Il 23 settembre del 1973 a Pangrati, un quartiere di Atene, Yorgos Lanthimos. Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico che con il suo ultimo film, Povere Creature, si è appena aggiudicato il Leone d’Oro all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Non di certo il suo primo riconoscimento, anche se forse il più importante, Lanthimos è uno degli autori più discussi, controversi e divisivi del panorama internazionale. Uno di quelli che o si ama o si odia insomma. Ma per conoscerlo serve fare un viaggio attraverso le sue opere, addentrandosi nei micro cosmi molto precisi ma quasi surreali che crea in ogni sua storia. E sono storie che possono piacervi, oppure non piacervi, ma che certamente, in bene o in male, non vi lasceranno indifferenti.
Kinetta (2005)
La sua opera prima in solitaria si svolge in una località di villeggiatura della Grecia, da cui prende appunto il nome. Un poliziotto in borghese indaga su una serie di omicidi avvenuti nella zona in maniera piuttosto atipica. Ingaggia un operatore video ed una giovane cameriera per ricostruire i vari crimini, rimettendo in scena le sequenze di violenza realmente avvenuta con dovizia di particolari ma con metodo non molto scientifico. Una pellicola che mostra già una certa maturità e che introduce allo spettatore alcune delle ossessioni dell’autore che spesso si ritroveranno in altre opere. In Kinetta Lanthimos sottolinea una certa morbosità, a tratti opprimente, e la mancanza totale di empatia dei tre protagonisti, che si distaccano totalmente dal vissuto delle vittime pur cercando di ricostruire i loro ultimi istanti.
Dogtooth (2009)
E’ la pellicola con la quale raggiunge il successo internazionale e che ulteriormente divide il pubblico su Lanthimos, tra chi esalta la sua genialità narrativa e chi invece lo critica ferocemente per il modo in cui dipinge il genere umano. Dogtooth ci porta all’interno di una famiglia che vive in una villetta con un bel giardino in una situazione apparentemente rassicurante dove la casa è designata a solo posto sicuro e l’unica persona ad avere contatti con il mondo esterno è il Padre. Niente telefono, niente televisione o radio, niente scuola. Il nucleo familiare diventa un microcosmo distopico dove la cultura e le regole sociali sono imposte e inventate dai genitori. Il regime totalitario imposto proibisce categoricamente ogni rapporto con l’esterno a tal punto che ogni possibile pericolo viene immunizzato tramite la manipolazione linguistica. Così le parole sconvenienti assumono significati innocui che formano individui cresciuti totalmente al di fuori della realtà. A rompere l’equilibrio saranno dei fugaci incontri con un’unica persona che proviene dall’esterno.
Uno dei film che più ho amato di Lanthimos è una metafora sociopolitica suggestiva e allegorica sulla rigida educazione delle dittature. Dogtooth è difficile ma intenso e disturbante e ti appiccica addosso un senso di disagio che ti accompagna per tutta la visione sino al finale, incompiuto e perfetto.
Alps (2011)
Ci troviamo ad affrontare un altro soggetto curioso che vinse l’Osella a Venezia per la miglior sceneggiatura. In questo terzo lungometraggio diretto nella sua Patria Lanthimos mantiene lo stile asettico e raggelante toccando temi alquanto delicati.
La storia raccontata è quella di una piccola società formata da quattro persone chiamata Le Alpi, la quale offre un servizio molto particolare alle famiglie in lutto. Si occupa di sostituire, ovviamente dietro compenso, persone appena decedute. Per “gli attori” si tratta di operare in un clima di annullamento totale delle loro personalità. Rimpiazzano le persone scomparse nelle loro attività quotidiane, ne ripetono gesti, continuano i legami con chi li circonda, tutto al fine di non far pesare la loro assenza a chi resta. Tuttavia questo comporta un prezzo molto alto da pagare. Un esperimento per preservare dai dolori ma che non permette l’elaborazione del lutto nè tantomento l’affermazione individuale di chi è costretto ad interpretare qualcun altro.
The Lobster (2015)
Primo film in lingua inglese per Lanthimos, una produzione internazionale con protagonista Colin Farrell. Un’ altra pellicola profondamente distopica e dalle tinte orwelliane con cui vince il premio della giuria al Festival di Cannes. In questo futuro vicino e non precisato è vietato essere single. Chi non fa parte di una coppia viene letteralmente deportato in un luogo dal clima asettico con 45 giorni di tempo per trovare un partner. Chi resterà single verrà trasformato in un animale a scelta che verrà poi liberato nella foresta. Un po’ critica alla società moderna ed un pò monito e consiglio. Al di là dei limiti imposti sull’ omologazione sociale l’amore vero non conosce tempi, bisogni o regole. Restare umani amando per forza significa davvero restare umani?
Il Sacrificio del Cervo Sacro (2017)
Lanthimos torna a lavorare con Colin Farrell a cui si aggiunge una bravissima Nicole Kidman e torna a mettere al centro la famiglia, come già aveva fatto in Dogtooh. Quella famiglia che dipinge che non è più il luogo di serenità e amore, ma un nucleo chiuso e tossico, dove si viene rinchiusi e dove si è costretti a scegliere tra chi salvare e chi sacrificare. Con occhio clinico e freddo osserviamo le ossessioni e le fobie dei personaggi, le loro pulsioni nascoste dalla facciata di apparente perfezione. Con Il sacrificio del cervo sacro Lanthimos attinge a mani basse dalla mitologia della sua terra, richiamando la tragedia greca di Euripide con “Ifigenia in Aulide” e tracciando una parabola sul capro espiatorio. Nella storia Farrell è un noto chirurgo che dovrà sacrificare un membro della sua famiglia per poter salvare gli altri. Di nuovo vince il premio per la miglior sceneggiatura, questa volta a Cannes, ed ulteriormente divide il pubblico tra detrattori e fan. Personalmente è un film che ho amato molto, quindi decisamente mi colloco nella seconda fazione.
La Favorita (2018)
Film che vince a Venezia il Gran Premio della Giuria (e la Coppa Volpi come miglior attrice per Olivia Colman) è un dramma storico ambientato nei primi anni del 1700, durante la guerra tra Francia e Inghilterra. Alla corte della regina Anna Stuart racconta della sfida tra due donne per diventare la favorita della Regina. Un film sarcastico basato su fatti reali che ricostruisce un triangolo di amore, intrighi, erotismo e crudeltà. Lanthimos mette in scena quella che era la condizione delle donne aristocratiche dell’epoca con cura ma senza tralasciare una sottile dose di ironia con il quale rende La Favorita un film moderno sulla manipolazione, sul potere e sull’amore. Tre interpreti straordinarie per una storia da non perdere.
Ed arriviamo al suo ultimo film, protagonista Emma Stone, citato in apertura e con il quale sembra aver messo d’accordo più pubblico del solito. Uscirà nei cinema a breve, pertanto non lo trovate in questo elenco ma di scelta, per festeggiare il compleanno di questo geniale e discusso regista ne avete abbastanza. Quale miglior modo di celebrarlo, che non godendo del suo cinema?
Lanthimos è certamente particolare e chiacchierato ma ha un grande pregio che non gli si può negare. Quello di riuscire a scuotere e toccare nervi scoperti o nascosti, scavare e ricavarsi un posticino nei pensieri dove restare per qualche giorno dopo la visione. Portandoselo dietro per un po’. E questa è la magia che solo grandi registi e grandi film sanno e possono fare.
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