Obbiettivamente, IT Capitolo 2 ha un po’ deluso i fan.
Da una parte era comprensibile e ce lo si aspettava, data la caratura dell’opera di King e dal suo particolarissimo intreccio narrativo, ricco di introspezione e disturbo, soprattutto ancora più difficile da realizzare nella parte conclusiva.
Quello che effettivamente non ci aspettavamo però, è quel lato ironico che ogni tanto calca la scena in modo netto, alle volte pure un po’ stucchevole e fuori contesto. Sia ben chiaro: quanto visto è un buon film, con un bel ritmo, storie di grandi e piccini che si intersecano bene e che sanno portare al pettine svariati nodi rimasti nascosti sin dal film precedente (che a mio parere è un pelo superiore a questo), sangue a volontà, senso di claustrofobia marcato e atmosfere dark ben combinate al resto.
Quello che lascia desiderare alla fine è forse il poco approfondimento dei personaggi adulti, che vengono introdotti giusto sprecando qualche minutino, per poi essere catapultati direttamente in quel di Derry ad affrontare il mostro. Ci sarebbe magari piaciuto sapere qualcosa in più sulla moglie di Bill, Audra, che nella miniserie televisiva del 1990 viene addirittura rapita da Pennywise quando corre a cercare il marito a Derry; avremmo voluto sapere qualcosa di più sul rapporto tra Eddie e la sua abbondante moglie, capire che tipo di rapporto fosse quello tra Beverly e il suo manesco marito, qualcosa in più su Ben.. Insomma, c’era forse da scavare un po’ di più.
Il personaggio più riuscito degli adulti è sicuramente Richie, che vede una fantastica interpretazione di Bill Hader, in grado di mischiare comicità e serietà in una maniera davvero sorprendente. Detto questo, a parte qualche cliché, il film si merita una nota positiva perché riesce a portare a galla tematiche sociali importanti, che da molto tempo non si vedevano in pellicole horror, come l’omofobia. Purtroppo questo ha portato a diversi insulti rivolti agli omosessuali durante la proiezione della pellicola nel nostro paese, atti che personalmente condanno e che considero deplorevoli.
Alle volte, tali scene possono essere fonte di istigamento a certi comportamenti che sicuramente non fanno bene, a causa del fraintendimento dello scopo dell’opera letteraria, che non esalta tali comportamenti ma li condanna, mostrandoli nella loro connotazione più esplicita.
Dopo un cameo molto speciale, è stato piacevole rivedere anche l’attore di Ben Hascom bambino (ormai più che adulto direi) della miniserie del ’90 diretta da Tommy Lee Wallace, nella scena in cui viene introdotto lo stesso personaggio, scelto belloccio in questo nuovo riadattamento proprio per far capire al pubblico che tutti possono avere il proprio riscatto sociale e personale.
Difficile realizzare pellicole del genere, soprattutto quando hai a che fare con uno dei romanzi horror più lunghi, particolareggiati, apprezzati e famosi di sempre. Muschietti alla fine riesce a salvarsi in calcio d’angolo con un prodotto che a conti fatti si lascia vedere con una certa scorrevolezza nonostante i 180 minuti di durata, ma che non arriva pienamente al cuore.
Concludiamo con una provocazione: James Wan avrebbe fatto di meglio?