Un famoso proverbio dice che quando si abbatte un albero, il suo gemito va da un capo all’altro del mondo, ma nessuno sente la sua voce. Qualsiasi arbusto presente sulla Terra potrebbe confermare tali parole, ma non quello rappresentato nel film L’albero del Male (William Friedkin, 1990). Quest’ultimo è infatti un albero assai particolare: può muoversi, emettere versi e persino uccidere. Per farlo, però, ha bisogno di sacrifici. Si tratta di offerte necessarie a prolungare la sua esistenza già secolare. E come suggeriscono i rilievi dalle facce umane che sporgono sulla corteccia, soltanto il sangue dei bambini riesce a dissetarlo.
Una pellicola ricca di simboli
Sono tanti gli elementi simbolici che rendono L’albero del Male una pellicola ricca di simboli. Camilla Grandier (Jenny Seagrove) è una donna ammaliante, archetipo della strega incantatrice, esemplificazione di quanto l’apparenza possa trarre in inganno. Intorno a lei vige un alone di tenebra, reso impercettibile per chi le sta attorno grazie alla brillantezza del suo fascino. È spesso affiancata o legata ad animali che rivestono ruoli di primo piano nelle tradizioni pagane: lupi, rospi e civette.
La valenza dell’albero, invece, si potrebbe considerare ‘reinventata‘. Nelle prime immagini della pellicola si fa riferimento ad un culto celtico in cui si veneravano gli arbusti. Ognuno di essi aveva uno spirito protettore, che poteva essere buono o malvagio. Ma la verità è che gli alberi, per la popolazione celtica, rivestivano ruoli perlopiù positivi: rifugio, fonte di cibo ed evoluzione spirituale (metafora dei livelli da superare per innalzare la coscienza, dalle radici alla chioma). Tagliare un arbusto, per i Celti, equivaleva ad un crimine.
Tra L’Albero del Male e Rosemary’s Baby
Phil Starling (Dwier Brown) e Kate Starling (Carey Lowell) sono una giovane coppia che non può desiderare di meglio dalla vita. Lui ha appena ottenuto un impiego ben pagato nel Sud California e si trasferisce con lei nella nuova casa offerta dalla ditta per cui lavora. Ma Kate scopre di essere incinta. Per i due inizierà così il viaggio nella vita genitoriale, un’esperienza fatta di eventi inimmaginabili che assumerà presto i connotati di un incubo. A farli cadere nel baratro dell’insicurezza ci penserà una bambinaia della Guardian Angel, che spunterà fuori proprio quando Phil e la sua compagna ne avranno più bisogno.
Vedere due giovani fidanzati alle prese con un bambino, non può che far pensare a Rosemary’s Baby. Anche il capolavoro di Roman Polansky tratta il tema della maternità, ma lo fa in modo più sottile e sviscera con dovizia il terrore che prova un futuro genitore all’idea che si ritroverà ad accudire un piccolo essere umano. Se in Rosemary’s Baby il senso di inadeguatezza è incarnato da Rosemary, nell’Albero del Male tocca a Phil Starling. Ciò accade probabilmente perché è su di lui che la bambinaia esercita la malia maggiore. Eppure, lo spettatore potrebbe restare spiazzato dall’indifferenza con cui viene trattata Kate Starling.
Il regista: William Friedkin
William Friedkin è conosciuto soprattutto per aver diretto quello che è ormai un cult del genere horror, un film che ha terrorizzato intere generazioni: L’esorcista (1973). Quando si dà vita ad un film come il suddetto, che segna per sempre il panorama di un genere cinematografico, non è facile – anzi, è impossibile – continuare a produrre opere di un tale calibro. Friedkin, inoltre, non è propriamente un regista horror. Con L’Albero del Male (ispirato al romanzo The Nanny di Dan Greenburg) aveva intenzione di cimentarsi per la seconda volta nel cinema dell’orrore dopo un’assenza di diciassette anni. Il risultato fu un fiasco dal punto di vista del pubblico e della critica.
Il lungometraggio, per quanto apprezzabile, è privo della profondità con cui il regista ha caratterizzato buona parte delle sue opere. Lo stesso Friedkin non fu soddisfatto del risultato finale dell’Albero del Male. Quando il film debuttò nelle tv via cavo (con numerosi tagli, specialmente alle scene splatter), desiderò persino che il suo nome nei credits fosse sostituito da quello di Alan Smithee.