Si tratta forse di uno dei più iconici e distintivi film del grande regista polacco e arriva dopo il grande successo hollywoodiano di Chinatown, in un periodo di attesa, nella speranza di poter iniziare un progetto (Pirati) che vedrà la luce solo dieci anni dopo.
Tratto da un romanzo di Roland Topor e non molto considerato al momento dell’uscita nelle sale, il film di Polanski evidenzia da subito di avere le carte in regola per poter diventare un piccolo cult, e ciò in definitiva succede nel corso degli anni.
Impossibile negare alla pellicola di essere una sorta di sunto di ciò che ha reso riconoscibile il cinema polanskiano, dalla tematica centrale alla costruzione dei personaggi sempre in bilico tra il dramma e la farsa.
LA TRAMA
Il giovane Trelkowski, impiegato modesto e introverso, cercando casa a Parigi trova la disponibilità di un elegante appartamento, abitato precedente da una donna che si è gettata dalla finestra. Con un po’ di fortuna il giovane riesce a subentrare nel possesso della casa ma da subito le cose intorno a lui sembrano farsi strane. L’assillante e ingombrante presenza dei vicini e alcune coincidenze sembrano infatti farlo entrare in connessione con l’ex inquilina suicida rischiando di trascinarlo in una spirale di follia.
CASA DOLCE CASA?
Con L’inquilino del terzo piano Polanski conclude la cosiddetta trilogia dell’appartamento, iniziata con Repulsion e proseguita con lo stratosferico Rosemary’s baby.
Anche quì la casa, contrariamente a quell’idea di rifugio che dovrebbe trasmettere, si rivela una sorta di trappola che, anche grazie alle inquadrature audaci del regista, finisce per intrappolare chi ci vive in una sorta di labirinto domestico. Come i muri mobili di Repulsion e le porte nascoste di Rosemary’s baby anche l’appartamento de L’inquilino del terzo piano nasconde segreti e indizi, a volte utili, a volte depistanti.
IL GRANDE INGANNO
Attenzione però, Polanski è furbo a mescolare le carte e a prendersi gioco dello spettatore facendogli vivere lo stesso senso di disorientamento del suo protagonista.
Un uomo mite con degli amici grezzi e volgari che un po’ lo bullizzano, da subito osteggiato da vicini di casa impiccioni e coalizzati contro il nuovo arrivato.
Ma sarà poi così?
Il regista mostra la realtà in scena del protagonista ma poi ogni tanto, specialmente nel finale, ci mostra anche che il giovane Trelkowski, ormai ossessionato, immagina delle situazioni non reali.
A confondere ancora di più le acque quel bagno comune che si affaccia sul suo appartamento, dove Il giovane vede sempre delle figure che lo fissano e dove trova dei geroglifici disegnati (reincarnazione?)
Per non parlare dell’efficace finale nel quale il regista cambia ancora prospettiva, dando alla storia un carattere di ciclicità che spiazza per l’ennesima lo spettatore.
ATTESTATI DI STIMA
L’inquilino del terzo piano, diventato negli anni un cult, è stato fonte di ispirazione totale o parziale per molti cineasti a venire e non solo. Grande l’ammirazione per il film da parte del nostro Tiziano Sclavi che nel suo Dylan Dog non solo da il nome di Trelkowski alla medium che spesso aiuta il protagonista, ma realizza una storia a puntate Gli inquilini arcani, largamente ispirata al lavoro di Polanski.
DA NON PERDERE
Cosa aggiungere se non che si tratta di una pellicola da non perdere, la summa del pensiero Polanskiano sull’ostilità verso l’estraneo, sulla difficoltà dei rapporti interpersonali quando c’è troppa diffidenza da una parte e troppa voglia di farsi accettare dall’altra.
L’inquilino del terzo piano siamo un po’ tutti noi, quando cerchiamo di compiacere chi abbiamo intorno e rischiamo di trasformarci in chi non siamo.