Prendendo spunto dal celebre romanzo Io sono Leggenda di Richard Matheson, George A. Romero dà vita a quello che è una delle pietre miliari dell’horror cinematografico, un film temerario per l’epoca, che unisce l’horror e il thriller con l’ironia e il sarcasmo che saranno poi marchio di tutti i successivi film del regista.
Trama
Una misteriosa radiazione provoca il panico in una cittadina della Pennsylvania: ha infatti l’effetto di far risuscitare i morti non ancora seppelliti. Un gruppo di persone rimaste isolate in una vecchia casa colonica deve affrontare l’ondata di zombie.
Un film di grande importanza storica, che segnò uno spartiacque con il precedente cinema horror. Si può dire che esistano due periodi ben distinti, uno pre-Romero e uno post-Romero. Fino al 1968 nella messa in scena si faceva riferimento allo zombi haitiano della religione voodoo. Ovvero persone che sotto l’incantesimo di uno stregone, ne diventavano schiavi, destituiti delle capacità intellettive e nervose. Il tutto avveniva in zone caraibiche, solitamente lontano dai paesi occidentali.
Infatti l’intero filone del cinema horror, prevedeva un ristretta area geografica dei luoghi da cui provenivano e dove si trovavano i mostri. Si pensi alla Transilvania per Dracula, all’Egitto da cui proveniva la Mummia o al castello in cui si svolgevano i folli esperimenti di Frankenstein. Romero è stato il primo cineasta, prendendo spunto dal celebre romanzo Io sono Leggenda di Richard Matheson, a spostare il luogo degli orrori. Con Romero diventa il luogo dove noi, persone comuni, viviamo. Un non-luogo non più associabile ad un’area geografica, ma all’intero mondo civilizzato. Cambiano anche le fattezze dell’essere, lo spauracchio non è più una creatura frutto di un esperimento o un mostro ma banalmente una persona morta che torna in vita col solo scopo di mangiarti. Se Matheson vedeva le sue creature come una specie di vampiro, Romero concepisce, per primo, gli zombi così come li conosciamo oggi.
Il regista di Pittsburgh non ha solo creato un nuovo mostro con i suoi mangiatori di carne non morti: ha anche dato vita a un genere completamente nuovo. Dallo zombi classico di Lucio Fulci a The Walking Dead, gli zombi in stile Romero fanno parte del panorama horror da cinque decenni e forse sono il mostro dominante sul campo degli ultimi 20 anni.
La serie The Walking Dead l’ha infatti recentemente portato nell’ intrattenimento mainstream, ma non sarebbe mai esistita se non fosse per il caro vecchio George e quella piccola fattoria in Pennsylvania. E non dimentichiamo cose come la serie di videogiochi (e film) di Resident Evil, insieme a innumerevoli altri giochi, fumetti, libri, film e programmi TV.
La notte dei morti viventi ha una importante componente western. Come accade in molti film del genere viene proposta la trama che, in un modo o nell’ altro, tornerà a ripetersi anche nei seguenti film da lui diretti sui non-morti: alcuni sopravvissuti si chiudono in un luogo protetto per difendersi da un pericolo esterno.
Se nel western classico il male era rappresentato dai selvaggi e dagli indiani, qui il mostro sono delle persone morte che camminano. Se nel western eravamo messi in situazioni difficili anche per il fatto di trovarci in lande desolate, lontano della civiltà delle città, nel film di Romero siamo spacciati proprio perché siamo negli Stati Uniti di periferia. Lontano da Los Angeles e dalle grandi città, lontani da New York o da Miami, siamo nel cuore dei luoghi industrializzati o agricoli sconosciuti ai turisti. Nel cuore della sperduta America proletaria.
Romero può quindi fermare il tempo e riflettere sul rapporto tra assediati e cannibali.
Si ispira liberamente da Matheson per quanto riguarda il rapporto di numero: un solo essere umano in un mondo di esseri mostruosi. Ma lo stesso scrittore si era ispirato a Dracula di Tod Browning, rovesciandone la situazione di base che prevedeva un vampiro in un mondo di umani.
Il rapporto, a una prima visione di un film con i morti viventi, può sembrare netto. Zombi e uomo, carnefice e vittima. Ma in realtà questo rapporto, nei film del regista, sembra essere connotato da un confine molto labile.
I cannibali sono scoordinati e goffi, ma letali. Sembra che tu possa sfuggirgli, ma prima o poi ti raggiungeranno. È facile contrastarne uno, ma quando sono in tanti sono quasi una sentenza di morte. I non morti in questo film rappresentano l’uomo stesso, che Romero pensa essere portato a fare cose positive soltanto in collettività. Lo zombi è forte non in quanto essere singolo, ma in quanto gruppo o collettivo. Non abbiamo più di fronte una creatura orrenda dalle fattezze bestiali, abbiamo di fronte noi stessi e spesso fa più paura la reazione e i comportamenti di quelli rinchiusi (noi), che non il semplice volersi nutrire dello zombi. L’uomo invece tende a far prevalere gli interessi o le esigenze personali contro gli interessi o le esigenze della collettività. È inoltre testimone di un’esistenza effimera, basata sul mero guadagno personale e su una ricerca sfrenata di possedere cose. Ogni individuo (quasi tutti) persegue il proprio tornaconto e cerca di realizzare la massima soddisfazione.
«E’ stato appurato che le persone morte nelle ultime ore sono tornate in vita e sono le responsabili degli omicidi ».
In altre parole il cineasta di Pittsburgh critica, come in altre sue pellicole, l’individualismo e l’edonismo americano, volto al guadagno sulla pelle altrui. Il mio successo determina il fallimento di qualcuno altro. Una società che spinge all’individualismo e all’odio. Questo a lui non andò mai giù e ci tenne a sottolinearlo in ogni suo film.
Nonostante la somiglianza nell’ aspetto, una delle differenze che più salta all’ occhio è l’aggregazione fra gli zombi, del tutto mancante fra gli uomini. Gli zombi hanno un unico scopo anche se abominevole, ma risultano uniti nel compierlo. Essi sono accomunati dalla violenza e dal desiderio nel perseguirla. Distruggono, violentano, mangiano persone vive. Sono una pseudo-società distruttrice ma non autodistruttrice.
La recitazione è eccellente, i personaggi sono credibili e le reazioni che hanno sono umane e per questo veritiere. Ancora oggi la pellicola mette addosso una grande sensazione di claustrofobia e terrore, proprio grazie alla loro credibilità.
Il tema caro al regista è quello del razzismo. Che in questa pellicola viene toccato grazie al perenne confronto tra il personaggio di Ben, lavoratore afroamericano e quello di Cooper, bianco e borghese. Due personaggi agli antipodi, sempre in contrasto tra loro su ogni possibile soluzione da attuare.
Uno vuole barricarsi nel seminterrato mentre l’altro vuole restare al piano terra. Sono questi due personaggi il cuore del film. L’afroamericano sembra essere l’eroe destinato a salvare tutti, mentre Cooper è l’esaltazione della testardaggine. Dimostra comportamenti violenti, maltrattando la moglie e provando ad approfittare di momenti di svantaggio degli altri personaggi per liberarsi di essi.
Interessante però notare come alla fine Ben faccia quanto suggerito da Cooper, scendendo nel seminterrato e aspettando i soccorsi.
« Cooper aveva ragione! »
Anche Ben mostra dei limiti. Non è in grado di ascoltare le opinioni altrui, ergendosi come uomo forte, avendo paura che esse potessero minare la sua autorità. Il Ben di Duane Jones non è solo l’eroe del film, è l’unico sopravvissuto delle sette persone intrappolate dalla peste di zombi nella fattoria … o almeno così pensi. La denuncia del razzismo dilagante sta nel finale. Dopo essere rimasto lucido e attivo per tutta la notte, Ben viene visto all’alba attraverso la finestra della fattoria da un gruppo di cacciatori e ufficiali di legge e ucciso a colpi di arma da fuoco, apparentemente scambiato per uno zombi. O è stato forse un errore? Senza dubbio il fatto che l’afroamericano sia stato ucciso da un uomo di campagna bianco è un inconfondibile simbolo di dove fosse l’America in quel momento. Romero ci mostra i pregiudizi e il razzismo di un’America malata all’interno.
Sembra che Romero stia dicendo, puoi impegnarti quanto vuoi a sopravvivere ma l’incubo non è mai finito, che si tratti di zombi o pazzoidi redneck americani che godono a uccidere altre persone. Il crudo finale ci avverte che la notte non è finita e che anzi ci attende un’apocalittica alba.
«Ok è morto. Andate a prenderlo, ce n’ è un altro da fare arrosto.»
Per quanto riguarda gli effetti splatter, questo è stato il primo film horror serio ad aumentare la posta in gioco, con i suoi zombi che rosicchiano intestini, brandelli di carne e arti recisi. Il film ha aperto le porte alla possibilità di avere più scene splatter nei film. La notte dei morti viventi brucia lo schermo in un insurrezione visiva ancora oggi capace, dopo più di cinquanta anni dalla sua produzione, di sconvolgere lo spettatore.
Il grossolano bianco e nero si rivela adatto alla creazione di un’atmosfera di terrore, paranoia e brutalità, in cui i protagonisti cadono vittime di un inesorabile burnout. Una chiave di lettura del bianco e nero potrebbe essere quella della metafora uomo bianco contro uomo nero, riscontrabile nel film. Malcom X era morto tre anni prima, Martin Luther King quello stesso anno.Non era un momento sereno, per quanto riguarda l’integrazione razziale. E forse non lo è mai stato.
«E’ stato appurato che le persone morte nelle ultime ore sono tornate in vita e sono le responsabili degli omicidi… »
Interessante notare come all’inizio il fratello di Barbara dice alla ragazza: « stanno venendo a prenderti », ironizzando come se fosse in un film horror. Dialogo meta-cinematografico di un incredibile modernità per l’epoca. Tecnica poi ripresa in film come Scream. Paragonandolo ai sui figli, questo film risulta molto più artigianale per quanto riguarda la fotografia e la messa in scena. Si vede che si tratta di un’opera prima, ma proprio questo è il suo forte. Se non ci fosse stato il bianco e nero probabilmente staremmo parlando di tutt’ altro film. Perché è la lotta tra luci e ombre che dall’alba dei tempi ha sempre interessato l’uomo. Mentre nei seguiti la critica sociale ruba il posto alla narrazione, qui Romero, non rilascia la tensione nemmeno per un secondo e lo spettatore è intrappolato in quelle quattro mura con i sopravvissuti per 90 minuti. Tutto ciò contribuisce a rendere questa un opera minimalistica ed essenziale.
Siamo dunque di fronte a un horror capace di terrorizzare (anche per la povertà di mezzi) con una sceneggiatura semplice (ma carica di significati e dai personaggi ben strutturati) che sa catturare l’attenzione grazie a un senso di claustrofobia invadente e a una tensione in crescendo. La paura degli zombi è forte anche se forse, per alcuni, passa in secondo piano rispetto alla stupidità umana. Il film, che compie 52 anni quest’anno, rimane uno dei punti di riferimento di tutti i tempi nella storia del cinema horror, e molto probabilmente il film più rivoluzionario e influente del genere di sempre. I film horror (e i film in generale) non sono mai stati gli stessi dopo il suo arrivo sulla scena. A distanza di cinque decenni, la sua influenza si fa ancora sentire e il film stesso non ha perso nulla del suo potere inquietante e terrificante
È il film che lancia Romero nel genere e che, considerato nel suo complesso assieme agli altri film della saga zombi, lo consacra come Master of Horror.
Ipotesi future
Il film ha dato inizio a una trilogia leggendaria e a una saga, dei morti viventi, andata avanti fino alla morte del regista, che aveva come progetto ultimo quello di fare uno zombie movie stile Mad Max, dal titolo Road of the dead.
La notte dei morti viventi è il primo di sei film diretti da George Romero sugli zombie. A questo seguirono Zombi (1978), Il giorno degli zombi (1985), La terra dei morti viventi (2005), Diary of the Dead – Le cronache dei morti viventi (2007) e Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti (2009).
Sono stati realizzati anche due remake: il primo nel 1990 da Tom Savini (La notte dei morti viventi) ed il secondo nel 2006 da Jeff Broadstreet (La notte dei morti viventi 3D). Con un finale cambiato è il remake di Tom Savini su sceneggiatura dello stesso Romero.
La speranza è che i registi futuri continuino con onore e passione a trattare il tema rispettando quello che è stato il padre degli zombie: George A. Romero.