Quentin Tarantino ha recentemente confermato di essere a lavoro sulla possibilità di dirigere un film di Star Trek e che la sceneggiatura esisterebbe già.
La volontà del regista di Knoxville sembra quella di appendere la macchina da presa al chiodo dopo il suo decimo film, con un addio ancora sulla cresta dell’onda. Con l’imminente C’era una volta a…Hollywood, già presentato allo scorso Festival di Cannes, sarebbe già al suo nono. Se Star Trek diventasse davvero il suo prossimo film, sarebbe anche il suo ultimo?
«Penso di essere arrivato al capolinea per quanto riguarda i film per il cinema», ha detto Tarantino. «Mi vedo a scrivere libri e a scrivere per il teatro, quindi rimarrei creativo. Penso solo di aver già dato tutto ciò che potevo dare coi film. Se C’era una volta… a Hollywood viene accolto molto bene, allora potrei non arrivare a dieci film. Potrei fermarmi subito. Magari mi fermerò finché sono sulla cresta dell’onda. Vedremo».
Non si può dire che il regista abbia cambiato idea. In molte interviste all’uscita di The Hateful Eight dichiarò la volontà di finire la carriera da regista con poche pellicole, tutte di alto livello, piuttosto che fare una lunga serie di film, incappando in alti e bassi.
Pure Brad Pitt sembra confermare la volontà del regista: «Non penso che stia bluffando. Penso che sia dannatamente serio. Io mi sono lamentato con lui apertamente, ma lui capisce quando un regista inizia a non essere più all’apice».
C’era una volta… a Hollywood uscirà nelle sale italiane il prossimo 19 settembre, con un cast stellare che, oltre a Brad Pitt, comprende anche Leonardo DiCaprio, Margot Robbie, Al Pacino, Kurt Russell, Michael Madsen, Dakota Fanning, Emile Hirsch, Timothy Olyphant, Bruce Dern, Tim Roth e Lena Dunham. Un saluto niente male.
In questo clima di incertezza sul suo futuro (nessuno oltre a lui conosce la pura verità) ci sentiamo di approfondire i temi horror presenti nel suo cinema. Il luna “pulp” è aperto e le sue giostre, anche se grezze, sono irresistibili.
Partendo dal film che uscirà possiamo dire con certezza che il cinema del regista abbia più volte toccato tematiche horror. Basti pensare che l’ultima fatica affronterà l’omicidio di Sharon Tate da parte della setta di Charles Manson, avvicinandosi al genere più che in altre sue pellicole. Il trailer lascia intendere a un ragionamento sul cinema, visto l’ambientazione e soprattutto per i personaggi: gente che il cinema lo fa (attori, registi, stuntman…). Un film che andrebbe ad ampliare il già ricco universo-Tarantino, oltre che regalarci una nuova storia di vendetta.
Si potrebbe dire che il vero film horror da lui diretto sia DeathProof – A prova di morte; uno slasher ispirato ai b-movies degli anni ’70 uscito una decina di anni fa assieme al gemello Planet Terror di Rodriguez.
Death Proof strappa risate e applausi, divertente gioco del regista, con il cinema e con il pubblico. Dai titoli di testa e di coda fino ai fotogrammi mancanti che simulano un film vecchio e non restaurato. La trama è semplice: due capitoli quasi speculari, in ognuno ci sono quattro donne e un serial-killer. Il lupo cattivo è uno stuntman fallito, un Kurt Russell grandioso che le insegue con una macchina, la Death Proof (a prova di morte) appunto, per ucciderle. Se nel primo episodio le donne sono belle e ingenue, nel secondo Stuntman Mike troverà pane per i suoi denti. Quentin è grezzo e colorato, più del solito. A riprova del suo citazionismo nella prima scena a casa di Julia sono appesi numerosi poster di film vecchi (probabilmente del regista stesso). Ci si diverte, per il gusto dello splatter e del grottesco.
Per gli amanti dello splatter il film regala degli effetti speciali d’alta scuola, analogici e grezzi. Realistici. Certo, capolavori di finzione e struttura narrativa coerente come Le iene non ce li regalerà più. Ma si tratta di un film slasher che diverte e che, quando vuole, resta cinico e violento. Destabilizzante il finale, dove la vendetta delle donne supera tutti i limiti di giustizia e lascia lo spettatore contento ma confuso. La paura del film è riferita a quelle cose che istintivamente saremmo capaci di fare e che vorremmo fare, in caso di vendetta.
«Mi sento come un conduttore d’orchestra e le emozioni degli spettatori sono i miei strumenti. Rideranno, e rideranno per poi essere terrorizzati. Quando qualcuno l’ha fatto provare a me ho sempre avuto una bella esperienza al cinema ».
Vendetta che ritorna spesso nelle sue storie, come in Kill Bill.
Il buon Quentin guida la rivalutazione dell’intero panorama del cinema al di là del blockbuster, quelle pellicole catalogate come serie B, che a guardarle uno doveva quasi vergognarsi. Dirige il film più sopra le righe di tutta la sua carriera ma che fa paura in alcune sequenze. Come non ricordare con angoscia la storia di O-Ren Ishii, realizzata a mò d’Anime giapponese, superviolenta e triste. Il sangue e la follia della scena degli 88 folli. La scena dell’occhio cavato a Daryl Hannah. La morte di Budd per mano del black mamba. E poi la sequenza del corridoio con le musiche di Sette note in nero, che è una delle scene più horror della sua intera filmografia, e dove rende omaggio al grande regista horror di serie b Lucio Fulci.
È il film che l’ha lanciato verso le grandi masse, ovvero quello che ha fatto si che anche chi non avesse mai visto Pulp Fiction o Jackie Brown si rendesse conto del suo talento.
Nel western Django Unchained Tarantino ci trasporta negli orrori dell’America pre-guerra civile, dove la vita degli afroamericani era considerata meno di un oggetto. In questo film non mancano scene di violenza e se Kill Bill era permeato da un alone di ironia dovuta all’esaltazione coreografica degli 88 folli, qui ogni morte viene percepita con il giusto peso.
Basti pensare allo scontro a botte tra i due uomini afroamericani, con Franco Nero e Di Caprio in veste di negrieri che assistono come se si trattasse di una partita di Champions League da seguire sul divano il mercoledì sera. Oppure alla sparatoria dove Django uccide mezzo villaggio, dove il sangue scorre più che mai (una delle scene più sanguinose mai fatte) e la grande casa bianca di Monsieur Candy si tinge di rosso sangue. O all’uccisione dello schiavo D’Artagnan, che non volendo più combattere, viene divorato dai cani, con l’approvazione dello stesso Django.
« Mi piacerebbe fare qualcosa di contemporaneo e se avessi tutto il tempo del mondo, mi piacerebbe girare un film horror davvero, davvero spaventoso come L’Esorcista ».
Senza nulla togliere a Il Ponte delle spie di Steven Spielberg, il mio film preferito del 2015 è stato The Hateful Eight.
Da subito ho avuto l’impressione che questo film fosse segretamente un film horror. La musica usata per il pacchetto di filmati preliminari che vedevamo era inconfondibile per me; era musica dalla colonna sonora di Ennio Morricone ne La Cosa di John Carpenter. Questa musica evoca il travolgente sospetto del film precedente, secondo cui qualcuno (o chiunque) potrebbe essere il nemico, un mutaforma aliena e un conquistatore di mondi. In quel filmato, “il boia”John Ruth di Kurt Russell dice: “Uno di loro non è chi dice di essere.”
Lo stesso Tarantino ha detto che le due maggiori influenze sono state La cosa e il suo primo lungometraggio, Le Iene.
Gli indicatori horror esterni sono più evidenti. Il film si apre con gli scatti apocalittici delle montagne innevate del Wyoming, mentre le corde di Morricone pugnalano come il congelamento. Seguendo il titolo, e il tema principale del film che si avvia, vediamo un crocifisso nodoso coperto di neve, scolpito da un albero, mentre la diligenza inizia ad avvicinarsi. Se pensavate che qualcuno nel film fosse suscettibile di uscire vivo, questi scatti di apertura e note musicali dovrebbero eliminare ogni ottimismo.
La tormenta non solo isola i personaggi, costringendoli ad essere nella stessa stanza per quello che potrebbe essere diversi giorni, ma agisce anche da mostro in sé e per sé, come se fosse un mostro o un orda di zombie assetati di sangue. In questo, c’è anche un sacco di George Romero (La notte dei morti viventi).
L’affermazione secondo cui Tarantino e il suo direttore della fotografia Robert Richardson hanno sprecato le lenti Super 70 mm e la pellicola in un film che si svolge in gran parte al chiuso è errata in partenza. Questo perché la gente pensa al film come un western. Ma è un film horror, il che significa che dobbiamo essere in grado di vedere cosa succede all’emporio, in ogni angolo, in ogni momento. Le cose stanno accadendo in background tanto quanto stanno accadendo in primo piano, perché non ci si può fidare di nessuno.
Il vero orrore di ciò che sta accadendo nel film sono i pregiudizi, che anche in un ambiente post-bellico, rendono impossibile la convivenza. Sono tutti mostri l’un l’altro in un modo o nell’altro. Il maggiore Warren sospetta di Bob semplicemente perché è messicano; John Ruth diventa troppo diffidente nei confronti del maggiore Warren perché è preso in una bugia e costringe a uno scontro mortale con Smithers; tutti sembrano essere sospettosi di Joe Gage. La razionalità corrode perché tutti hanno una ragione per non fidarsi l’uno dell’altro.
Con questa idea, The Hateful Eight esiste oltre alle trappole visive di un film dell’orrore. È un film horror in cui ognuno è il mostro. Il titolo non è ingannevole; è pieno di persone odiose, orribili e spregevoli nel mondo. Tarantino ci sta mostrando l’orrore dell’America della post-guerra civile sotto le spoglie di un mistero di giallo.