Casey Affleck, fratello minore di Ben, è sicuramente più famoso come attore che come regista, avendo nel 2016 ricevuto l’oscar per miglior attore nel bel film Manchester by the sea.
Oltre a Light of my Life, aveva già esordito dietro la cinepresa nel 2010 con Io sono qui!, il film documentaristico con Joaquin Phoenix che ci voleva convincere di abbandonare la recitazione per dedicarsi alla carriera di cantante hip-hop: è diventata famosa soprattutto l’intervista che sono riusciti a fare da David Letterman, il quale era convinto fosse tutto vero.
Casey fu lanciato come attore da Gus Van Sant con il suo film Da Morire (1995) dove recitava proprio accanto a Joaquin Phoenix, e grazie a lui conobbe la sorella minore Summer, con cui è stato sposato ed ha avuto due figli. Superato il 2016, dopo l’oscar e il divorzio con Summer Phoenix, si dedica a questo secondo lungometraggio da lui scritto, le riprese di Light of my life cominciarono a febbraio 2017 in Canada.
Il film è stato realizzato senza un budget elevato o attori famosi, tutto è stato ridotto all’osso ed è anche questo a dargli quel tono un po’ autoriale. Mi ha ricordato la spinta che ebbe Vincent Gallo a realizzare Buffalo ’66, dove era sia sceneggiatore, regista e protagonista. Così facendo riesce a curare ogni dettaglio del suo film, e infatti non è un film con la pretesa di piacere a tutti.
Qui abbiamo uno scenario post-apocalittico dove un virus ha dimezzato la popolazione facendo morire quasi tutte le donne del pianeta. Il protagonista deve proteggere sua figlia di 11 anni (l’espressiva Anna Pniowsky) e sceglie di farla apparire come un maschio per evitare di esporla ai pericoli di questa nuova realtà. Spostandosi da un rifugio ad un altro dovranno cercare di sopravvivere come possono, mentre vediamo rafforzarsi questo bellissimo rapporto padre-figlia, senza mai scadere in sentimentalismi banali.
Non aspettatevi un film horror, ha molto del survival-post apocalittico ma è fondamentalmente un film drammatico.
Questo film merita tanto anche perchè finalmente rivediamo quel modo di fare cinema che si sta perdendo, dando importanza prima ai personaggi e poi a tutto il resto.
Non un padre qualunque con una bambina, ma persone vere, interessanti e credibili, non hanno bisogno di chissà quale avvenimento per dare vita al film, io personalmente sarei restato anche un’altra ora ad osservarli.
Light of my life si conclude splendidamente ed è bello poi confrontare l’ultima scena con la prima: io l’ho visto in lingua originale e spero abbiano reso bene un dialogo che è un po’ il centro della trama. Alcuni spettatori si sono lamentati delle inquadrature che durano troppo, ma è questo questo a rendere il film così intenso. Casey usa pochissime inquadrature (Gus Van Sant insegna!) per dare più spessore alla recitazione e alla genuinità del loro rapporto, senza andare troppo a spezzare quei momenti. Non dovete aspettarvi una sceneggiatura con scene avvincenti, perchè non era questo l’intento dell’autore, e in due ore non usa chissà quale escamotage per coinvolgere.
Cinema come ci hanno insegnato i grandi maestri, personaggi reali (insoliti, interessanti, con diverse sfumature), luci e colori abbinati da chi ha un vero talento artistico, senza usare soltanto colori netti. La scenografia e l’atmosfera a volte possono ricordare il survival-game The Last of us, ma ovviamente qui non si tratta di un horror. Pensando a quanto oggi gli spettatori siano abituati male, mi viene in mente un commento di una persona che mi diceva di essersi commosso per Avengers: Endgame.
Io capisco che quel tipo di film possa anche piacere, ma commuoversi per cosa, per Iron man? In un mondo così distaccato e irreale abbiamo bisogno di più film come quello di Affleck e non mi meraviglio che sia stato già snobbato negli Stati Uniti con un’uscita in pochissime sale ad Agosto.
Qui esce il 21 novembre distribuito da Notorious Pictures, vedete di non perderlo!