Nel giorno del 66esimo compleanno di Lars Von Trier riportiamo l’analisi di una delle sue opere più controverse: Nymphomaniac vol I e II (da qui in poi considerate come pellicola unica). Una pellicola che è una risposta ferma e aggressiva a tutte le accuse mosse contro un regista che ha fatto della provocazione (come direbbero alcuni, ma io preferisco dire della investigazione della natura umana) il suo biglietto da visita.

Trama

Quando Seligman (Stellan Skarsgård) trova una ferita e insanguinata Joe (Charlotte Gainsbourg) nel vicolo dietro casa non sa che si troverà ad affrontare un viaggio che lo condurrà a interrogarsi sulla società e sulla natura umana. Un intenso dialogo della durata di cinque ore e mezza tra arte, religione e sessualità.

Analisi

Prima di procedere all’interno di quella che sarà una lunghissima analisi voglio premettere che questo è il mio personale omaggio al mio regista preferito nel giorno del suo 66esimo compleanno. L’idea di trattare proprio Nymphomaniac nasce, in primis, dal desiderio di realizzare un piccolo sogno nato nella mia testa un paio di anni fa, e, in secondo luogo, dall’impulso di voler redimere un’opera che troppo spesso ho sentito criticare, a mio avviso, ingiustamente.

Ninfe e Dee

Ninfomania, dal greco nýmphē (ninfa, sposa) e μανία (mania), è il termine con cui si individua:

“un’ anomalia del comportamento sessuale delle donne, che si manifesta attraverso una ricerca spasmodica del soddisfacimento sessuale, per lo più causata da squilibrî endocrini o della sfera psichica, più raramente dalla somministrazione di droghe o di forti dosi di ormoni femminili”.

Treccani

Fino a pochi anni fa era ritenuta una patologia sessuale ed inserita all’interno del DSM-IV (Manuale diagnostico dei disturbi mentali). Nonostante esista il suo corrispettivo maschile (la satiriasi) è innegabile come, nel linguaggio comune, il termine ninfomane sia largamente più diffuso e utilizzato in modo semi-denigratorio per indicare una donna dalla sessualità vivace.

Joe sul treno

È quindi curioso ricordare chi fossero le ninfe all’interno della mitologia greca. Con il termine ninfa venivano indicate divinità legate alla natura e alla vitalità. Erano la personificazione della libertà femminile e, pertanto, spesso rappresentate nell’atto dell’avere un rapporto sessuale tanto con uomini quanto con donne.

Ninfe e Satiro (1873) – William Adolphe Bouguereau

Fu solo con l’avvento delle religioni monoteiste e, in particolare, del cristianesimo, che la sessualità femminile venne demonizzata e resa causa di tutti i mali del mondo. Non possiamo, in questa recensione, non riferirci alla Eva biblica, prima donna e tentatrice, così come alla Vergine Maria, santa e degna di rispetto proprio perché vergine e, quindi, senza peccato, o alla Maddalena, dipinta come una prostituta ma benedetta perché redenta dai suoi peccati (NdR la Maddalena non era una prostituta ma una donna ripudiata dal marito).  

Annunciata di Palermo – Antonello da Messina (1475 circa)

Il tema della religione è un filo conduttore all’interno dell’intera pellicola, soprattutto con riferimento alla dicotomia tra purezza e peccato. Non è, infatti, un mistero che Von Trier abbia a cuore tale tema o, per meglio dire, sia uno di quelli su cui si interroga molto. Diversi saranno i riferimenti alla religione e, in particolare alla religione cattolica, durante tutto l’arco narrativo, come il capitolo intitolato “La chiesa d’oriente e la chiesa d’occidente”, il concetto di satanico e blasfemo associato al figlio di Joe e alla vita della stessa, ecc. La favola che ci racconta Von Trier è una provocazione alla visione cattolica e moralista di cui la nostra società è pregna, in cui il corpo di Joe, ma più precisamente la ricerca e il raggiungimento del suo piacere, diventano atto di ribellione. Lo vediamo bene nel capitolo chiamato “il piccolo Gregge”. Al di là del riferimento al Gregge come al popolo di Dio, è interessante fare un piccolo appunto sul motivetto che ripetono le ragazze: “mea vulva mea maxima vulva”.

Il Piccolo Gregge durante una riunione

La frase deriva da una preghiera cristiana chiamata “Credo”, in cui il penitente, nell’atto di riconoscere il suo peccato, dice: “mea culpa mea maxima culpa”. Il concetto di peccato viene ribaltato. Le ragazze esaltano e osannano la propria vulva che da strumento del peccato diviene strumento di ribellione e di emancipazione dal potere maschile. Proseguendo nella pellicola scopriamo come, non tanto l’atto in sé, ma il raggiungimento dell’orgasmo e quindi il soddisfacimento del proprio piacere, siano il veicolo per la libertà. Questo aspetto raggiunge la sua manifestazione più estrema nel momento della trasfigurazione di Joe. Nel primo capitolo del secondo volume la protagonista racconta un episodio di quando, preadolescente, vive un’esperienza simile alla trasfigurazione divina: durante un orgasmo spontaneo lei ha la visione di due donne, Valeria Messalina e La grande meretrice di Babilonia, come i profeti Mosè ed Elia accanto a Gesù sul monte Tabor.

È, ovviamente, una reinterpretazione, se vogliamo ironica, di uno dei più importanti passaggi della Bibbia dove viene coadiuvato il concetto della santità legato al Cristo. Ma è altrettanto ironico notare come il raggiungimento dell’orgasmo sia visivamente paragonabile alla rappresentazione che viene fatta dell’estasi di alcune Sante. Se facciamo riferimento al concetto di estasi introdotto dal filosofo Plotino [1], che ha poi influenzato la visione cristiana dell’esperienza estatica, l’estasi è un percorso in ascesa verso la trascendenza. Tale filosofia diede poi l’avvio a una visione del cosmo come animato da una forza chiamata eros che tende al ricongiungimento con Dio. Facendo una supposizione forse azzardata, mi piace vedere il parallelismo tra l’eros che muove il mondo per permetterci il ricongiungimento con Dio e l’eros che muove Joe verso l’orgasmo in un ricongiungimento con la sua libertà e verso l’emancipazione dall’ipocrisia contemporanea.

Mea culpa mea maxima culpa

Lars Von Trier aveva già affrontato il tema del piacere femminile e dell’aspetto peccaminoso ad esso associato nel suo precedente Antichrist. Ma è con Nymphomaniac che decide di andare nel profondo della sua analisi trattando tutti i temi tipici associati alla figura femminile. Primo su tutti la libertà sessuale e la costante necessità, per una donna, di avere un partner stabile per giustificare la propria sessualità. In una società che vede le donne come prede nel gioco della seduzione, al più ammaliatrici, spaventa e sgomenta vedere Joe “cacciare” sul treno.

“Se due uomini avessero camminato lungo un treno in cerca di donne pensi che qualcuno avrebbe alzato un sopracciglio? O se un uomo avesse vissuto la vita che hai avuto tu? La storia della signora H sarebbe stata molto banale se lei fosse stata un uomo e la sua conquista fosse stata una donna”.

– Seligman a Joe

Ma è con l’analisi del concetto di maternità che Von Trier ci dà lo schiaffo definitivo. Introdotto anche questo con Antichrist e con l’analisi della colpa legata al piacere femminile viene qui ampliato e sviscerato. Joe ha un figlio di nome Marcel con il quale non riesce ad instaurare un vero e proprio legame madre-figlio, anzi. Ma più di questo, Von Trier critica una società che attribuisce alla madre il dovere di accudimento in modo esclusivo. Una donna, per essere definita tale, deve sentire una predisposizione alla maternità e quando non è così viene crocifissa. La maternità deve essere la priorità della donna, la quale deve precludersi, o mettere in secondo piano, il proprio soddisfacimento personale. Concludendo il cerchio iniziato con Antichrist, Von Trier riprende la scena del prologo di quest’ultimo dandogli un finale diverso ma non per questo più felice.

L’ipocrisia della società contemporanea

Sarebbe, tuttavia, una visione fortemente cieca della pellicola se vedessimo in essa una pura e semplice lotta femminista. Per poter comprendere pienamente l’intento di Nymphomaniac è necessario fare un passo indietro e ricordare il controverso episodio avvenuto durante la conferenza stampa di Melancholia al Festival di Cannes del 2011 [2]. Alla domanda di una giornalista del The Times of London inerente alla natura gotica del film e all’eventuale influenza delle radici tedesche del regista nella sua messa in scena, il caro Lars ha risposto con una frase controversa e pressoché impronunciabile nella società moderna. Nonostante l’evidente imbarazzo di Von Trier, il quale capiva perfettamente di aver intrapreso una via estremamente controversa e di trovarsi in un’impasse, la giuria decise di non premiare quel capolavoro che è Melancholia e di dichiarare il regista danese “Persona non gradita”. A tutto ciò seguì una pioggia di insulti, tipici dei nostri tempi.

Vi starete domandando perché vi racconto questo piccolo aneddoto. Ebbene, il fatto è che, da questo incidente, nascono due pellicole straordinarie: lo stesso Nymphomaniac e La casa di Jack (The house that Jack built). Per capire completamente il messaggio di queste due opere bisogna comprendere il desiderio di Von Trier di spiegare la sua visione della vita e dell’arte e di rimediare, ma più rispondere, alle critiche mosse contro di lui, a mio avviso ingiustamente. Nymphomaniac e La casa di Jack sono legati da un logico fil rouge. Se nella prima pellicola, il desiderio del regista è quello di discutere delle sue idee abbattendo il velo di ipocrisia tipico della società borghese, ne La casa di Jack la sua opera è rivolta al suo percorso come artista e alla continua lotta per riuscire a diventare un “architetto” pur essendo “ingegnere”.

“Le qualità umane posso essere riassunte in un’unica parola: ipocrisia. Eleviamo quelli che parlano bene e si comportano male e denigriamo chi parla male ma si comporta bene”.

– Joe parlando con Seligman

Ci sono tantissimi argomenti con cui sarebbe stato possibile affrontare il tema dell’ipocrisia della società ma nessuno è più efficace della sessualità femminile e della conseguente libertà. Non è nemmeno la prima volta che un regista utilizza il corpo come strumento di ribellione ai dettami della società borghese. Ricordiamo Teorema di Pasolini e il suo estraneo che, attraverso il corpo, svela l’ipocrisia della famiglia borghese a cui fa visita. Se, tuttavia, nell’opera pasoliniana l’atto sessuale viene suggerito ma mai mostrato esplicitamente (come avverrà invece nel successivo Salò), Von Trier decide, deliberatamente di metterlo in scena senza censure. In una società che non censura la violenza ma si scandalizza, ipocritamente, davanti a qualsiasi atto di natura sessuale, mettere in scena un film in cui niente viene lasciato all’immaginazione ha la funzione di metterci davanti ai nostri stessi tabù. Scandalizzandoci prendiamo atto degli schemi mentali in cui siamo imbrigliati. Von Trier, diventa, in un certo senso, il visitatore di Pasolini che, entrando nella nostra quotidianità, ci impone di prendere atto della falsità dei nostri preconcetti. L’epifania di questo percorso logico avviene durante (spoiler alert) la scena dell’aborto. Tale sequenza è stata completamente eliminata nella versione censurata, e questo già la dice molto lunga su quanto effettivamente il pubblico sia pronto a vedere. Eppure, è proprio durante questo frammento di pellicola che capiamo pienamente il pensiero del regista.

L’aborto

Questo paragrafo contiene spoiler. Se non avete visto la versione Director’s cut e/o avete paura degli spoiler vi consigliamo di passare al paragrafo successivo.

La scena è estremamente realistica e cruda nella sua messa in scena. Vediamo una Joe che, disperata per l’impossibilità di accedere rapidamente alla possibilità di effettuare un aborto in ospedale, decide di mettere a frutto le sue conoscenze mediche e di praticarselo da sola. La cosa interessante di tutta questa sequenza è la spiegazione dettagliata di come venga effettuata l’operazione. Seligman è evidentemente scosso dai dettagli, e da uno in particolare (non ho intenzione di svelarvi niente, se avrete il desiderio recuperate la sequenza). Il ragionamento che ne deriva è, tuttavia, trascendente dalla posizione pro-abortista o antiabortista che ognuno di noi può avere. Anzi, è slegato dal concetto di aborto stesso. Dimostra, infatti, come le nostre convinzioni morali, etiche o politiche siano spesso generate da una non-conoscenza. La domanda che ci pone il regista è proprio questa: se noi sapessimo, nello specifico, come avvengono determinate procedure o atti saremmo comunque a favore del loro compimento? Von Trier svela l’ipocrisia di una società che si professa avanguardista ma che trema quando viene posta di fronte alla verità dei fatti. A mio personalissimo avviso questa sua tesi è stata pienamente verificata proprio dal fatto che, come già anticipato, questa intera sequenza sia stata completamente censurata.

Per principio credo che i tabù siano dannosi per l’umanità. [parlando della procedura clinica con cui viene effettuato un aborto e del fatto che i dettagli potrebbero essere troppo per la comune decenza] Stai dicendo che le persone sono troppo stupide per prendere decisioni sulla base di informazioni?! E pensare che un’ora fa predicavi la tua fede nelle qualità umane”.

– Joe a Seligman

Conclusioni

Nymphomaniac è una delle pellicole più controverse e più criticate di Von Trier. Tacciato di megalomania, egoismo, pretenziosità, io penso fermamente che solo capendo l’intento del regista si possa capire e apprezzare pienamente questa pellicola colma di significato.

Il nostro amato enfant terrible prende uno dei più radicati tabù della società contemporanea e lo piazza sul grande schermo, non solo senza censure ma, ancor di più, fornendo significato alla rappresentazione della sessualità femminile. Sarebbe, infatti, inappropriato dire che la sessualità femminile non sia sdoganata. Instagram, Only Fans, perfino la stessa pubblicità, sono colmi del corpo femminile, esposto, mostrato, sfruttato per ottenere soldi, o popolarità, o entrambi. Fintamente libere, siamo più prigioniere di prima, perché fautrici delle nuove gabbie in cui veniamo rinchiuse e relegate. Joe in questo è diversa, non ha bisogno di mostrare il proprio corpo, di ricercare una sorta di approvazione maschile, di svendersi. Joe cerca di soddisfare il suo piacere sessuale. Il suo egoismo è la sua libertà. È lei a condurre il gioco, pienamente cosciente del suo potere come donna. Non è casuale, infatti, che l’abbigliamento di Joe, così come il trucco, siano estremamente casti. Joe non ha bisogno di una sorta di approvazione esterna, né di attirare l’attenzione. La sua sessualità non viene messa a disposizione degli altri perché venga sfruttata dagli uomini. La sua natura è una dimensione privata e ristretta alla cerchia di persone che frequenta. La nudità della donna è sempre mostrata durante l’atto sessuale, mai in pubblico. Questo perché Joe non è un’esibizionista, non deve attirare l’attenzione, non deve gridare di essere diversa per rivendicare la sua indipendenza come donna. La ninfomania è la sua natura. Lei non potrebbe essere diversa da come è e la sua sola esistenza diventa atto di ribellione.

“Carissimi, non crediate che sia stato facile, ma mi rendo conto solo ora che non siamo e non saremo mai uguali. Io non sono come voi che scopate per essere valorizzate e potreste anche smettere di infilarvi c*i dentro di voi. L’avete avuto il vostro maledetto brivido, molto tempo fa, quando qualcuno si è preso la briga di sc*i. Non sono come voi. Distruggetevi pure la vita, non provo alcuna pena per voi. Voi volete solo essere riempite, che sia da un uomo o da tonnellate di disgustose fesserie non fa differenza. Il vostro è solo un patetico tentativo di riempire un vuoto assordante e di nascondere il ridicolo ed egocentrico ribrezzo per voi stesse. E sicuramente non sono come te. L’empatia di cui parli è una menzogna. Perché altro non sei che la paladina della moralità sociale il cui compito è cancellare la mia oscenità dalla faccia della Terra, in modo che la borghesia non ne sia disgustata. Io non sono come voi, io sono una ninfomane e amo me stessa per il fatto di esserlo […]”.

– Joe durante l’incontro di recupero

Mettendo a nudo Joe il regista mette a nudo sé stesso. Il lunghissimo dialogo tra lei e Seligman altro non è che un tentativo di rispondere, in modo quasi aggressivo, a tutte le accuse di antisemitismo, misoginia e razzismo mosse a Von Trier. Staccandosi definitivamente dal suo Dogma 95, il regista osa e si fa incauto, come dichiarerà attraverso la sua seconda opera di risposta La casa di Jack.

“Il fatto è che dopo diversi omicidi, il mio disturbo ossessivo compulsivo diminuiva ed ho iniziato a incorrere in rischi maggiori”

– Jack rivolgendosi a Verge in “La casa di Jack”

La natura aggressiva della risposta alla non comprensione da parte della società, può risultare sgradevole ma è sicuramente onesta. Nymphomaniac è un film intenzionato, da una parte, a sconvolgere lo spettatore e porlo davanti alla sua stessa ipocrisia, ma dall’altra rivolto a chiunque abbia voglia di ascoltare.

Un’opera maestosa che va ben al di là di quello che ci viene messo in scena in modo manifesto.

Classificazione: 4.5 su 5.

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