Kadaver è il nuovo film post-apocalittico rilasciato da Netflix, diretto dal giovanissimo regista norvegese Jarand Herdal. Un quesito, ripetuto di continuo, fa da sfondo alla vicenda: cosa distingue gli esseri umani dagli animali? Lo scenario, infatti, è quello di una Norvegia spoglia e fredda a causa di una guerra nucleare, in cui il problema principale è la mancanza di cibo. La fame, primordiale e primario impulso, può spingere gli esseri umani a compere atti terribili?
Trama.
In una cittadina norvegese non specificata, i pochi sopravvissuti alla guerra devono fare i conti con una terribile carestia. Tra questi troviamo Leonora, ex attrice, suo marito Jacob e la figlioletta Alice, una famiglia che cerca di mantenere alto il morale vivendo alla giornata. In città, il ricco Mathias organizza delle cene-spettacolo per la popolazione nell’albergo di sua proprietà, offrendo non solo del cibo alla gente che sta morendo di fame, ma anche l’illusione di poter staccare la spina dalla realtà attraverso la rappresentazione teatrale da lui stesso concepita. Leonora, attratta e bisognosa allo stesso tempo, decide di acquistare i biglietti per la sua famiglia. Lo spettacolo cui assistono però è tutt’altro che convenzionale: tutti gli spettatori vengono coinvolti e immersi nella rappresentazione. Gli attori iniziano a girare tra gli spettatori e il palcoscenico si estende all’intero hotel, rendendo sempre più sottile il confine tra finzione e realtà. Quando Leonora e Jacob perdono di vista Alice, inizieranno a credere che ci sia molto altro dietro la gentile offerta di Mathias.
La devastazione e la desolazione del “mondo nuovo” post-atomico si avvertono già dalle primissime scene, così come la freddezza negli atteggiamenti e nelle reazioni delle persone, impassibili anche di fronte ai cadaveri che si possono incontrare per le strade. Nel mondo di Kadaver a regnare è l’istinto di sopravvivenza, anche se, nonostante tutto, Leonora sembra aver conservato il suo animo da sognatrice e non abbandona la speranza di regalare alla figlia un’infanzia felice. Ma Kadaver è un film horror e, ovviamente, sappiamo già che il mondo delle meraviglie promesso da Mathias in realtà nasconde qualcosa di terribile.
La messa in scena di Kadaver.
Con gli attori che si muovono tutt’intorno agli spettatori, che sono chiamati a partecipare attivamente indossando maschere per distinguersi dagli interpreti e a scegliere quale personaggio seguire per i corridoi e le stanze dell’albergo, è come se Leonora e tutti gli altri si trovassero in un teatro dentro il teatro, interpreti di un ruolo – quello della madre amorevole, del padre protettivo – e spinti a ricoprirne altri per salvare la pelle. Un richiamo a Shakespeare e ai suoi giochi di travestimenti, per cui nessuno è quello che sembra. In realtà, però, non c’è un vero sviluppo dei personaggi e alcuni dettagli inseriti, alcuni aspetti del carattere, vengono abbandonati o perduti in una trama alquanto confusionaria, con linee narrative che non vanno da nessuna parte e spiegazioni che non soddisfano lo spettatore: ad esempio, tutto il fascino di Mathias, interpretato dal magnetico Thorbjøn Harr (Vikings), sfuma molto presto.
Eco del mondo di Shakespeare.
Shakespeare viene ancora tirato in ballo per quanto riguarda il personaggio di Leonora: per tutto il film non si capisce cosa le passi per la testa. Scelta che può far risultare il suo personaggio poco caratterizzato ma che risulta intelligente se si tiene conto che il giovane regista e sceneggiatore si è probabilmente ispirato a Lady Macbeth (Leonora appare infatti nei panni della “lady nera” shakespeariana in una vecchia locandina di quando era attrice): il richiamo alle mani insanguinate è continuo e, proprio come per il personaggio di Shakespeare, il ritratto psicologico di Leonora resta vago e ambiguo. A mancare non è neppure la sete di potere di Lady Macbeth che nella scena finale compare sul viso di Leonora, tramutata però nel più primordiale bisogno – più forte della brama – di soddisfare la fame.
Cosa distingue, dunque, gli esseri umani dagli animali? Tutto e niente. Il finale di matrice “marxista” (unitevi!) forse ci vuole comunicare che la differenza sta nella solidarietà, ma quello sguardo finale di Leonora, forse forse, ci sta dicendo che non c’è differenza quando a governare sulla mente è la pancia. Ricco di spunti di riflessione interessanti, dunque, Kadaver ha purtroppo il grosso difetto di essere un’opera acerba di un giovane entusiasta che ha qualcosa da dire ma che non sa ancora bene come metterlo in pratica. Film riuscito? In parte. Aspettiamo che Herdal si faccia le ossa per assistere ad un’opera più solida e coerente.