A24 e il regista Alex Garland avevano già collaborato per Ex-Machina. Ci spostiamo dalla fantascienza a un horror inquietante e bizzarro con Men. Il film è uscito negli Stati Uniti il 20 maggio 2022, nel Regno Unito il 1 giugno 2022, mentre in Italia il 24 agosto è distribuito in sala da Vertice 360.
Trama. Men: Harper è una vedova che si reca in vacanza in un villaggio di campagna inglese, ma viene disturbata e tormentata dagli strani uomini del villaggio, tutti interpretati da Rory Kinnear.
Alex Garland, elevated horror e fantascienza
Il britannico Alex Garland ha alle spalle diversi film da sceneggiatore, per Danny Boyle ha scritto lo zombie movie capostipite del nuovo millennio 28 giorni dopo (2001), oltre al fantascientifico Sunshine (2007). Da regista ha esordito con Ex Machina (2015), in seguito a realizzato Annientamento (2018) – a oggi il mio preferito – e la miniserie Devs (2020). Horror e fantascienza sono sempre stati i suoi generi di riferimento, ma con Men si sposta più verso un horror atipico che mescola il folklore e l’home invasion. Men è carico di un misticismo oscuro, con musica corale e immagini perturbanti. Alex Garland non ha un approccio scontato e come nei suoi precedenti film usa il genere anche per riflettere sul genere, con tutte le sue contraddizioni.
Dal 2014, dopo It Follows, Babadook e The Witch, si sente parlare spesso di elevated horror o arthouse horror, ovvero quei film di genere che cercano soluzioni meno convenzionali, provando quindi a elevare il genere discostandosi da quei prodotti a cui si stava abituando il grande pubblico. Garland è un autore con uno sguardo molto personale, le sue sceneggiature presentano una struttura narrativa insolita che lascia un senso di disagio costante nello spettatore. Dal punto di vista tecnico i suoi film sono davvero curati, è un regista che prova sempre a creare qualcosa che sia prima di tutto un’esperienza sensoriale unica. Per alcuni spettatori questo potrebbe essere un limite, proprio perché Garland si lascia trasportare da sequenze più astratte e criptiche.
Men, un volto, diversi personaggi
La talentuosa attrice irlandese Jessie Buckley (I’m thinking of ending things, The Lost Daughter) nel ruolo di Harper è una donna che cerca di superare il trauma dell’ex marito suicida. Sfrutta molto bene il linguaggio del corpo, considerando che Garland ricorre poco al dialogo durante il film (una sequenza di ben 17 minuti è senza dialoghi). Rory Kinnear, famoso per il suo ruolo di Bill Tanner nei film della serie cinematografica di James Bond, ha il compito di rappresentare questi uomini del titolo, è lo fa con un carisma invidiabile.
Diventa presto evidente che Kinnear interpreta ogni maschio del villaggio che Harper incontra: uno stalker nudo, un prete con cui si confida, un poliziotto, qualche frequentatore del pub e un ragazzino scontroso. La maschera femminile indossata da questo giovane simboleggia l’assenza di donne nel villaggio e l’ossessione che hanno verso di loro.
Il tono generale non è mai troppo serioso, Garland riesce a combinare con abilità il grottesco con un’atmosfera più opprimente. Harper entra in uno scenario minaccioso che diventa sempre più bizzarro, un vero e proprio incubo a occhi aperti. Garland concentra il primo atto nel definire il trauma che innesca questo meccanismo compulsivo, soffermandosi sulla paranoia della protagonista. Nel secondo atto il film diventa rapidamente più straziante, gli uomini la giudicano o la aggrediscono direttamente. Qui entra in gioco l’aspetto più folk horror che riguarda il villaggio; la storia e la mitologia si fondono e s’insinua quell’atmosfera che ricorda grandi horror come The Wicker Man. Nella parte finale invece assistiamo a un cambiamento stilistico netto: l’astrazione diventa carnalità con una sequenza body horror sconvolgente.
Notevole per quanto riguarda la parte visiva e sonora
Il direttore della fotografia Rob Hardy cattura la campagna inglese rendendola accogliente ed eterea prima di trasformarsi in un incubo minaccioso. Molto suggestiva la scena con Harper che passeggia nel bosco arrivando poi al tunnel, con un contrasto splendido di colori fra luci e ombre, presente e passato. Una regia mai scontata quella di Garland, ed è proprio sul piano tecnico che il film riesce a sorprendere. Apprezzabile anche il coraggio di spingersi verso situazioni più inverosimili e grottesche, che sono un’arma a doppio taglio nei film horror. Il rischio è quello di smorzare troppo la tensione e il realismo, ma in questo caso il film assume una forma indefinita, diventando un’opera visionaria che riesce ad avere comunque una sua coerenza e credibilità.
La scena che inevitabilmente resterà più impressa (ma farà anche storcere il naso a tanti) è quella che sfocia nel body horror estremo, nella parte finale. Chi conosce bene il cinema di Garland avrà notato una similitudine con Sunshine (diretto da Boyle) e il suo Annientamento, perché entrambi hanno una parte conclusiva inaspettata dove l’antagonista cambia forma diventando qualcosa di tangibile. Una sorta di resa dei conti finale che esplode in qualcosa di più viscerale. Una scelta coraggiosa che fa anche tornare in mente il malsano fondersi di corpi in Society di Brian Yuzna. Un’altra soluzione visiva che mi ha colpito, nel suo piccolo, è la realizzazione delle interferenze sullo smartphone di Harper mentre è in videochiamata con la sua amica. Non c’è un eccesso di computer grafica e il montaggio (anche sonoro) risulta davvero efficace.
Un incubo che diventa sempre più bizzarro
In primo piano troviamo sempre l’insicurezza maschile, quel vittimismo che porta diversi uomini a dare la colpa alle donne, cercando di indebolirle per convenienza. Un comportamento che si riconosce anche da commenti e gesti sessisti e misogini. E il film non usa mezze misure per mostrarci l’ego più feroce dell’uomo nei confronti della donna. Ma questo non fa di Men un film costruito sul tema, non vuole essere un film a tesi. Prendete questo film come se fosse un episodio di The Twilight Zone: una donna entra in una nuova dimensione (villaggio in questo caso) dove ci sono soltanto uomini che danno sfogo alla propria frustrazione infliggendo del male alla povera malcapitata. Si tratta di uno di quegli horror surreali che funzionano meglio visti con un approccio meno razionale. Parte da un evento scatenante per poi esplorare le paure più ancestrali dell’uomo.
La scena chiave di Men è quando Harper va a fare una passeggiata nel bosco trovando il tunnel buio. Da un punto di vista simbolico quel tunnel rappresenta il percorso che deve attraversare per andare avanti, rifarsi una nuova vita e lasciare il passato alle spalle. Può sembrare banale ma in film come Men valgono più quei simboli universali, mentre il cosiddetto messaggio passa in secondo piano. All’interno del tunnel c’è un forte eco, Harper ne approfitta per intonare qualche verso, un pretesto per liberarsi da quel suo malessere in modo spensierato. La sua voce riecheggia nel tunnel, e all’improvviso una sagoma emerge dall’altra parte, inseguendola. Inizialmente non capiamo chi sia, ma sembra indossare lo stesso cappotto di Harper, come se fosse la sua coscienza (rimorso, senso di colpa) ad impedirle di andare avanti. Scopriamo in seguito che si tratta di un uomo nudo, a sottolineare qualcosa di primordiale, che ha a che fare con le origini dell’uomo.
Allegorìa e simbolismi
In Men, Garland ricorre spesso a simbolismi senza essere particolarmente esplicito. Harper innesca un meccanismo ciclico che vede questi uomini perseguitarla, accusarla, aggredirla. A riecheggiare adesso non è solo la sua voce ma l’esperienza traumatica del suo ex marito che la incolpava per non essere più innamorata di lui, arrivando a colpirla violentemente. Un uomo molto insicuro che minacciava di suicidarsi se lei lo avesse lasciato. Il complesso di colpa qui diventa un elemento fondamentale: dare la colpa alla donna per il proprio malessere e per l’impossibilità di vivere senza di lei, o nello specifico senza il suo amore. Garland non ci sta imponendo alcun pensiero, e a mio parere sintetizzare il film con frasi come “gli uomini sono tutti uguali” o “gli uomini sono tutti cattivi” è una semplificazione da evitare.
L’uomo che la insegue dal tunnel rappresenta qualcosa di primordiale, dopo averlo visto nudo assistiamo a un mutamento che ricorda la raffigurazione vista all’interno della chiesa. Le mele di Adamo ed Eva ci riportano a quando fu proprio la donna la prima a cedere, e di conseguenza incolpata dall’uomo. Geoffrey stesso quando la accoglie nel suo cottage la ammonisce in modo giocoso per aver assaggiato il frutto proibito dal suo giardino. Sembra un oste gentile e simpatico, ma allora perché gli uomini del villaggio hanno tutti il volto di Geoffrey? Come scrivevo in precedenza, Men è uno di quei film surreali ancorati su simboli e archetipi universali, come nei sogni. Ecco quindi che Geoffrey rappresenta il primo uomo che lei incontra in questo posto edenico. Da qui la ciclicità, dalle origini a oggi, la riproduzione, il ripetersi. Non ha importanza quindi chi siano gli uomini che la tormentano, diventano tutti uguali finché non riesce a superare questo periodo traumatico che la rende prigioniera.
Harper: “James… cos’è che vuoi da me?”
James: “Il tuo amore.”
La chiesa è il posto che sceglie per sfogare un grido liberatorio, il luogo sacro dove forse può essere ascoltata e compresa. Soltanto alla fine, con più consapevolezza e soprattutto con meno paura, Harper riesce a ridimensionare questo incubo che la tormenta, ed effettivamente vediamo questi uomini riprodursi diventando qualcosa di patetico e gestibile. Quel trauma che nel tunnel si era improvvisamente amplificato torna ad avere il volto del suo ex marito, e li vediamo confrontarsi nuovamente, un ultimo dialogo necessario per voltare pagina. Un meccanismo inconscio per sentirsi meno oppressa da questo dolore, un sipario che si chiude in modo meno brusco, con la possibilità di poterci convivere. In bilico fra realtà e allucinazioni, resta comunque un epilogo ambiguo, lasciandoci sospesi in questo incubo criptico dove la logica delle cose è lasciata aperta all’interpretazione personale.
In conclusione
Men è un film sorprendente soprattutto dal punto di vista tecnico. Non che abbia chissà quali difetti di scrittura, ma la sensazione finale è quella di un’opera che vuole colpire più nell’immediato, senza neanche provarci ad avere un respiro più ampio. Non sono uno di quelli che pretendono un approfondimento dei personaggi per ogni film, ma in questo caso poteva essere delineata meglio la protagonista, per dare più spessore al resto e non trattare con superficialità la violenza che ha subito dal marito. Ne resta comunque un’esperienza molto suggestiva e imprevedibile, senza dubbio un film che riesce a distinguersi. Non è facile paragonare Men a un altro horror degli ultimi anni, ma per farvi meglio un’idea mi viene in mente Mother! di Darren Aronofsky.
Se avete visto i film precedenti di Garland allora sapete che si tratta di un regista poco convenzionale, fuori dagli schemi. Men è uno di quei film che inevitabilmente finisce per dividere il pubblico, risultando troppo radicale o spiazzante per alcuni. Ma senz’altro un’esperienza da provare.
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