Oggi, 20 Maggio 2023, compie 45 anni Mike Flanagan, uno dei nomi più apprezzati nel panorama horror contemporaneo. Il regista e sceneggiatore ha saputo muoversi fra il grande schermo (Doctor Sleep, Somnia) e la narrazione televisiva (The Haunting, The Midnight Club) con la medesima maestria, andando ad affiancare alle componenti horror un ottimo livello di introspezione psicologica dei propri personaggi.
Oggi andiamo a trattare una delle sue prime opere, nonché la prima ad avere una distribuzione in sala: Oculus- Il riflesso del male.
TRAMA
2002.
L’ingegnere informatico Alan Russell si trasferisce in una nuova, spaziosa casa, con la moglie Marie e i due figli, Tim e Kaylie. L’acquisto di un antico specchio determinerà tuttavia la rottura dell’idillio familiare, generando una spirale di eventi sempre più inspiegabili e tragici.
2013.
Tim viene dimesso dalla clinica psichiatrica in cui ha passato gli ultimi 11 anni. Il giovane è determinato a lasciarsi le spalle gli eventi del passato, ma il destino ha altri piani. Kaylie, infatti, è riuscita a rintracciare, grazie al proprio lavoro per una casa d’aste, il misterioso specchio…
RECENSIONE
Oculus è un film in apparenza molto semplice. A un esame più attento è possibile tuttavia rendersi conto che tale apparente semplicità, costruita grazie a una sceneggiatura chiara e funzionale, racchiude in realtà diversi spunti d’interesse.
Uno degli aspetti peculiari della pellicola è la propria struttura. In un alternarsi di scene ambientate nel presente e flashback, la narrazione segue due linee distinte ma intimamente legate. Così come le versioni adulte di Alan e Kaylie non incontreranno eventi di rilievo fino alla metà del minutaggio, così i flashback inizieranno a mostrare la parte più inquietante del passato dei due solo a partire dalla seconda metà degli eventi. Oculus appare, in un certo senso, come due film in uno. La linea narrativa principale ha infatti il sapore di una resa dei conti senza che però si sappia, all’inizio della visione, ciò che è avvenuto nel primo capitolo.
Molto curioso è l’aspetto di scambio di ruoli fra i personaggi dei due fratelli. Se nel 2002 Kaylie dovette assistere con orrore alla distruzione della propria famiglia, nel 2013 vediamo una ragazza profondamente diversa, pragmatica e determinata a porre la parola fine alla parabola negativa che ha investito lei e il fratello. Invece, nonostante Tim abbia trascorso più di dieci anni in una clinica psichiatrica, il giovane appare molto più razionale e pacato della sorella. Ciò può essere considerato uno dei primi esempi della scrittura umana dei personaggi di Flanagan, che rompe i luoghi comuni della narrazione in ambito orrorifico. Ecco quindi che la persona considerata folle dai media (e dallo spettatore, quando ancora non ha elementi a disposizione) è quella che meglio è riuscita a operare un processo di coping sui propri traumi. Kaylie, al contrario, ha condotto una vita serena e di successo, ma non è riuscita in alcun modo a sfuggire alla propria ossessione. Anzi, è finita per alimentarla.
Interessante è poi il modo in cui viene affrontata la tematica dello specchio maledetto. Nella pellicola sono effettivamente presenti apparizioni paranormali, ma risultano complementari rispetto a quelli che sono i reali poteri dell’artefatto attorno a cui ruota la trama. In primis, infatti, lo specchio opera un’alterazione della percezione della realtà, a cui è pressoché impossibile sfuggire. Il tema di “cosa è reale e cosa no”, tante volte sollevato nelle discussioni dei due fratelli riguardo al passato, si dimostra pertanto centrale anche per quanto riguarda il concreto influsso che lo specchio riesce ad avere sulle vite dei suoi possessori.
Il finale (potenziali SPOILER) è quantomai cupo e desolante. La battaglia dei due fratelli si conclude in una completa disfatta che va a ricalcare, con un’amara ironia, quanto era già avvenuto 11 anni prima. Non c’è alcun senso di sollievo. Semplicemente, la sceneggiatura di Flanagan e Jeff Howard vuole dirci che non tutte le storie hanno un lieto fine.
Prima di concludere, un doveroso plauso va alla performance di Katee Sackhoff come Marie Russell. L’attrice è stata infatti capace di rappresentare il meglio il crollo di quello che è stato il membro della famiglia ad avere il mutamento più radicale a causa dello specchio.
Non particolarmente convincente è invece l’interpretazione di Karen Gillan come Kaylie adulta. Se l’attrice britannica ha dato prova del proprio talento in altri lavori, in Oculus non riesce sempre a donare la giusta espressività al proprio personaggio.