Pochi autori hanno saputo descrivere pulsioni e ossessioni umane come David Cronenberg. L’autore canadese, nel corso di una cinquantennale carriera, ha radicato nel cuore degli spettatori un’idea di cinema viscerale ed estrema, fatta di sensazioni forti da cui emerge una dolorosa visione del mondo. Maps to the Stars rappresenta un punto di arrivo e allo stesso tempo di svolta.
Il cinema di Cronenberg ha sempre parlato di carne (il body horror che lo ha reso celebre e su cui torna nel più recente Crimes of the future) e di trasformazioni, ed in effetti è il suo stesso cinema ad essersi trasformato. Se negli anni ‘80 e ’90 al centro c’era l’aberrazione fisica via via Cronenberg è andato sempre più alla ricerca del marcio interiore, il marcio dell’anima. Maps to the stars è la sublimazione totale della visione cronenberghiana.
Agatha Weiss (una indecifrabile Mia Wasikowska) arriva a Hollywood portando guanti neri che coprono cicatrici, è appena uscita da un ospedale psichiatrico e cerca di riprendere i contatti con la sua famiglia. C’è una perturbante bellezza nel volto sfigurato di Agatha, un’inquietudine che la fa apparire quasi angelica, Agatha è una contraddizione la cui unica colpa è provare ancora qualcosa in un mondo cinico e svuotato di senso.
Cronenberg scaglia una pesantissima critica al mondo delle celebrità hollywoodiane, mostrandoci una sequela di personaggi privi di qualsiasi etica. Havana (una straordinaria Julianne Moore) vive all’ombra dei fantasmi, cerca un vuoto riconoscimento tentando di avere una parte che fu 30 anni prima della madre. A “curarla” (tramite assurde sedute psicanalitiche) è Stafford Weiss (John Cusack, che cura le star dai mali dell’anima), padre di Agatha e del tredicenne Benjie (Evan Bird), che rimane impresso per una naturale e istintiva cattiveria, sembra che sia nato in un mondo già senza speranza e vi si sia semplicemente adattato.
Unico barlume di umanità e solo amore possibile (ma per natura impossibile) è Jerome, interpretato da Robert Pattinson che simbolicamente fa da autista (ancora una volta su una limousine come in Cosmopolis) e accompagna Agatha attraverso le strade di Hollywood, guidandola verso le case delle stelle (che sembrano stelle brillanti ad uno sguardo lontano ma sono in realtà stelle cadenti).
Il cinismo e il nichilismo di Cronenberg già al loro acmè in Cosmopolis (altro tardo capolavoro), raggiungono una sublimazione ancora più alta in Maps to the Stars. La messa in scena è chirurgica e letale, Cronenberg scruta un mondo in cui non c’è speranza nè redenzione (neppure nella violenza e nel sesso com’era in Crash). La “nuova carne” della società non è neanche più materia, è solo risentimento e rancore.
Nessuno si salva in Maps to the Stars.
Da una sceneggiatura non sua Cronenberg architetta un film in cui in ogni inquadratura ed in ogni dettaglio vi è la profonda idea di cinema di un regista totalmente disilluso ed arrabbiato col mondo che lo circonda.
Nel dittico Cosmopolis-Maps to the Stars la violenza è più rarefatta e sommersa ma in realtà onnipresente, personaggi e ambienti trasudano quel disperato marciume che una volta infettava solo le carni, il virus di cui ci parlava Videodrome ha ormai infettato le anime in profondità. Anche il successivo Crimes of the future, pur facente parte del filone del body horror, riprende una simile visione del mondo.
Mia Wasikowska porta sulle spalle un personaggio doloroso, pieno di ambiguità (ancora una volta grande interprete, così come in Crimson Peak di Del Toro e in Stoker di Park Chan-wook).
Ad un occhio attento emerge quanto Maps to the stars sia la naturale evoluzione di un discorso iniziato quarant’anni prima. Un film su un mondo violento abitato da persone senz’anima. Anche se il finale si concede (in maniera del tutto inedita per l’autore) una punta di dolceamara tenerezza.
Forse, in tutto questo dolore pervasivo e onnipresente, non è un caso che trovi spazio l’ossessiva ricerca di quella libertà tanto negata ai personaggi.
Agatha ripete compulsivamente la splendida “Liberté” di Paul Eluard:
“Su ogni carne consentita
Sulla fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Io scrivo il tuo nome
Libertà”
La poesia è ripetuta come un mantra, tutto in Maps to the stars è ripetizione, dai fantasmi del passato che tornano a bussare alle colpe dei padri che ricadono sui figli (e viceversa).
Il cinema di Cronenberg è ormai in autocombustione, è fuoco che divampa assediando la materia e ogni carne consentita. Sulla materia filmica resta solamente un’immagine fatta d’assenza, spogliata di speranza, una mappa per le stelle che sappiamo di non poter raggiungere.
a cura di Marco D’Agostino
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