Inciso nelle ossa. Un altro inquietante caso da risolvere per la detective Amaia Salazar, stavolta però, il mistero sembra riguardarla da molto vicino.
Inciso nelle ossa è il secondo adattamento della trilogia di Baztán di Dolores Redondo, autrice spagnola di romanzi gialli che hanno riscosso subito un grande successo internazionale. Ambientati nella valle del Baztán, nella provincia di Navarra, i romanzi seguono il passato tormentato e le indagini della detective Amaia Salazar, capo della Omicidi a Pamplona. Il romanzo è uscito nel 2016 per l’editore Salani, mentre il terzo capitolo della saga Ofrenda a la tormenta, è ancora inedito in Italia.
Diretto da Fernando Golzález Molina e uscito in Spagna lo scorso 5 dicembre, Inciso nelle ossa l’adattamento del secondo capitolo della saga è approdato su Netflix questo venerdì 17 aprile e si è subito conquistato un posto nella top 10 in Italia. Anche il primo film della trilogia, Il guardiano invisibile (2017, sempre diretto da González Molina), è disponibile sulla piattaforma streaming.
Il ritorno di Amaia a Elizondo
Un anno dopo aver risolto il suo ultimo caso e aver scoperto di essere incinta, ritroviamo Amaia (Marta Etura) pronta a dare alla luce il piccolo Ibai. Ma proprio qualche ora prima del travaglio, un detenuto che lei stessa aveva catturato si suicida lasciando un misterioso biglietto destinato proprio lei: Tarttalo, dice la scritta.
Quattro mesi più tardi infatti, mentre la sua vita procede dividendosi tra il compagno James e suo figlio neonato, Amaia finalmente rientra a lavoro. Ad attenderla però troverà un caso più complicato del solito che, forse, la riguarda in prima persona: in una chiesa a Elizondo è stato ritrovato lo scheletro di un neonato al quale è stato amputato un braccio… Semplice atto di vandalismo, oppure una vera e propria sfida lanciata al simbolo del cristianesimo?
Intanto i suicidi continuano, e con essi la comparsa della scritta Tarttalo indirizzata sempre ad Amaia. Ma perché proprio a lei? La giovane detective infatti, sarà costretta a tornare ad Elizondo, suo paese natio, per scoprire la verità e, soprattutto, per capire veramente se c’è un legame tra questo mistero e Amaia stessa.
La chiave per risolvere il caso forse si trova proprio nel passato di Amaia, ma la ricerca della verità su chi siamo a volte è il passo più spaventoso che dobbiamo compiere.
La giovane detective infatti inizierà una vera e propria esplorazione all’interno dei luoghi e delle menti delle persone che popolano il misterioso paese, ritrovandosi a nuotare in un mare di indizi che la portano sempre più vicina ad una verità che, soprattutto per lei, forse sarà difficile da accettare. Che succederebbe se il nemico che tanto ostinatamente cerchi di debellare si rivelasse invece essere vicino a te? Forse la vera risoluzione del caso per Amaia non è scoprire chi è il vero colpevole, ma conoscere e accettare la verità che si nasconde nel suo passato.
La donna, un detective da manuale, forte e dotata di determinazione e intelletto fuori dal comune, si muove all’interno di un’atmosfera che valorizza al massimo l’aura cupa e gotica della Spagna rurale, e il film attinge a piene mani da tutti quegli elementi tipici del genere thriller gotico: la natura bellissima e selvaggia infestata da un’oscurità densa e pesante che invade ogni scena, vecchi casolari fatiscenti con stanze vuote e culle di legno abbandonate che sembrano da sole voler raccontare una storia e, soprattutto, un grande puzzle di indizi che man mano prende forma grazie alle testimonianze degli abitanti di Elizondo.
Un’ambientazione che crea tutti i presupposti per uno sviluppo avvincente e ricco di tensione, che tuttavia rischia di non partire a causa della trama troppo densa di rivelazioni.
Il film è caratterizzato infatti da una trama che non permette la minima distrazione allo spettatore e che non lascia riprendere mai fiato ai personaggi. E sebbene questa potrebbe sembrare la ricetta perfetta per inchiodare lo spettatore allo schermo, questo meccanismo in questo caso rischia di far scorrere la storia a ritmo molto lento verso il climax finale, soprattutto perché i colpi di scena e rivelazioni sono più raccontate che mostrate: Amalia infatti si muove all’interno di testimonianze e interrogatori, che (ad eccezione della parte finale) coinvolgono poche azioni, rischiando di smorzare l’atmosfera tesa e misteriosa ben settata nella prima parte del film.
Il risultato è quello di un thriller che sicuramente rende giustizia ad un’ambientazione classica ma bel delineata, all’interno della quale prende forma un personaggio interessante e profondo: la vera crescita di Amaia, che appare come una donna quasi perfetta, forte e indipendente ma anche materna, sta proprio nella riscoperta delle sue radici. Radici che scoprirà essere arrivate molto in profondità all’interno dei misteri che cela Elizondo e che la costringeranno ad affrontare ciò che ci spaventa di più: la verità su chi siamo davvero.