Il regista dei record Paolo Genovese torna sul grande e piccolo schermo con un nuovo dramma interpretato da un cast capitanato da Toni Servillo alla guida del gruppo composto da Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco, Margherita Buy e il giovanissimo Gabriele Cristini. Il primo giorno della mia vita – disponibile sulla piattaforma Amazon Prime Video – è un viaggio in una dimensione sospesa tra la vita e l’aldilà in una Roma cruda e concettuale che diventa teatro dei drammi interiori dei protagonisti in un racconto di ispirazione dickensiana.
La storia
Un eccentrico e affascinante personaggio dall’identità non definita (Toni Servillo) fa la sua comparsa all’interno delle vite di quattro persone che si trovano ad un passo dal suicidio. Questa figura ha un intento ben preciso: far cambiare idea ai suddetti personaggi. Fargli scegliere la vita, appunto. Così Napoleone (Valerio Mastandrea), un life coach guru depresso, Emilia (Sara Serraiocco), una ex atleta olimpionica adesso paraplegica, Arianna (Margherita Buy), una donna che non riesce a superare la morte della figlia, e Daniele (Gabriele Cristini), un giovane fenomeno del web sfruttato dai genitori, si ritrovano insieme ad errare all’interno di una nuova dimensione-limbo guidati da un enigmatico cicerone.
Il gruppo, che passo dopo passo si farà sempre più “famiglia”, avrà a disposizione sette giorni da trascorrere in una Roma che è tutta da osservare ma all’interno della quale – al contrario del solito – loro non vengono visti, per scrutare nelle loro esistenze travagliate da un punto di vista nuovo e mai considerato prima che, forse, potrà farli ricredere sulla loro decisione di rinunciare alla vita.
Così tra momenti nostalgici, rievocazioni surreali e favolistiche e scambi poetici sul reale e sulla vita in un contemporaneo “La vita è meravigliosa“, il viaggio dei protagonisti prende forma. Ma per quanto delicato e commovente, questo percorso deve comunque giungere ad una conclusione. Perché i quattro protagonisti sono stati messi di fronte ad un bivio: scegliere la vita con le sue passioni e i suoi dolori talvolta insopportabili, o la morte e il suo sollievo dato dall’assenza e dal vuoto.
Davanti a un bivio, però, non si può stanziare per sempre. E anche se la vita e lo straordinario ha dato ai protagonisti la possibilità di allungare questa sosta, prima o poi dovranno scegliere se ritornare.
Un sogno, una favola.
Il romano Paolo Genovese, oltre ad essere senza alcun dubbio presente tra l’olimpo dei registi italiani più affermati e influenti, è ormai il regista dei record: il suo popolarissimo Perfetti sconosciuti infatti vanta di essere il titolo con più remake al mondo. Un occhio e una narrazione la sua che spiccano per la capacità tagliente e d’impatto di raccontare il dramma quotidiano delle persone comuni con espedienti narrativi altrettanto quotidiani. Non è immune però Genovese al fascino della favola, del surreale (come abbiamo visto anche in The Place) e – perché no – del sovrannaturale stesso. Un sovrannaturale terreno, con radici piantate nel reale e nell’ordinario, ma comunque di sovrannaturale si tratta.
Questo sguardo fantastico e favolistico è esattamente lo sguardo che ci introduce, che apre il sipario violentemente, su il primo giorno della mia vita. Una pellicola che ci trascina in medias res, che risparmia di spiegarci i meccanismi che governano l’avventura straordinaria dei protagonisti: siamo a Roma e una figura misteriosa e angelica dà la possibilità a quattro sconosciuti di ripensare al loro suicidio, di riavere la propria vita. Un meccanismo che sicuramente ci trascina subito nella storia ma che allo stesso tempo rischia di generare, almeno per la prima prima metà del film, situazioni in cui i dialoghi tra i personaggi si fanno didascalici e distaccati venendo meno alla grande possibilità dell’espediente narrativo: tentare di far scegliere la vita per la felicità nascosta nelle piccole cose.
La città, il reale che diventa magico
Il primo giorno della mia vita si schiude in una narrazione in capitoli in cui, giorno dopo giorno, il misterioso Cicerone del limbo – che più che un angelo diventa guida di una Roma sospesa nel tempo – offre ogni giorno nuove ingegnose esperienze all’interno di un’ambientazione quotidiana: il Tevere e il Gazometro che lo sovrasta, il panorama mozzafiato della capitale illuminata di notte, il groviglio di strade trafficate di giorno e deserte e illuminate da mille luci di notte. Certo, Roma sullo schermo non è una novità, ma è comunque interessante osservare queste quattro anime erranti intrappolate in un limbo che è la città, metafora della vita stessa, contenitore di caos gioia e dolore alla quale è in parte delegato il compito di ricordare ai protagonisti che quella vita può ancora essere vissuta.
Così mentre il patto anti-mefistofelico procede (sette giorni per scegliere se, la fuori, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena vivere) il gruppo appena nato cessa di essere composto da sconosciuti e inizia a diventare famiglia vera e propria, portandoci all’interno di una seconda metà del film che abbandona l’aura surreale e talvolta esplicativa, per portarci nel quotidiano:
particolarmente di impatto all’interno della seconda metà della pellicola i momenti “conviviali” del gruppo in cui la dimensione onirica – e talvolta didascalica – viene in parte abbandonata per dar spazio a attimi di reale quotidianità. Sebbene sempre all’interno di un racconto filosofico, l’occhio di un regista che è sì favolistico ma anche molto concreto, ci regala il suo migliore sguardo sulla vita e sul racconto, creando dei momenti di reale commozione.