Quando Xavier Dolan presentò al Festival di Cannes il suo capolavoro Mommy utilizzò queste parole:
In “J’ai tué ma mère” volevo vendicarmi di mia madre, ora farò vendicare lei. Non chiedetemi altro”
Xavier Dolan
Il rapporto con la figura materna
Mommy riprende infatti il film d’esordio di Dolan (J’ai tué ma mère, scritto a 16 anni e girato a 19) mettendo nuovamente al centro il rapporto conflittuale con la figura materna, elemento senza dubbio fondamentale della sua poetica. Mommy, vincitore a Cannes del premio della giuria, racconta la storia di Steve, un ragazzo problematico, e di sua madre che, in quanto vedova, deve crescere il figlio da sola. Xavier Dolan prende per mano lo spettatore e lo conduce in un viaggio affascinante e drammatico, facendogli esplorare il complesso rapporto tra Steve e sua madre Diane.
Il film è ambientato in un Canada futuro, che potremmo definire distopico, in cui è stata approvata una legge che consente ai genitori di minori “difficili” di far ricoverare i propri figli in istituti psichiatrici saltando le varie procedure legali. Nel rapporto madre-figlio si inserisce quasi subito anche un altro personaggio: Kyla, la vicina di casa, che cercherà di aiutare in ogni modo possibile Steve e Diane, divenendo quasi parte della famiglia. Mommy è un film divertente, straziante, commovente e vero. Una pellicola che racconta la forza dell’amore tra madre e figlio.
Lato tecnico: uso avanguardistico del formato
Ad aver reso Mommy un capolavoro è anche il lato tecnico del film. Xavier Dolan utilizza perlopiù un formato 1:1, capace di “ingabbiare” i personaggi e di restituirci il mondo claustrofobico di Steve e Diane. Il primo alla ricerca della libertà e della felicità ma “ingabbiato” dai suoi problemi psicologici, l’altra che vorrebbe riprendere in mano la propria vita dopo la morte del marito ma “ingabbiata” dalla presenza del figlio che ha un continuo bisogno di attenzioni e di un tutore che lo segua costantemente. Entrambi sono prigionieri, per così dire, e Dolan restituisce questo loro stato attraverso l’utilizzo del particolare formato.
Sempre al formato è legato il passaggio più importante di tutto il film: la scena in cui Steve, con le mani, “apre” lo schermo allargando il formato è un momento di avanguardia pura. Steve “rompe la sua prigione”, trovando quella libertà tanto agognata, grazie all’amore incondizionato di Diane e Kyla. La libertà di Steve è il frutto di una felicità che egli riesce a provare per la prima volta, ma che si rivela presto qualcosa di fugace. Dopo pochi minuti, infatti, lo schermo tornerà a chiudersi, prefigurando quello che nel finale sarà il destino di Steve.
Un futuro da sogno
Il cambiamento, o meglio l’apertura, del formato si ha anche quando Diane immagina il futuro di Steve, accompagnata dalla musica extradiegetica di Ludovico Einaudi (Experience): un futuro felice, in cui Steve si sposa e riesce ad avere una vita normale nonostante i problemi che lo affliggono. Ma, quando il “sogno” di Diane finirà, rivelando allo spettatore che non era altro che, appunto, una fantasia, il formato tornerà a chiudersi all’1:1, e presto la prigione di Steve non sarà più semplicemente astratta, perché prendere le forme dell’istituto psichiatrico. Xavier Dolan torna a modificare il formato del film, come già aveva fatto in J’ai tué ma mère e in Tom à la ferme (QUI una recensione del film), con la differenza che questa volta è proprio il protagonista a effettuare la trasformazione, non con una sensazione ma con una vera e propria azione.
L’incapacità di vedere il mondo
A livello tecnico, inoltre, il film ci presenta Steve mentre sta ascoltando una canzone con le cuffie inserendo però una musica extradiegetica che non corrisponde a quella che il ragazzo sta sentendo. I suoi movimenti, il suo labiale, stonano, quindi, con ciò che noi sentiamo. La canzone che noi spettatori ascoltiamo è, inoltre, una canzone che parla di daltonismo. Entrambi questi aspetti evidenziano la distanza di Steve dal mondo circostante, la sua impossibilità di vedere le cose come davvero sono. Chi è daltonico, infatti, proprio come chi ha problemi psicologici, non è in grado di vedere il mondo com’è davvero.
Il cast
Nel cast spiccano Anne Dorval, Antoine Olivier Pilon e Suzanne Clément. Sono tutti attori che avevano già lavorato con Dolan: Anne Dorval aveva già interpretato la figura materna in J’ai tué ma mère ed era apparsa anche in Les amours imaginaires e Laurence Anyways; Antoine Olivier Pilon aveva preso parte al videoclip del brano “College Boy” degli Indochine, girato proprio da Dolan; Suzanne Clément rivestiva due ruoli di grande spessore in J’ai tué ma mère e Laurence Anyways.
La scena finale
Concludiamo l’analisi del film con l’ultima scena: la corsa di Steve che ha un sapore di libertà e che, forse, gli consentirà di scappare dall’istituto psichiatrico. Steve si libera dalle sue “catene” e inizia a correre verso l’uscita con un sorriso beffardo ma il film finisce qui. Forse allo spettatore, attraverso la memoria cinematografica, non rimane altro che richiamare alla mente I 400 colpi di François Truffaut (film a cui Xavier Dolan si era già ispirato per realizzare J’ai tué ma mère) e la corsa disperata di Antoine Doinel in fuga dal collegio correzionale in cui i genitori lo hanno messo.
Truffaut non ci lascia capire il destino di Antoine, anche se il mare potrebbe essere simbolo di una libertà ottenuta, e Xavier allo stesso modo non ci permette di vedere il futuro di Steve, ma forse l’essersi liberato dalla camicia di forza simboleggia proprio la più grande vittoria del protagonista di Mommy.
VOTO:
Tra qualche mese uscirà una miniserie realizzata da Dolan dal titolo “The Night Logan Woke Up”. QUI trovate tutte le informazioni.