Chi è James Whale?
Regista e attore inglese di cinema e teatro, James Whale è un megalite del cinema horror degli inizi. Gay dichiarato, durante il suo periodo di massimo splendore negli anni ’30, avrebbe diretto alcuni dei più grandi film horror gotici che la Universal Pictures avrebbe mai prodotto. In un’epoca in cui l’omosessualità era estremamente disapprovata e Hollywood era limitata dal Codice Hays, i film di James Whale sono visti retrospettivamente come saturi di sottotesti queer e celebrano la figura dell’“outsider” che avrebbe caratterizzato il genere horror per i decenni a venire.
Il suo Frankenstein
Quando gli fu data la possibilità di scegliere il suo primo film per la Universal, Whale non ebbe alcun dubbio: Frankenstein.
Il film del 1931 si muove in modo dinamico. In collaborazione con il direttore della fotografia Arthur Edeson, la macchina da presa scivola attraverso le scenografie gotico-espressioniste di Charles D. Hall, rompendo la quarta parete con la stessa disinvoltura di un palcoscenico. Whale ha fatto la scelta brillante di ingaggiare Kenneth Strickfaden per dotare il laboratorio del Dottor Frankenstein di attrezzature futuristiche che lampeggiano, scintillano e abbagliano. Tutto ciò crea un effetto teatrale che definirà lo “scienziato pazzo” cinematografico per decenni a venire. Anche l’interpretazione di Boris
Karloff nel ruolo del Mostro si rifà alla tradizione della commedia dell’arte, mentre il barone Frankenstein di Fredrick Kerr è il primo dei numerosi personaggi deliberatamente camp che Whale avrebbe introdotto nei suoi film horror.
Il castello maledetto
Se Frankenstein è un film infuso di elementi teatrali, il seguito di Whale per la Universal, Il castello maledetto, sembra una rappresentazione teatrale direttamente tradotta sullo schermo. Whale consolida l’archetipo, riunendo un gruppo eterogeneo di personaggi in
una notte buia e tempestosa, facendo in modo che uomini e donne comuni si
imbattessero in una famiglia di eccentrici che nascondono alcuni oscuri segreti. Whale, così facendo, creò un nuovo caposaldo teatrale e cinematografico. Lavorando ancora una volta con Edeson e Hall, lo stile visivo di Whale combina l’architettura e l’illuminazione gotica ed espressionista con tende svolazzanti, enormi camini ed effetti spettrali (per gentile concessione del guru del trucco Jack Pierce). Il regista si concentra
così tanto sulle battute e sulle caratteristiche sopra le righe dei personaggi da mascherare il fatto che non succede poi molto nel film, un gioco di prestigio abile e molto teatrale.
Al contrario, nei due ultimi capolavori dell’orrore realizzati da Whale per lo studio,
L’uomo invisibile e La moglie di Frankenstein, le trame si fanno più fitte. Filmare il romanzo di H.G. Wells del 1897 su uno scienziato che si rende invisibile sarebbe stato un compito arduo con le tecniche disponibili nel 1933, ma Whale, in collaborazione con il mago degli effetti speciali John P. Fulton, applica le sue abilità teatrali per farlo funzionare quasi senza problemi. Priva di espressioni facciali, l’interpretazione di Claude
Rains nei panni dell’uomo invisibile è roboante grazie alla sua voce e al suo linguaggio del corpo. Il suo personaggio è saturo di sfumature camp e può essere visto come un riflesso dell’esperienza di far parte della comunità LGBTQIA+ a Hollywood. Whale, inoltre, inserisce nel film l’attrice teatrale Una O’Connor nel ruolo della locandiera, la cui interpretazione è ancora più sopra le righe di quella di Rains, con le sue grida
oltraggiosamente comiche e inquietantemente selvagge.
La moglie di Frankenstein è l’apoteosi del lavoro di Whale all’interno del genere, un
arcaico meta-commento sulle storie di mostri, pur rimanendo ricco di sottotesti. La sequenza della creazione della Moglie vede Whale, il direttore della fotografia John J. Mescall e il montatore Ted J. Kent mettere insieme una serie di audaci inquadrature espressioniste e chiaroscurali, primi piani estremi di volti e oggetti che forniscono una nuova forza visiva. L’interpretazione di Elsa Lanchester è iconica, un’impresa compiuta
in appena cinque minuti sullo schermo, che ancora una volta si basa molto sul linguaggio del corpo e sulla pantomima.
Nonostante a James Whale fosse stato offerto di dirigere l’horror Dracula’s Daughter del 1936 (un altro film dichiaratamente queer), egli rifiutò con il timore di essere visto solamente come un regista di film horror. Sfortunatamente, con questa decisione, la carriera di Whale iniziò a subire una brusca frenata, che egli sospettava in parte dovuta alla sua omosessualità e alla sua salute cagionevole che lo portò al suicidio nel 1957 all’età di 67 anni.
Il lavoro di Whale all’interno del genere horror è stato relativamente breve, ma ha lasciato un’eredità che dura ancora oggi. La sua fusione di stili ed elementi teatrali con le tradizioni letterarie ha mostrato la malleabilità e la gamma dell’horror, dimostrando la sua capacità di fungere da campo per la sperimentazione visiva e la ricchezza di temi che non potevano essere facilmente affrontati in altri generi cinematografici.
I film horror di Whale sono tra i principali motivi per cui i Mostri della Universal sono ancora oggi ricordati e venerati. Oltre alla famigerata estetica dei suoi film, ha anche creato uno spazio di conforto e accettazione per coloro che si trovano alla periferia della società, gli outsider e gli emarginati.
Attraverso una sorta di alchimia personale, Whale ha raggiunto l’immortalità: come direbbe il Dottor Frankenstein, “he’s (still) alive!”.
a cura di Corrado Agnello
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