Era il 24 maggio 2002 quando usciva nelle sale italiane Irréversible di Gaspar Noè, a mio avviso uno degli esperimenti cinematografici più riusciti. Ingiustamente criticato per la crudezza delle scene, è un film, a mio modesto parere, estremamente sottovalutato. Adatto ad una visione plurima, il film necessita di almeno due proiezioni per essere capito nella sua complessità ed interezza. Non adatto ai deboli di cuore, ai facilmente impressionabili o ai perbenisti ad ogni costo. Irréversible è un film che vuole e riesce a far male.

Trama

Marcus, Alex e Pierre, interpretati rispettivamente da Vincent Cassel, Monica Bellucci e Albert Dupontel sono un gruppo di amici con dinamiche particolari. Alex e Pierre, infatti, sono stati insieme in passato mentre Marcus e Alex sono attualmente una coppia. Quando Alex subirà una violentissima aggressione, Marcus e Pierre andranno alla ricerca della vendetta.

Recensione e Analisi

Voglio parlare chiaro fin da subito, io amo Noè e amo Irréversible. Quando ho iniziato a scrivere di cinema ho sognato di poterne parlare un giorno e questo giorno è finalmente arrivato. Quindi sedetevi comodi, vi sto per accompagnare in un’analisi approfondita di quello che è uno dei film presenti all’interno della mia personale classifica degli imperdibili.

La recensione conterrà spoiler, un po’ al fine di poter analizzare nel dettaglio questo splendido esperimento cinematografico, un po’ perché, data la struttura particolare del film, sarebbe impossibile non farne. Pertanto, se non l’avete già visto, vi consiglio di chiudere e tornare solo successivamente. Se invece non avete paura degli spoiler o avete già visto il film tenetevi forte, stiamo per cominciare.

Struttura, regia e uso del colore

A quasi 20 anni di distanza dalla sua uscita, Irréversible continua ad essere uno dei film più innovativi e controversi della storia del cinema sotto innumerevoli punti di vista.

Partiamo dalla struttura. Il film è montato con la tecnica della cronologia inversa e per tale motivo è stato paragonato a film come Memento di Nolan e Peppermint Candy (Bakha Satang) di Lee Chang-dong. Il film è composto da una serie di piano sequenza in cui seguiamo le vicende dei protagonisti. Ogni piano sequenza è diviso dal successivo tramite un abile utilizzo della camera che, con movimenti vorticosi di lynchana memoria, ci conduce in un tempo passato. Di movimento vorticoso in movimento vorticoso ci muoviamo indietro nel tempo, scoprendo man mano cosa è realmente successo.

Le temps détruit Tout

(Il tempo distrugge ogni cosa)

La regia in Noè è sempre un elemento fondamentale, come già ci aveva insegnato con Enter the Void. In questo caso specifico i movimenti di macchina non sono funzionali unicamente alla scansione del tempo ma anche alla scansione delle emozioni. Come ho già affermato diverse volte in articoli passati, il cinema di Noè va visto consci di ciò che è: una vera e propria esperienza sensoriale. Il regista prende lo spettatore e non si limita a raccontargli una storia, ma vuole che sperimenti tutte le sensazioni che provano i suoi protagonisti. Che sia un trip da DMT o una rabbia cieca poco importa. Noè rompe, anzi distrugge la quarta parete, prende per il collo lo spettatore e lo catapulta nella sua storia. Quello che rende ancor più sconvolgente la visione, è che, a causa della cronologia inversa, lo spettatore non conosce la natura del sentimento che sta provando, non ne conosce le cause, la prova e basta.

Regia e colore si muovono in una danza armonica. Le scene possono essere divise in monocromatiche e pluricromatiche. In particolare, la scena del Rectum, la famosissima scena dello stupro all’interno del sottopassaggio e la scena finale di Marcus e Alex possono essere inserirte all’interno della prima categoria. La monocromaticità di tali scene è funzionale all’ identificazione delle emozioni. La scena del Rectum è infatti, caratterizzata da colorazioni che vanno dal rosso intenso al nero. Questo abile uso del colore, insieme al perfetto utilizzo dei movimenti di macchina e delle musiche a bassissime frequenze, ci permettono di provare sulla nostra pelle quella rabbia cieca e violenta che attanaglia Marcus e Pierre. Nella sequenza iniziale, infatti, i movimenti di camera sono volutamente confusi, rotatori e nauseanti. Le scene sono volutamente poco chiare e sono accompagnate da una musica con frequenza a 28 Hz, in grado di provocare nello spettatore un senso fisico di nausea. In aggiunta, la struttura a piani del locale, che rimanda la mente a una discesa infernale, non fa altro che aumentare questa sensazione di disorientamento, tipico di chi è accecato dalla rabbia.

Diversa è invece la scena dello stupro. Con numerosi espedienti Noè ci porta a sperimentare la sensazione di impotenza provata dalle vittime. La scena è quasi monocromatica, con queste luci rosse che caratterizzano il sottopassaggio. Il rosso questa volta rappresenta tanto la rabbia, quanto il dolore, un dolore fisico che proviamo anche noi spettatori. La camera è ferma per tutti i nove minuti di durata della scena. Un tempo interminabile cinematograficamente parlando, come interminabili sono i minuti per una vittima di violenza. La staticità della camera è funzionale, non solo a impedirci di distogliere lo sguardo, ma anche a trasmetterci l’incapacità di movimento della vittima. Noi come Alex siamo immobilizzati e dobbiamo subire. Il senso di impotenza attraversa lo schermo e ci immobilizza. Vorremmo provare a urlare e a divincolarci ma, come Alex, non siamo in grado di farlo. Quelle urla soffocate sono un pugno allo stomaco. Noè con questa scena ci sta buttando in faccia l’ipocrisia di una società che, troppo spesso, dà la colpa alle vittime. Alex è volutamente vestita con un abito dalla sensualità dirompente, un abito di quelli che porterebbero qualche minus habens a dire: “se l’è cercata”. Noè, in modo non troppo sottile, ci sta dicendo, “Vedete? Quando dite che se l’è cercata ricordatevi che questo è uno stupro”.

Infine, la scena finale in cui Alex e Marcus sono sul letto è tinta di un bellissimo giallo. Come riprenderà nel successivo Love, il giallo è per Noè il colore dell’amore, della tranquillità, della tenerezza. La scena è di una bellezza sconvolgente, aiutata dal fatto che all’epoca Monica Bellucci e Vincent Cassel fossero marito e moglie. La complicità dei due è inequivocabile come l’amore che li lega. La camera segue i movimenti dei due attori e ci permette di entrare nella loro intimità e viverla insieme a loro. Come sempre nei film del regista, l’amore tra le persone ha come sottofondo l’amore verso il cinema che, in questo caso, è evidenziato dai numerosi poster a tema cinematografico sparsi per la stanza. Due su tutti sono funzionali alla lettura della scena: quello accanto al letto con la scritta “What’s love” e quello posizionato sopra la testata del letto con il bambino di 2001 – A space Odyssey di Kubrick. Con questi semplici espedienti Noè ci sta fornendo la sua personale interpretazione dell’amore, tema che svilupperà maggiormente nel successivo Love. Amore verso un’altra persona e amore verso il cinema si fondono dando origine a nuove creature, siano esse umane, come il bambino che aspettano Marcus e Alex, che cinematografiche.

An experiment with time

Per diversi anni si è sentito parlare di Irréversible come un mero virtuosismo da parte del regista, tralasciando un dettaglio fondamentale per comprendere l’intento della pellicola. All’interno di quest’ultima, infatti, viene citato un libro che la stessa Alex dice di star leggendo: “An experiment with time” di JW Dunne. È abbastanza complesso cercare di spiegare le teorie introdotte da Dunne con questo libro, ma proverò a farlo. JW Dunne era un ingegnere aeronautico che, nel 1927, pubblicò il libro che fece da apripista alle sue teorie sulla precognizione e sul tempo intitolato proprio: “An experiment with time”. Al fine di comprendere appieno la diffusione di tale opera, è bene ricordare che solo pochi anni prima era stata pubblicata la teoria della relatività di Albert Einstein e anche la meccanica quantistica stava muovendo i primi passi. Pertanto, il fermento intellettuale attorno a temi come tempo e comprensione del funzionamento dell’universo era notevole.

Il libro, scritto da Dunne, si può suddividere in due parti: nella prima parte l’autore introduce il concetto di sogno precognitivo e l’idea che esso permetta al sognatore di vedere esperienze future. Nella seconda parte viene introdotta la sua visione del tempo e delle molteplici dimensioni che lo comporrebbero. Dunne afferma che la mente, durante il sonno, non è attratta dal presente come lo è durante la veglia, pertanto ha la capacità di cogliere frammenti di tempo che appartengono tanto al passato quanto al presente. La mente durante il sonno, secondo Dunne, è in grado di percepire in egual misura eventi del passato e del futuro, mischiandoli tra loro. Pertanto, diventa difficile individuare l’evento futuro se non quando esso si verifica. L’autore afferma di aver compiuto un esperimento su sé stesso, al fine di dimostrare questa sua teoria, durante il quale, al termine di ogni sogno, prendeva nota dello stesso su di un taccuino. Nella seconda parte del suo libro, egli cerca di dare un’interpretazione scientifica a questo suo esperimento. In particolare, la scienza ha descritto il tempo fisico come una quarta dimensione sperimentabile, per noi esseri umani, in una sola direzione. Dunne non si accontenta di questa interpretazione e genera la sua teoria del “Serialismo”. Alla base di tale teoria vi è una domanda fondamentale:

“Il tempo è costituito di momenti come ieri, oggi e domani o è il viaggio tra questi momenti che sperimentiamo come tempo presente?”

JW Dunne

Come già anticipato, teoria della relatività e meccanica quantistica fornivano un’unica dimensione temporale (t1) su cui un osservatore viaggia in un’unica direzione. Il problema è: all’interno dello spaziotempo in che posizione si trova l’osservatore? Per risolvere tale problema, nella teoria di Dunne, viene introdotta la presenza di una seconda linea temporale (t2) in cui la nostra coscienza (che prende il ruolo di osservatore) sperimenta il viaggio che avviene lungo la linea temporale t1. In questo modo il nostro cervello fisico sperimenta solo t1 e serve un secondo livello mentale per poter sperimentare t2. A questo livello, quindi, l’osservatore sperimenterebbe la coscienza. Tuttavia, se il passaggio tra eventi successivi in t1 viene spiegato con l’esistenza di un osservatore in t2, allo stesso modo serve una terza dimensione temporale per giustificare il passaggio tra eventi successivi in t2 e così via. Ciò ha portato alla creazione di un continuo regresso nelle dimensioni temporali che ha dato il nome a questa sua teoria. Infine, Dunne afferma che quando moriamo solo i nostri sé fisici presenti nella prima linea temporale (t1) muoiono mentre i nostri sé coscienti rimangono nelle altre dimensioni temporali, diventando di fatto immortali. Alla luce di ciò, l’intera esperienza di Irréversible prende una diversa connotazione. Non solo perché Alex, al termine della pellicola, afferma di aver fatto un sogno su un tunnel rosso che si rompe, ma anche perché l’intera esperienza filmica altro non è che lo spettatore, divenuto coscienza, che sperimenta il passaggio tra diversi istanti di tempo nella linea temporale t1. Poiché i nostri protagonisti sperimentano gli eventi in una sola direzione l’intera vicenda diventa per loro “Irréversible”.

Alex mentre legge “An experiment with time” di JW Dunne

Un viaggio nella mente del regista

Come tutti i film del regista, anche Irréversible è un viaggio all’interno della sua mente. Noè come sempre si diverte a creare un dialogo con lo spettatore, ponendo domande dal sapore amaro. Se l’ateismo del regista è noto, come sempre egli si diverte a interrogarsi e a interrogarci e lo fa già all’inizio del film quando vediamo il macellaio di Carne e Seul contre tous parlare del motivo che l’ha portato in prigione: l’incesto con la figlia.

L’interlocutore dell’uomo risponde che:

“L’incesto è il tabù dei padri occidentali. Siamo tutti Mefistofele. Non ci sono misfatti ma solo fatti”.

L’interlocutore rivolgendosi al macellaio

Noè gioca con il concetto di peccato e ce ne fornisce una nuova visione. Da ateo convinto distrugge il concetto e se ne fa beffe, guardando ad esso come una sovrastruttura creata dall’uomo per controllare i propri istinti primordiali. Ma come sempre si contraddice, o meglio si interroga e ci fornisce subito dopo, un’altra visione, dall’aspetto decisamente più cattolico: la scena del Rectum. Non sarà passato inosservato, all’attento spettatore, che la struttura del Rectum è simile a quella di un inferno dantesco. Marcus e Pierre si ritrovano all’interno di un locale che si sviluppa verticalmente verso il basso. Ad ogni piano la perversione aumenta, aumentando il disorientamento dei nostri protagonisti. Come due moderni Dante e Virgilio si addentrano all’interno di questo inferno fino ad arrivare al centro di esso, un luogo talmente oscuro da permettere alla sete di vendetta di corrompere anche il più puro dei due amici portandolo a compiere il peccato per eccellenza: l’omicidio.

Anche il concetto di omosessualità e di machismo tossico vengono analizzati e sperimentati dal regista. Marcus, in particolare, è dipinto come il macho per antonomasia, l’uomo capace di essere dolce e sensibile con la sua donna solo quando sono nell’intimità della loro casa, ma incapace di rispettarla al di fuori di essa. Per tutta la durata del film assistiamo alle accuse mosse tanto dall’amico Pierre, tanto da Alex a questo aspetto di Marcus, aspetto che gli si ritorcerà completamente contro. Sarà, infatti, il Tenia a violentare Alex. Nell’ottica di un uomo affetto da machismo tossico, l’idea che la compagna venga violentata da un uomo a cui piacciono gli uomini è un affronto, tanto più quando, all’interno del Rectum Marcus rischia di essere violentato a sua volta. L’inferno di Marcus è un inferno personale. L’idea di un locale, per incontri omosessuali, strutturato come un inferno dantesco non ha la funzione di condannare l’omosessualità, ma più di rappresentare quello che per un uomo come Marcus potrebbe essere l’inferno.

Le mie considerazioni

Come già anticipato all’inizio di questo articolo, sono fan di Noè e di tutta la sua filmografia. Irréversible, in particolare, è uno dei miei preferiti del regista, forse proprio perché uno dei meno compresi. Poche volte, infatti, mi è capitato di sperimentare tante emozioni diverse in una sola pellicola. Rabbia, disgusto, tenerezza, tutto viene trattato con estrema cura, garantendoci un’esperienza tanto visiva quanto fisica. Adoro il modo sottile che ha di fornirci i mezzi per poter comprendere pienamente le sue opere e, nonostante ciò, troppo spesso vengono giudicate, a mio avviso, malamente. Il cinema deve essere prima di tutto sperimentazione, deve essere in grado di portarci anche ad un livello superiore della visione. Il modo che ha il regista di abbattere la quarta parete, non nel modo canonicamente inteso, ma trasportando lo spettatore all’interno dei suoi film è qualcosa che raramente ho visto in altri registi. Per quanto mi riguarda il film non solo è consigliatissimo ma dovrebbe essere visto da chiunque si ritenga un cinefilo.

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