Them: the Scare, in Italia Loro: La paura, è la seconda stagione di una serie televisiva horror “antologica” prodotta da Sony Picture Television e Amazon, rilasciata su Prime Video il 25 Aprile 2024, a ben tre anni di distanza dalla prima stagione Them – Covenant.
Ideata da Little Marvin, vede l’alternarsi di vari sceneggiatori e registi nel corso degli 8 episodi che la compongono, due in meno rispetto alla stagione precedente.
TRAMA
1991, Los Angeles: la detective afroamericana Dawn Reeve (interpretata da Deborah Ayorinde) interviene sulla scena di un crimine violento e straniante. È stata uccisa una donna, madre affidataria che gestisce una casa-famiglia, ma non è ben chiaro chi o cosa abbia potuto accanirsi in quel modo su di lei. Ben presto l’omicidio diverrà una vera e propria ossessione per il detective Reeve, che durante l’indagine dovrà districarsi tra l’ostracismo dei colleghi bianchi, le accuse di razzismo che stanno coinvolgendo la polizia americana e le possibili attenzioni che il killer potrebbe riservare a lei e alla sua famiglia.
IL NUOVO BLACK HORROR
Quando Jordan Peele arrivò nei cinema americani con Scappa (Get Out) nel 2017, sicuramente non immaginava l’impatto che la sua opera avrebbe avuto sul cinema horror U.S.A.. Una nazione, gli Stati Uniti, che ha sempre guardato con ambiguità alla tematica razziale. Peele non soltanto girò un film che affrontava il tema nella maniera più esplicita possibile, ma lo portò anche agli occhi del pubblico generalista colpendolo con ironia e potenza. Di film del genere poi ne ha fatti altri due, ma la chiarezza degli intenti di Get Out resta inarrivabile.
Ora, la domanda che sicuramente vi starete facendo è: cosa c’entra Jordan Peele con Them? La risposta è semplice: la serie voluta e ideata da Little Marvin è figlia non solo del filone del nuovo black horror inaugurato da Scappa, ma soprattutto erede di quell’intento esplicitante di cui parlavo prima. Soprattutto la prima stagione, sottotitolata Covenant, sbatteva in faccia il dramma dell’inconciliabilità tra etnie all’interno di un unico contenitore sociale a causa di barriere culturali alte come muri, apparentemente invalicabili. E lo faceva con una schiettezza e violenza mai viste in TV.
Se Covenant seguiva la parabola di una famiglia afroamericana in un quartiere residenziale per bianchi nel 1953, The Scare racconta una storia meno lineare e dalle implicazioni razziali più implicite. L’ambientazione parla chiaro: 1991, lo stesso anno del pestaggio di Rodney King, evento che scoperchiò un inquietante vaso di Pandora fatto di razzismo e violenza, segregazione e sospetto. La parabola dell’integrazione, cominciata negli anni ‘50, si era conclusa con un silenzioso fallimento lasciando ulteriori traumi e nuove cicatrici. Ferite pronte a riaprirsi con rabbiosa violenza come, appunto, accadde.
In un contesto storico di questo tipo si muove il detective Reeve. Ma cosa vuol dire essere una poliziotta nera in una situazione del genere? Come fare per non essere identificati col nemico sia da una parte che dall’altra? Ed è qui che sta l’ambivalenza che rende la seconda stagione di Loro il prodotto più importante per il new black horror televisivo. I tempi del blaxploitation sono lontani, già tramontati (e simbolicamente sembra volercelo dire il ruolo assegnato a Pam Grier, che del blaxploitation è stata un simbolo), adesso bisogna rivolgersi ad un pubblico il più eterogeneo possibile portando avanti le proprie istanze, black appunto, sciorinandole da prospettive diverse, prendendo sì posizione, ma mai in maniera totalizzante.
LA PAURA: UN’ANALISI
L’orrore che vuole esprimere (prima ancora che suscitare) Little Marvin è frutto di una dichiarazione d’amore, quella per l’horror anni ‘90 e per una città come Los Angeles. Un horror estremamente urbano quindi, in cui l’orrore si concretizza attraverso l’ambiente e si fa corporeo anche quando sovrannaturale. Proprio per questo Loro – La Paura si traveste da crime story e thriller metropolitano. Ed è la città che si fa teatro di orrori sociali, un po’ come era successo in Candyman nel 1992, sicuramente ispirazione per il nostro produttore esecutivo. Le strade, il ghetto, ma anche le scuole, le case, il commissariato: nessuno di questi luoghi, per un motivo o per un altro, è un posto sicuro. Che sia di giorno o di notte, c’è sempre un’oscurità soffocante che aleggia e porta a galla la paura, intesa come forza immaginifica che ti fa vedere mostri negli angoli più bui, della mente e dell’ambiente. Se questi mostri poi diventano reali, umani o sovrannaturali che siano, allora si crea una reazione a catena. La paura, in fondo, è come un virus. E visto che genera mostri (come la rabbia, la solitudine e l’incomprensione), si cade in un ciclo infinito, un gatto che si morde la coda e si nutre di ferite e traumi, personali o collettivi. Cosa che diventa evidente nel finale di stagione, più aperto che mai nonostante originariamente il contratto tra Little Marvin e Amazon non ne preveda una terza.
GLI ANNI NOVANTA NEGLI ANNI 2000
Da un punto di vista squisitamente tecnico, La Paura funziona in maniera egregia. La storia si nutre del contesto in cui si sviluppa e viene trattata davvero come ci trovassimo negli anni ‘90, senza cadere però nei cliché o nell’effetto amarcord. Una lezione stilistica appresa dal cinema di Ti West, che tra l’altro è uno dei registi coinvolti.
Non più case infestate come nella prima stagione, ma un horror che strizza l’occhio allo slasher anche se poi non mancano esorcismi, corpi deformati, elementi found footage e riferimenti all’estetica j-horror. L’horror sovrannaturale si fonde e confonde con quello più fisico, lasciando spazio a elementi crime con cui ben si amalgama.
Tutti i registi (lo stesso Little Marvin, il già citato West, Craig William Macneill, Axelle Carolyn e Guillermo Navarro), nomi ben conosciuti nell’ambiente dell’horror meno mainstream, svolgono bene il loro compito senza rinunciare alla propria cifra stilistica e confermano che il detto “squadra che vince non si cambia” ha senso in operazioni come questa, trattandosi dei nomi già coinvolti nella prima stagione.
Per quanto riguarda gli attori invece, nota di merito alla protagonista Deborah Ayorinde, già protagonista in Covenant, ma ottima anche la prova di Luke James nel ruolo di Edmond, la cui storia si sviluppa “parallelamente” a quella della detective Reeve e che ci mostra il secondo volto della serie, forse più weird e allucinato, nonché un diverso lato della follia di cui l’America delle contraddizioni si nutre.
ALLERTA SPOILER – LA PARTE CHE SEGUE DELL’ARTICOLO CONTIENE SPOILER
All’inizio ho parlato di horror antologico. Detta così potrebbe sembrare la solita serie TV epigona (se non vittima) del format inaugurato e consolidato da American Horror Story nel 2011. AHS ha avuto il grande merito di sdoganare l’horror in televisione, ma senza riuscire a mantenere un livello qualitativo omogeneo.
Them, con la sua seconda stagione, prende una strada completamente diversa negando l’idea stessa dell’antologia black horror con il suo ultimo episodio, l’ottavo. È qui che, con un guizzo, vengono cambiate le carte in tavola, che vengono rivelati legami inaspettati, che la storia acquisisce un senso più ampio e coerente da tutti i punti di vista. Perché, in effetti, questa seconda stagione è un sequel diretto della prima. Un colpo di coda che, se svelato, potrebbe rovinare l’idea stessa alla base del progetto. Perché sì, la storia della famiglia Emory narrata 3 anni fa non si è conclusa come tutti pensavamo. In fondo la paura può divenire un’eredità scomoda e anche le ferite possono essere tramandate. Questo collegamento fa acquisire a The Scare un valore aggiunto e non può che far piacere, soprattutto considerando che ho trovato questa stagione un paio di gradini sotto la precedente. Speriamo solo che il contratto tra Little Marvin e Amazon venga rinnovato per poter vedere cosa la crew di Them è pronta a proporci in futuro.
CONCLUSIONI
La Paura è una stagione ben diretta, tecnicamente ineccepibile dalle musiche alla fotografia passando per gli effetti visivi. Recitata bene e sicuramente coinvolgente, non priva di sani spaventi e di una vena di inquietudine che la percorre. Però soffre un po’ rispetto alla precedente Covenant. Forse perché meno spaventosa, forse perché meno omogenea. O forse perché manca un po’ della cattiveria e del coraggio che io avevo trovato nel primo atto di quest’opera. Quel qualcosa che tre anni fa mi aveva fatto urlare al miracolo. Ma non fraintendetemi, Loro – La paura, resta un prodotto superiore alla media e non solo nell’ambito della serialità televisiva horror.
articolo di Francesco Morga
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