione già critica sembra poi precipitare quando, un giorno, un ratto morde Billy che lentamente comincia a trasformarsi in un uomo-topo.

ISPIRAZIONE, NON IMITAZIONE

Quello che appare chiaro fin da subito quando ci approcciamo a Fang è che siamo nel campo del cinema ultra low budget. Un cinema indipendente, artigianale, fatto di idee e intuizioni ma realizzato con pochissimi mezzi. Capita spesso di associare questo tipo di film, i così detti B-movie, a prodotti di scarsa qualità, come se a distanza di anni una tale categorizzazione possa ancora essere intesa come qualitativa e non quantitativa. E in effetti i primissimi frame di Fang possono trarre in inganno, con quell’utilizzo sgangherato della shakeycam di raiminiana memoria che trasmette una sensazione di scarsa qualità tecnica e poca cura formale. Sensazione poi spazzata via quasi istantaneamente: il primo lungometraggio di Richard Burgin può contare sulle notevoli capacità di scrittura del suo autore, su un’attenta analisi psicologica dei personaggi e sulla perfetta gestione dei tempi horror. Per non parlare di un ristretto cast in grado di reggere sulle spalle il film anche nei momenti meno riusciti.

Burgin scrive, dirige, recita e fa da produttore esecutivo. Trae ispirazione dai numi tutelari dell’horror di serie b ma non rinuncia a dare un’impronta personalissima alla sua creatura, oscillando costantemente tra drama, horror psicologico e body horror. Se da un lato c’è il George Romero di Martin e dall’altro il primo Cronenberg de Il demone sotto la pelle e Rabid, nel mezzo possiamo percepire l’influsso surreale dell’Eraserhead di David Lynch o l’impatto visivo, sporco e grottesco, del cinema di Henenlotter, in un mix perfetto da cui emerge una poetica ben precisa, un’identità che annulla qualunque intento imitativo e che dona al lungometraggio freschezza e vitalità.

L’INCUBO  

Fang ha la fisionomia dell’incubo. Costantemente sospeso, costantemente opprimente, costantemente alienante. Fang è il precipitare nella tana del bianconiglio, viaggio senza coordinate verso la perdita dei confini tra conscio e subconscio, reale e irreale, ordinario e straordinario. Al centro Billy, che sprofonda nella ripetitività di una vita apparentemente senza sbocchi, né lavorativi, né personali. Ripetitività infranta solo dalle sempre più frequenti crisi della madre, che a causa della propria malattia neurodegenerativa sta perdendo se stessa e ciò che le sta attorno. Se da un lato ci sono le difficoltà del quotidiano, accentuate dalla condizione stessa del protagonista, dall’altro c’è il conflitto costante con la figura materna e la perdita di identità del nucleo familiare, che lentamente si sgretola. L’unica salvezza sembrerebbe il far emergere il proprio mondo interiore, magari attraverso l’arte (Billy disegna un fumetto e ha creato un vero e proprio universo immaginifico), magari attraverso l’amore. L’occasione, in questo caso, potrebbe essere l’incontro con Myra (interpretata da Jess Paul), badante di Gina e ragazza dalla spiccata sensibilità. Ma ogni desiderio di realizzazione, ogni speranza di autodeterminazione, sembra spegnersi nel momento in cui la mente già sovraccarica di Billy comincia definitivamente a vacillare. Il mondo interiore del protagonista comincia a rielaborare il reale in chiave distorta e l’alienante quotidianità che è costretto a vivere assume i connotati, appunto, dell’incubo. E’ a quel punto che il morso di un topo da il via ad una trasformazione degenerativa prima psicologia e poi, di conseguenza, fisica.

UN DRAMMA SOCIALE E FAMILIARE

Che Fang possa essere inteso come un dramma sociale è chiaro fin dall’inizio. L’ambientazione post industriale, gli ambienti squallidi, l’atmosfera opprimente: sono tutti, questi, elementi che fanno da cornice all’alienante rincorrersi della quotidianità rappresentata da un susseguirsi di attività, anche tra le più banali, che divengono uno scoglio difficile da superare. Riscuotere il proprio stipendio, ad esempio. Il mondo di Fang è un mondo in cui sembra vigere una sorta di legge darwiniana distorta e distopica, una vera e propria malattia sociale che diventa parallelo della terribile malattia che affligge la povera Gina e del più che probabile disturbo da cui è affetto Billy. Ma il dramma sociale non può che essere anche dramma familiare. Alla base del lento disgregarsi del nucleo familiare non c’è infatti solo la malattia, ma soprattutto una crisi dei valori, una cronica incapacità all’empatia e all’inclusività. In un mondo di estranei tutti preda dei propri bisogni egoistici, in una realtà in cui persino madre e figlio lentamente diventano estranei, in cui l’involuzione dei meccanismi inter-relazionali danno luogo ad una sorta di demenza collettiva, nasce e si sviluppa un’involuzione tanto fisica quanto psicologica. Ed è così che Fang riesce a perturbare lo spettatore, ed è così che l’orrore, dopo essersi fatto strada sotto pelle, finalmente esplode fino a straripare nel potentissimo finale.

UN CAST INCREDIBILE

Come dicevo all’inizio: pochissimi soldi e tantissime idee. Ma a volte le idee non bastano. Serve la sostanza e qui, in Fang, di sostanza ce n’è tanta. Tecnicamente il film deve fare i conti con effetti speciali dozzinali, sicuramente artigianali, ma il modo che ha Burgin di curare la messa in scena è da applausi. Il film ha poi un montaggio talmente efficace da non creare mai nemmeno un momento di stanca e in grado di dare alla narrazione un ritmo perfetto.

E poi ci sono gli attori: se il giovane Dylan LaRay è bravissimo a reggere sulle proprie spalle praticamente l’intero lungometraggio grazie ad un’espressività fuori dal comune e all’empatia che dimostra nei confronti del suo personaggio, la mitica Lynn Lowry mette in campo tutta l’esperienza che le deriva da una carriera ultra decennale, la propria duttilità e l’incredibile mimica facciale, regalandoci un’interpretazione terrificante e incredibile e dimostrando di aver studiato con cura i comportamenti di chi è affetto da Parkinson all’ultimo stadio, riuscendo a replicarne perfettamente tanto i sintomi fisici quanto quelli psicologici. Chiude il cerchio Jess Paul, in un ruolo secondario ma assolutamente necessario.

CONCLUSIONI

Fang è uno di quei film a cui non daresti nemmeno un euro. Ci sta, soprattutto dopo aver letto la trama che, credetemi, non rende per nulla l’idea di cosa sia davvero quest’opera. Ma se avrete la curiosità di cercarlo e di guardalo, sono sicuro che vi potrà stupire per la profondità e la semplicità con cui affronta temi delicati riuscendo a suscitare un orrore e un’inquietudine prima sottile e poi, in un crescendo spietato, disarmante e straripante.

Un film piccolo e sconosciuto, una piccola perla del cinema horror contemporaneo che merita di essere scoperta e che consiglio di recuperare al più presto.

a cura di Francesco Morga


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