Uscito lo scorso 29 aprile sulla piattaforma Netflix, L’apparenza delle cose è l’ultima opera della coppia di coniugi, registi e sceneggiatori, Shari Springer Berman e Robert Pulcini.
Trama
Una coppia di coniugi newyorkesi, interpretati da Amanda Seyfried e James Norton, decide di trasferirsi da Manhattan in una vecchia casa dell’‘800 nel piccolo e sperduto paesino di Chosen. Sembra il classico film dell’orrore a base di case infestate, ma come suggerisce il titolo niente è come sembra.
Recensione
L’apparenza delle cose, il cui titolo originario è Things heard and seen (Cose sentite e viste) è un interessante esempio di come il filone horror stia cercando di andare oltre il mero tentativo di spaventare lo spettatore, cercando di introdurre l’inquietudine attraverso l’orrore tanto della quotidianità quanto della cultura. Non negherò il mio personale disappunto sullo sviluppo della pellicola che, tuttavia, ho deciso di esplicare soltanto al termine di questo articolo. Cercherò quindi, anzitutto, di illustrare tutti gli interessanti spunti di riflessione del film.
Le teorie di Emanuel Swedenborg
Il film inizia con una frase:
“This I can declare… things that are in heaven are more real than things that are in the world”.
Emanuel Swedenborg
“Io questo posso dichiarare… Le cose che sono in cielo sono più reali di quelle che sono nel mondo”. Questa frase, insieme ai continui riferimenti al filosofo e teologo Emanuel Swedenborg, ci impediscono di proseguire nell’analisi del film, prima di aver approfondito l’argomento. Pertanto, chi era Emanuel Swedenborg e in che cosa credeva?
Swedenborg nasce a Stoccolma il 29 gennaio 1688, da un rinomato quanto controverso vescovo di nome Jesper Swedberg (vero cognome di Swedenborg). Pertanto, è facile immaginare che la sua vita sia stata accompagnata, fin da tenera età, dalle idee del cattolicesimo e della dottrina cattolica. Tuttavia, dedicò la prima parte della sua vita alla scienza, distinguendosi come brillante inventore. È solo nella seconda parte della sua esistenza che decise di dedicarsi interamente alla filosofia, arrivando alla teologia e al misticismo. Swedenborg, infatti, è ritenuto il padre dello spiritismo e diede vita a veri e propri movimenti che si ispiravano alle sue idee. Prima di proseguire nell’analisi delle sue teorie, è bene sottolineare che le sue idee non furono solo il frutto di una mente fantasiosa, ma vennero indagate anche da uno dei maggiori esponenti della filosofia e del pensiero critico: Immanuel Kant. La filosofia non si è mai dedicata all’analisi del paranormale, ritenuto irrazionale e privo di fondamenta empiriche capaci di renderlo frutto di discussione razionale e costruita. È pertanto di vitale importanza, al fine di comprendere l’entità della diffusione e dell’influenza del pensiero di Swedenborg, sapere che le sue teorie sono state oggetto di analisi da parte dello stesso Kant, all’interno di una sua opera minore: I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica. In quest’opera Kant esamina gli scritti dell’occultista svedese attraverso un punto di vista razionale, andando a discernere le questioni invece che liquidarle in modo approssimativo.
Ma in cosa consiste la dottrina di Swedenborg? La sua esperienza con il soprannaturale e il mondo degli spiriti inizia, secondo i suoi scritti, nell’aprile del 1745, quando Dio gli sarebbe apparso e l’avrebbe introdotto all’aldilà, indicandolo come rivelatore del “senso interno” della Bibbia. Alla base del suo intero percorso spirituale e filosofico vi è la “dottrina delle corrispondenze” la quale afferma che ogni cosa del mondo materiale ha il suo corrispettivo nel mondo spirituale, a partire dalla nostra natura umana che è l’espressione naturale di Dio. Da ciò deriva che il modo swedenborghiano di vivere la fede è di viverla in funzione di questa dottrina, prendendo atto che ogni azione compiuta su questa terra ha una funzione nella vita dell’aldilà e determinerà la nostra ascesa a Paradiso o discesa all’Inferno. Per Swedenborg, infatti, al momento della morte, l’anima dell’uomo trapassa nel mondo degli spiriti in cui resterà per un periodo non superiore a trent’anni. In questo luogo di transizione l’anima conserva caratteristiche fisiche, psicologiche e occupazionali che possedeva nella vita terrena, assieme alle inclinazioni verso il bene o verso il male. Pertanto, nel credo di Swedenborg non esistono spiriti buoni o spiriti cattivi, ma semplicemente spiriti, che altro non sono che il corrispettivo delle persone che furono nel mondo materiale. Il periodo di transizione nel mondo degli spiriti ha il fine, non solo di indicare il luogo finale di destinazione dell’anima, ma anche la sua trasformazione in angelo o demone. Angeli e demoni sono esseri che in origine erano umani ma che, nel mondo degli spiriti, hanno manifestato maggiore inclinazione verso il bene o verso il male. L’inferno, infine, non è una condizione definitiva e i dannati possono, se lo vogliono, essere ancora istruiti nella verità e salvati. Nella realtà dei fatti, pertanto, non esistono angeli e demoni ma solo spiriti con inclinazione al bene o al male. Mettendoci in contatto con essi attraiamo a noi energia buona o energia cattiva che può, talvolta, ampliare le nostre inclinazioni al bene o al male.
Le opere di George Inness
“Il vero uso dell’arte è coltivare la natura spirituale dell’artista”.
George Inness
All’interno della pellicola vengono introdotte le opere di George Inness, famoso paesaggista americano. Inness è un artista estremamente rinomato, soprattutto oltreoceano, per il suo stile a metà tra il realismo e l’impressionismo. Le sue opere furono fortemente influenzate dalle teorie di Swedenborg, tant’è che nei suoi dipinti cercò di immortalare la totalità della realtà, nel suo aspetto sia materiale che spirituale, cercando di collegare il visibile con l’invisibile. Inness si avvicinò, fin dall’inizio della sua carriera, alle teorie di Swedenborg, probabilmente introdotto dal pittore William Page. È tuttavia, la seconda parte della sua carriera che viene richiamata all’interno del film. Infatti, Inness si trasferì da New York City a Medfield, nel Massachussetts, nel 1860, dove trasformò un fienile in uno studio, proprio come farà la Catherine del film. Catherine, come Inness, è la vera artista della famiglia e unica avente una spiccata spiritualità. Arte e spiritualità diventano ne L’apparenza delle cose, sintomo di un’indole più aperta e quindi capace di cogliere la totalità del reale, nella sua accezione swedenborghiana. George invece, scettico e pragmatico, non riesce ad essere un vero artista proprio perché incapace di aprirsi al mondo della spiritualità e quindi dell’arte stessa.
Disturbi alimentari e l’incubo del femminicidio
Un altro aspetto molto interessante, all’interno della pellicola, è come vengano trattati due temi estremamente attuali e spesso rappresentati in modo stereotipato: disturbi alimentari e femminicidio. Catherine è una ragazza brillante ma perseguitata dall’ombra dell’anoressia/bulimia. Il rapporto controverso che ha con il cibo ci viene introdotto fin dalle prime scene e, insieme ad esso, anche la preoccupazione che di ciò hanno le persone accanto a lei. La bulimia, ne L’apparenza delle cose, viene trattata per quello che è: l’elefante nella stanza. Tutti, attorno a Catherine, si accorgono di quanto sia magra e cercano di invitarla a mangiare in modo regolare, ma con scarsi risultati. È difficile affrontare il tema dei disturbi alimentari, soprattutto quando essi vengono dissimulati in modo così efficace. Ed è in questo, secondo me, che la pellicola ne esce vincitrice. I disturbi alimentari di Catherine non solo vengono rappresentati nella tipica capacità di elusione delle persone che ne sono affette, ma anche con la freddezza di chi sa che non sono mai causa, ma sempre effetto, di un altro genere di malessere. È la stessa Catherine a urlarci addosso la verità: “[rivolta al marito e ai genitori non presenti in quel momento] non ne posso più, sono stufa che pensiate che la colpa di tutti i problemi della mia vita di merda sia il fatto che io non mangi”. Cath è consapevole della sua situazione, sa perfettamente che il suo rapporto con il cibo è solo l’effetto di un malessere interiore più profondo che non riesce a gestire. È importante, in una società in cui i disturbi alimentari sono diventati una piaga sociale, sottolineare che non basta correggere il comportamento alimentare per risolvere un malessere più profondo e che essi dovrebbero essere visti come campanelli di allarme per indagare più a fondo.
Un altro importantissimo tema è quello del femminicidio e delle violenze domestiche che, ancora una volta, viene trattato in modo adeguato. Ci hanno abituati che chi commette violenza domestica non è una persona socievole e di bell’aspetto. Tuttavia, non ci hanno abituati al fatto che la violenza domestica generalmente non è frutto di un comportamento evidentemente violento fin dall’inizio, ma approdo di un percorso lento e graduale. Il George delle prime inquadrature è un uomo assolutamente normale in una coppia apparentemente sana. Sì, George è un fedifrago, ma ciò non ci porta ad associarlo a un violento. Man mano che la pellicola avanza, tuttavia, i suoi atteggiamenti si fanno sempre più oscuri e la sua persona viene inquadrata per quella che è. Così, come lo spettatore scopre pian piano la vera natura di George, anche Cath la scopre con il procedere del matrimonio. Quel desiderio di rivalsa sociale che ha il marito, viene inizialmente giustificato anche dalla stessa Catherine, che capisce il desiderio di George di occuparsi della sua famiglia autonomamente, non pensando che l’isolamento è solo il primo passo per poter avere il completo controllo su di lei. Ad una visione a posteriori, George ha un atteggiamento egoista e narcisista fin da subito ma, purtroppo, come Cath, anche noi ce ne accorgiamo quando la tragedia si sta già consumando.
Lo spiritismo e l’influenza sugli abitanti della casa
A questo punto è estremamente facile collegare le teorie sullo spiritismo di Swedenborg alle vicende di Catherine e George. I due coniugi abitano una casa infestata la quale non fa altro che alimentare le loro inclinazioni al bene o al male. Gli spiriti, ne L’apparenza delle cose, smettono di essere espedienti del male e diventano a loro volta semplici inquilini di una casa affollata in cui vi sono due fazioni distinte e contrapposte: il bene e il male. Se, da una parte, gli spiriti delle vecchie inquiline cercano di aiutare Catherine sia nel rapporto con il marito che nel suo rapporto con il cibo, così gli ex inquilini alimentano la natura malvagia di George. Gli spiriti perdono così la loro connotazione malvagia, tendenzialmente aprioristica nel mondo dell’horror, diventando semplicemente attori di una vita in cui mondo reale e mondo degli spiriti non sono perfettamente distinti. Infine, il concetto della violenza domestica come crimine intergenerazionale è una denuncia aperta ad una piaga sociale che viene perpetrata da secoli e che deve essere denunciata a gran voce. Il film genera infatti un apparente loop temporale di eventi che si ripetono di generazione in generazione, suggerendoci, tuttavia, che detto loop non è in realtà dettato da un ricorso storico ma, piuttosto, frutto di quella piaga, comune a tutte le epoche, che deve ancora essere debellata.
Le mie considerazioni
[Le idee espresse in questo paragrafo sono strettamente personali e se ne consiglia la lettura post visione del film]
L’apparenza delle cose è un film godibile e interessante sotto diversi punti di vista che, tuttavia, perde un po’ di credibilità. I temi trattati sono estremamente stimolanti e avrebbero potuto dare origine ad una pellicola di un grande spessore. Purtroppo, vengono affrontati, seppur in modo non stereotipato, piuttosto superficialmente, generando un film, a mio avviso, appena sufficiente. Ciò non toglie che la pellicola meriti almeno una visione, anche solo per lo stimolo che può fornire allo spettatore su teorie poco diffuse nel nostro paese, dando una chiave di lettura dello spiritismo più strutturata e formale.