Il 10 ottobre 2013, il secondo capitolo di una delle saghe horror più famose sbarcava nei cinema italiani. Il cast vede il ritorno di Patrick Wilson nei panni di Josh, Rose Byrne in quelli di Renai, Ty Simpkins nel ruolo di Dalton e Lin Shaye in quello dell’iconica sensitiva Elise. Ricompare sullo schermo anche Leigh Whannell, sceneggiatore e curatore del soggetto insieme al regista James Wan, che interpreta il simpatico acchiappafantasmi Specs. Partendo da un budget iniziale di 5 milioni di dollari, il film ha incassato in tutto il mondo più di 160 milioni, secondo quanto riporta Box Office Mojo.
La trama in breve
Dopo i fatti del primo capitolo, conclusosi con il salvataggio di Dalton dall’Altrove, la famiglia Lambert decide di voltare pagina trasferendosi nella casa della nonna Lorraine, dove Josh ha vissuto durante l’infanzia. Quando pensano di essersi finalmente liberati delle oscure presenze che li avevano tormentati, si ritrovano ben presto a dover fare i conti di nuovo con esse; specialmente Josh, del quale si scopre il passato e la storia dell’entità che lo perseguita da anni.
La recensione contiene spoiler! Se non avete visto il film, sconsiglio di proseguire con la lettura.
Un horror che tutt’oggi si fa valere
A mio avviso, Insidious 2 appartiene a quella categoria di horror che ahimé si vedono sempre meno frequentemente ormai sugli schermi. Quei film che sapevano (e sanno) inquietare attraverso le storie e i personaggi, servendosi di trame e sceneggiature complete e lineari, senza il bisogno di ricorrere a jumpscare veicolati unicamente dal suono, come invece sta accadendo in diversi casi recenti. Ci ritroviamo davanti a una suddivisione in atti classica, un prologo ambientato nel 1986 che introduce lo spettatore alla vicenda, alle origini del collegamento della famiglia Lambert con l’Altrove, lo svolgimento, la sottotrama e la conclusione.
Ad ogni modo, quello su cui voglio soffermarmi è la componente introspettiva, che è poi il filo conduttore dell’intera saga. Accanto, quindi, al paranormale, alla separazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti e il bene contro il male, l’indagine e la ricerca dell’io si ritaglia un dignitoso spazio. Il film si focalizza sulla vita e sull’infanzia di Josh, in particolare sul suo rapporto con la misteriosa e maligna entità che vuole possederlo. Come il figlio Dalton nel film precedente, anche Josh compie una sorta di viaggio extra corporeo per ritrovare sé stesso, fisicamente ma anche in senso figurato. In altre parole, cerca di ritrovare il suo vero io, quello che riscoprirà quando, nell’Altrove, incontra lui stesso da bambino (in stato di trance durante una seduta con Elise nel 1986) e gli chiede dove si trova la presenza che dovrà sconfiggere.
Tutto ciò si ricollega, quindi, al tema della dicotomia ricordo/rimosso, qualcosa che era rimasto a lungo nel dimenticatoio e che è dovuto riemergere per salvare la vita di Josh.
La storia dannata della Sposa in nero
Sicuramente, un personaggio di questo film e della saga in generale che fatico a dimenticare è la Sposa in nero. La sua storia è drammatica e inquietante, e scopriamo che in vita aveva vissuto con una madre opprimente, violenta e psicopatica che gli negava di essere sé stesso imponendogli un nome e degli abiti femminili. Diventa così un serial killer che rapisce e uccide le proprie vittime truccato e vestito con un abito da sposa e un velo nero. Successivamente, viene ricoverato in un ospedale psichiatrico (dove Lorraine lavorava come infermiera) e si suicida buttandosi dalla finestra della sua stanza. Sua madre rientra poi a far parte delle anime dannate dell’Altrove, dove si scontrerà con Josh nella parte finale del film.
La cosa che mi ha colpita maggiormente di questa “storia nella storia” è che pur nella sua semplicità e pur rallentando appositamente il ritmo del film, non annoia lo spettatore. L’aspetto vagamente thriller del ritrovamento di vecchi articoli di cronaca nera e dell’indagine che conducono Lorraine, Spencs, Tucker e Carl sicuramente ha catturato l’attenzione.
Conclusioni
Insidious 2 è un film che lascia il segno e lo fa attraverso una regia presente, un cast brillante e una sceneggiatura coerente e lineare. Pollice in su anche per suono e scenografia, che hanno un peso non indifferente. Ricco di citazioni a diversi cult dell’horror, in primis Poltergeist per contesto e personaggi, Shining legato al personaggio di Josh che in questa sede richiama Jack Torrance e Amityville per la tematica della famiglia segnata e stravolta da un evento di violenza, riesce ancora a farmi guardare le spalle a distanza di anni. Per chi ancora non l’avesse visto, consiglio super spassionato: recuperatelo.
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