Nei primi anni novanta il Pupi Avati che, stando con un piede in Italia ed uno in America, narrava di leggendari musicisti (Bix) ed oscurantismo storico (Magnificat), si concedeva di tanto in tanto una scrittura di genere che poi diventava film per mano di altri registi. 

Proprio in quegli anni escono infatti alcune pellicole gialle che pur non contando sulla regia del maestro emiliano ne racchiudono a loro modo lo sguardo inquieto e la capacità di esplorare l’oscurità dentro di noi.

Una di queste è la La stanza accanto.

TRAMA

Un giovane avvocato di Chicago è chiamato a seguire il caso di una controversia legale che lo farà tornare nel sud del paese, proprio nella piccola cittadina dalla quale, molti anni prima era stato portato via dalla famiglia. Una volta tornato nei luoghi d’infanzia molte cose torneranno alla memoria del protagonista che cercherà di far luce su un oscuro e delittuoso fatto del suo passato che sembrava avere rimosso. La verità sarà inaspettata e terribile.

IL REGISTA

Fabrizio Laurenti, chiamato alla regia di questo teso thriller di ambientazione rurale, si dimostra abile ed efficace nel dosare i momenti di tensione presenti, mantenendo comunque nel racconto un tono ambiguo, sempre sospeso tra il ricordo e la paura di ciò che la mente può aver cancellato. La stanza accanto è un film di silenzi, di ombre, di caldo soffocante che traspare dallo schermo donando allo spettatore un crescente senso di oppressione, una discesa all’inferno senza via di scampo.

E il sud degli Stati Uniti, proprio come in altre e ben più note pellicole (Angel Heart ad esempio) sembra il luogo ideale per rappresentare una sorta di limbo terreno, una zona di confine più vicina all’inferno che al paradiso, che funge da scivolo verso il baratro di protagonisti spesso ignari e già segnati.

Laurenti quindi si affida ad un buon mestiere, provenendo da due horror (prodotti dal mitico Joe D’Amato) il regista sa che ci sono diversi modi di turbare e sceglie di farlo con i chiaroscuri, senza voler spaventare a tutti i costi.

Fabrizio Laurenti

AVATI INSIDE

Senza togliere meriti quindi al bravo Laurenti (che lavorerà l’anno dopo con Avati alla serie cult Voci Notturne) è impossibile non vedere la mano del buon Pupi nell’opera finita.

Lavorando a soggetto e sceneggiatura, Avati imprime alla vicenda tematiche tipiche del suo discorso cinematografico, che sono facilmente riconoscibili:

Ruralità: Il protagonista si muove da una città ad un luogo di provincia o remoto, spesso isolato, incontro al suo destino (La casa dalle finestre che ridono,  Zeder, Dove comincia la notte, Il nascondiglio, Il signor Diavolo).

Il passato: La ricerca della verità fa emergere traumi o colpe dimenticate, spesso involontariamente, a volte per l’intervento di terzi (Dove comincia la notte, L’amico d’infanzia)

Il divario sociale: Spesso i crimini del passato sono stati occultati poiché commessi da persone agiate o comunque vengono ignorati per comodo dalla borghesia locale, ai danni della gente comune (Dove comincia la notte, Il nascondiglio, Il signor Diavolo).

Queste ed altre similitudini tematiche fanno in modo che La stanza accanto (al pari del già citato Dove comincia la notte) possa considerarsi a tutti gli effetti un film avatiano, assolutamente godibile da chi apprezza il regista bolognese e il suo mondo.

Pupi Avati

I RUGGENTI ANNI ’90

Consigliare il recupero di un film come La stanza accanto è un’occasione per una riflessione su quanto fosse ancora vivo il cinema italiano negli anni ’90. In quegli anni venivano prodotte pellicole corsare e coraggiose, basti pensare a film come Dellamorte Dellamore di Soavi ma anche al sottovalutato e imperfetto Nero di Giancarlo Soldi.

Non disperiamo però, ancora oggi gli avventurieri nel nostro cinema esistono (i Manetti ma non solo) e tra mille difficoltà riescono anche a produrre piccole perle

Ripartiamo da questo, dal coraggio degli anni nei quali facevamo gli italiani girando in America, regalandoci piccole chicche come La stanza accanto.

Classificazione: 3 su 5.

Leggi anche -> Reazione a catena: come Bava ha “creato” lo slasher