Arriva nelle sale italiane 31 anni fa Il silenzio degli innocenti, il capolavoro diretto da Jonathan Demme e magistralmente interpretato da Anthony Hopkins e Jodie Foster Il silenzio degli innocenti. Adattamento dal bestseller di Thomas Harris, la pellicola conquista le cinque statuette dell’academy più ambite (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, miglior attore e attrice protagonisti) e lascia un segno indelebile all’interno della storia del genere thriller.
La storia
La giovane e promettente recluta dell’FBI Clarice Starling (Jodie Foster) viene incaricata dal direttore Jack Crawford di indagare su un serial killer che sta gettando scompiglio tra la popolazione: uno psicopatico soprannominato Buffalo Bill, che rapisce giovani donne per poi ucciderle e scuoiarle.
Ma in questa impresa Clarice non sarà sola: Crawford incarica la donna di avvalersi dell’aiuto di qualcuno che non solo ha avuto a che fare con numerose menti criminali, ma che è anche una di loro: lo psichiatra Hannibal Lecter (Anthony Hopkins), da più di otto anni detenuto nel manicomio criminale di Baltimora.
Sebbene secondo i superiori di Clarice Lecter potrebbe rivelarsi preziosissimo per la cattura di Buffalo Bill, l’uomo si è da sempre rifiutato di collaborare con loro. Ma quando Clarice arriva davanti alla sua cella le cose cambiano. Tra i due inizia a intrecciarsi un rapporto di collaborazione e conoscenza dove Clarice, per cercare di ottenere più indizi possibili da Lecter, lascia che l’uomo si faccia strada nel suo vissuto, nella sua mente, nei suoi incubi.
Così la caccia all’uomo prosegue per Clarice e l’FBI, mentre Lecter si avviluppa lungo le crepe dell’animo della donna, un animo che come il suo non si placa e che ricerca nella giustizia un modo per far tacere i suoi demoni.
In un mondo dominato dal potere dell’uomo, Clarice si fa strada nel mistero della mente criminale e cerca di arrivare vincitrice in una lotta contro il tempo e contro le sue insicurezze.
Un thriller di personaggi e persone
Con Il silenzio degli innocenti Jonathan Damme crea senza ombra di dubbio una storia thriller tra le più riuscite degli anni 90: un’indagine profonda e cupa alla ricerca di uno spietato assassino che abilmente la nostra protagonista compie tra ostacoli e indizi da scovare. Uno sviluppo avvincente della linea gialla, quella predominante all’interno dell’opera, rende la pellicola un capolavoro nel suo genere all’interno della quale, oltre all’avvincente intreccio, si aggiunge un’ambientazione fredda e cupa, quasi anonima, di un’America scarnificata e ridotta all’osso che ne rivela tutta la carica spaventosa e profondamente thriller.
Ma l’ambientazione e la linea gialla della pellicola sono un efficace contenitore per un contenuto che va oltre l’indagine, la storia, la ricerca e la folle corsa di Clarice. Il silenzio degli innocenti è prima di tutto un racconto che si muove verso l’interno dei personaggi, non verso ciò che fanno. Verso ciò che sono.
Clarice, il Dottor Lecter e Buffalo Bill – il tormento dell’interiorità
A sconvolgere e arrivare dritto al cuore dello spettatore in questo racconto, sono infatti gli animi dei suoi protagonisti. Grazie all’espediente narrativo della ricerca psicologica del Dottor Lecter infatti, approfondiamo l’interiorità e il vissuto di Clarice: una ragazza prodigio e disciplinata, ma che la notte non riesce a dormire per il frastuono del suo passato che rimbomba nella sua anima. Dall’altra parte abbiamo Hannibal Lecter, la personificazione del male sulla terra che sembra, con una sensibilità ignota a tutti gli altri personaggi maschili del film, accogliere con incredibile delicatezza le insicurezze di Clarice e cercare di curarle, di cullarle, di studiarle, in una danza tra due animi così lontani da loro nella vita esterna ma così vicini nel loro moto centripeto verso il cuore.
Così lo stesso Buffalo Bill che, al pari della malvagità di Lecter, viene portato dal regista sul piano dell’umano, rendendolo un personaggio col quale, e qui accade la vera magia di questo film, è possibile empatizzare.
Davanti all’animo, al cuore nudo di questi personaggi, non esiste male o bene. Non esiste giudizio. E tutta la loro fragilità è portata sul grande schermo grazie a questa “nudità”, che li fa muovere all’interno di un intreccio che passa quasi in secondo piano davanti alla grandezza della capacità di spogliare così a fondo dei personaggi così diversi tra loro.