Il linguaggio audiovisivo e Videodrome.

C’è stato un periodo, dal momento in cui gli apparecchi televisivi hanno iniziato a prendere posto nei salotti delle case, in cui si pensava che la televisione sarebbe stata la morte del cinema. Cinema e tv però parlano linguaggi diversi: mentre il cinema è portatore di una singolarità, rappresentando una sola storia per volta, la televisione presenta una moltitudine di contenuti che, caratterizzati da ripetitività e arricchiti di pubblicità assillanti e immagini violente, finiranno sempre più per insidiarsi nel cervello degli spettatori. È in questo contesto che si inserisce Videodrome, film del 1983 diretto da David Cronenberg.

Lo schermo televisivo, ormai, è il vero unico occhio dell’uomo.

Trama.

Max (un fantastico James Woods), presidente di una nota rete televisiva, è alla ricerca di nuovi programmi più coinvolgenti per gli spettatori. Si troverà di fronte Videodrome, una trasmissione pirata fatta di violenza e torture che attirerà la sua attenzione e che, successivamente alla visione, gli provocherà potenti allucinazioni. Dietro la trasmissione si celano persone che hanno in mente un piano di rinascita dell’umanità e che si serviranno di Max, sempre più confuso e incapace di distinguere la realtà dalle visioni, come pedina del loro gioco.

Corpo e tecnologia.

La riflessione di David Cronenberg, regista che viene indicato come padre del sottogenere del body horror, va oltre una semplice critica della modernità e del mezzo televisivo come strumento alienante: Videodrome diventa un vero manifesto di un’epoca in cui persino la guerra del Vietnam passava per gli schermi di tutti. Cronenberg ipotizza, nella sua opera, un canale televisivo fatto perlopiù di contenuti violenti e pornografici per riflettere su una realtà in cui, sugli schermi, si mescolavano (e mescolano tutt’oggi) morte e desiderio, (auto)distruzione ed eros. Il televisore non è un mezzo “altro” o estraneo, un trasmettitore di immagini che può essere spento in qualsiasi momento, bensì diventa l’estensione della mente umana: l’uomo non è visto come un individuo senziente e autonomo, unico e irripetibile, ma come essere vuoto e incompleto la cui carne si fonde con i circuiti.

Angoscia e apatia sembrano essere le forze motrici dei personaggi di Videodrome, dal protagonista Max all’ammaliante Nicki (Debbie Harry), quasi dei fantocci manipolati dalle trasmissioni televisive e da chi si nasconde dietro di esse, simbolo di un potere al quale l’uomo e il suo intero corpo, ciò che più interessa a Croneneberg, cercano di sottrarsi anche a costo di distruggersi. Tra nuovi idoli da venerare e desideri masochisti, Videodrome mette in risalto l’ipocrisia umana attraverso megalomani che vogliono ripulire il mondo dalla violenza utilizzando la violenza stessa e, contemporaneamente, ci presenta il “tumore” che – più o meno consapevolmente – ci provochiamo autonomamente e che affligge il nostro cervello. Tumore dal quale ci può salvare la consapevolezza e, soprattutto, il cinema di Cronenberg.

“Lunga vita alla nuova carne!”